In attesa dei funerali di Stato delle vittime del crollo del viadotto Morandi, cui assisterà domani a Genova anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sono già cominciati su giornali, telegiornali e quant’altro i funerali dello Stato italiano, almeno di quello di diritto. Sopravvive solo lo Stato delle fazioni politiche, in cui c’è una gara a dir poco scomposta fra opposizioni e governo, ma anche fra esponenti dello stesso governo, a chi la dice e la fa più grossa nella solita caccia non ai responsabili, avendo la giustizia tempi che il presidente del Consiglio in persona ha dichiarato di non poter aspettare, pur essendo un avvocato e un professore di materie giuridiche, ma ai capri espiatori: quelli da additare subito al pubblico disprezzo, e anche da espropriare.
E’ dovuta intervenire la Consob per ricordare allo stesso presidente del Consiglio Giuseppe Conte, al suo vice e collega di partito Luigi Di Maio e al ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, grillino pure lui, che i loro annunci di revocare le concessioni autostradali hanno intanto violato un bel po’ di regole a tutela dei risparmiatori. I quali hanno la sfortuna di possedere titoli delle società interessate alle revoche: titoli precipitati in borsa, come le auto dai ponti, per effetto degli annunci governativi.
Persino un amico dichiarato e simpatizzante dei grillini come Antonio Di Pietro ne ha lamentato la “improvvisazione” al potere, ricordando al suo successore pentastellato al Ministero delle Infrastrutture l’esistenza di uffici ai suoi ordini per i controlli sulle autostrade. Pertanto egli non può annunciare di costituirsi “parte civile” nei processi a venire senza escludere di trovarsi invece tra gli imputati. E meno male che ormai non rischia di trovarsi fra i pubblici ministeri proprio Di Pietro, passato ad altro mestiere dopo gli anni di “Mani pulite”.
Eppure, approssimandosi al governo, ai militanti e simpatizzanti di partito che ancora gridavano vecchi slogan d’opposizione Luigi Di Maio aveva detto con piglio persino autoritario di stare attenti e cambiare registro perché “ora lo Stato siamo noi”. Si è infatti visto a Genova, dove il Consiglio dei Ministri si è riunito scambiando, a dir poco, i ruoli di governo e di opposizione.
Temo che il presidente della Repubblica, arrivando dalla terra sarda scelta per le vacanze, non si troverà molto a suo agio domani nella capitale della Liguria: non solo per il dolore imposto da una tragedia così grave, quando ancora non sarà probabilmente noto il numero preciso delle vittime, ma anche per la prova che sta dando un governo alla cui formazione egli arrivò, al termine di una lunga crisi, tra dubbi e timori neppure nascosti. E di cui i fatti stanno confermando la fondatezza, a dispetto anche di quanti, dissentendo da lui, avevamo ritenuto che si potesse e si dovesse essere più ottimisti sugli scenari politici aperti dalle elezioni del 4 marzo: in particolare, sullo scenario di un governo composto da forze alternative fra di loro sino al giorno prima. E forse ancora adesso, al di là delle toppe che leghisti e grillini cercano di mettere agli sbreghi di giornata, o di ora.