In attesa dei tempi della giustizia penale, notoriamente e disgraziatamente troppo lunghi, come ha dichiarato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte decidendo di farne a meno per decidere che cosa fare di o con Autostrade, la società concessionaria del viadotto crollato a Genova, la commissione che vigila sulla Borsa ha cominciato ad occuparsi dei movimenti attorno ai titoli della capostipite Atlantia, ora controllata dalla famiglia Benedetton. Titoli che sono naturalmente crollati col viadotto, ma ancor più dopo la decisione del governo di avviare le procedure per la revoca della concessione, o come altro possa o debba chiamarsi, visto che non è chiaro neppure questo.
Per ora sono uscite notizie solo su acquisti fatti da un professore non estraneo, diciamo così, alle autostrade e dalla moglie per qualche centinaio di migliaia di euro, che sulla carta avrebbero già garantito alla coppia guadagni per circa ventimila euro. Robetta, a quel livello. E neppure certa, perché dopo qualche cenno di ripresa il titolo potrà tornare a scendere, anzi a precipitare nel vuoto nell’incertezza crescente, e forse voluta, sui destini dell’operazione innescata da un governo dove peraltro le idee vanno confondendosi anch’esse, in un turbinio di ipotesi, di manovre e di polemiche. Che hanno finito per rimettere contromano sulle strade della politica le nazionalizzazioni, visti gli esiti delle privatizzazioni di moda alla fine degli anni Novanta.
Proprio i contrasti esplosi all’interno del governo e dei partiti che lo compongono sul ritorno allo statalismo, a quando cioè piaceva che lo Stato producesse anche panettoni, caramelle e conserve, i soliti immancabili furbi hanno cominciato a pensare come aggirare gli ostacoli chiamando le cose in modo diverso. E così, per quanto contrastata o non condivisa addirittura dal ministro dell’Economia Giovanni Tria, è spuntata fuori, con tanto di titoli e articoli su molti giornali, finanziari e politici, compreso Il Sole 24 Ore, l’ipotesi di una nazionalizzazione surrettizia, così così. Che ricorda un po’ la storia frequentemente raccontata dal compianto Enzo Biagi della giovane che si sentiva “un po’ incinta, poco poco”.
I furbi, di cui si spera che vengono fuori e presto i nomi e cognomi, con le sigle dei rispettivi partiti o correnti di appartenenza, vorrebbero che “intanto” entrasse in Atlantia, profittando dei titoli a buon mercato del dopo-crollo di Genova e delle procedure di revoca delle concessioni e quant’altro avviate dal governo, la Cassa Depositi e Prestiti. Che è una specie di tesoro dello Stato. E che si metterebbe a fare concorrenza al professore e alla moglie di cui si parlava all’inizio.
L’alternativa alla Cassa Depositi e Prestiti per operazioni di borsa che ad occhio e croce sanno quanto meno di speculazione finanziaria, con risvolti che potrebbero avere anche aspetti penali, sarebbe l’Anas. La cui unificazione con le Ferrovie dello Stato, avviata dal precedente governo, è stata appena bloccata dal nuovo, in particolare dal ministro grillino delle Infrastrutture Danilo Toninelli. E meno male, pensando al carrozzone che avrebbe potuto nascere unendo gestione e altro delle strade ordinarie, superstrade, autostrade e ferrovie.