Reduce, nella sua vacanza alla Maddalena, da una visita alla casa e alla tomba di Giuseppe Garibaldi a Caprera, il presidente della Repubblica ha voluto far conoscere le sue preoccupazioni per quel che rimane dell’attività e del dibattito politico nella pausa di Ferragosto. Non gli sono “piaciuti”, in particolare, “i contenuti e i toni” della sfida ai mercati, ma anche agli organismi comunitari, lanciata nell’intervista del vice presidente grillino del Consiglio Luigi di Maio al Corriere della Sera. Al cui quirinalista, Marzio Breda, non a caso il capo dello Stato ha voluto affidare le sue reazioni, pur evitando la formula di un’altra intervista, che avrebbe obiettivamente finito per amplificare ulteriormente quella dell’esponente del governo.
Poiché la sfida ai mercati, e in fondo anche ai vincoli europei, si tradurrà in quella che era una volta la legge finanziaria, o di stabilità, e che adesso si chiama solo legge di bilancio, Mattarella ha fatto sapere che lui non resterà passivo alla sua elaborazione. Dirà a suo tempo la sua, con parole e atti, perché “costituzionalmente gli compete”, ha scritto Breda. Ed anche a prescindere dalla valutazione del ministro dell’Economia Giovanni Tria, di cui lo infastidisce non poco la rappresentazione che se ne fa di un rappresentante, magari col ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, di un “terzo polo” del governo, oltre a quelli leghista e grillino: il polo del Quirinale.
Mattarella ha tenuto a far sapere, a questo proposito, che lui neppure conosceva bene Tria quando il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, gliene propose la nomina dopo il naufragio della designazione di Paolo Savona, dirottato poi al Ministero degli affari europei. In più, il presidente della Repubblica accettò la proposta e nominò Tria pur sapendo che a suggerirlo a leghisti e grillini era stato proprio Savona, ch’egli non aveva voluto al Ministero dell’Economia anche a costo di rimandare la crisi in alto mare, con la rinuncia di Conte, e di rimediarsi minacce politiche e telematiche di cosiddetto impeachment, come si chiama in inglese il procedimento di stato d’accusa del capo dello Stato davanti alla Corte Costituzionale per alto tradimento.
Le preoccupazioni, i timori, i moniti e quant’altro del presidente della Repubblica raggiungono il governo e i partiti della maggioranza in questa vigilia di Ferragosto mentre scoppiano altri casi clamorosi di confusioni e contrasti fra leghisti e grillini: per esempio, sul versante pur tanto proclamato dei tagli alle pensioni alte, diventate d’oro nei calcoli di Di Maio già a 4000 euro netti al mese, contro i 5000 concordati nel “contratto” e annunciati al presidente del Consiglio al Parlamento nel discorso di richiesta della fiducia.
I leghisti si sono accorti solo dopo la firma apposta dal loro capigruppo con quello del movimento delle 5 stelle alla proposta presentata alla Camera, conforme ad una analoga preparata per il Senato, dell’iniquità dei tagli. Che non sono stati soltanto previsti su una platea molto più larga, pur di fare cassa, ma sono stati rapportati non più ai contributi effettivamente versati, difficili peraltro da calcolare con criteri certi, specie per esempio per i dipendenti della pubblica amministrazione, bensì all’età in cui si è andati in pensione. Per cui finirebbero per essere penalizzati maggiormente quelli che hanno dovuto anticipare l’uscita dal lavoro per le crisi aziendali o che, avendo cominciato a lavorare presto, hanno potuto in passato andare in pensione prima: un pasticcio insomma ignobile, che di equità, e di dignità, non avrebbe niente.
Nonostante questi ed altri errori, e il dichiarato riconoscimento della “incompetenza” di non pochi ministri e dirigenti soprattutto grillini, non mancano neppure nel centrodestra appelli alla comprensione e alla fiducia. Lo ha fatto, pure lui in una intervista al Corriere della Sera, e reduce da lunghe chiacchierate con Silvio Berlusconi nel suo ritiro sardo, un particolarmente disinvolto Flavio Briatore. Che è ancora convinto della utilità della combinazione governativa gialloverde e ha consigliato al Cavaliere di avere più fiducia nell’alleato prestato ai grillini dopo le elezioni del 4 marzo, cioè Matteo Salvini. E ciò anche perché dentro Forza Italia le persone, nonostante l’arrivo come vice presidente di Antonio Taiani, “sono sempre le stesse” per permettere al Cavaliere chissà quali cambiamenti, e rotture vere con la Lega, o sinergie -che pure Briatore vedrebbe ancora bene- con Matteo Renzi.
Intanto, per non sbagliare, e per smentire fiducia, ottimismo e quant’altro, Briatore ha ammesso che si guarderebbe bene dal consigliare agli stranieri di investire in Italia.