Sergio Mattarella sbotta, a modo suo, contro Luigi Di Maio & C

            Reduce, nella sua vacanza alla Maddalena, da una visita alla casa e alla tomba di Giuseppe Garibaldi a Caprera, il presidente della Repubblica ha voluto far conoscere le sue preoccupazioni per quel che rimane dell’attività e del dibattito politico nella pausa di Ferragosto. Non gli sono “piaciuti”, in particolare, “i contenuti e i toni” della sfida ai mercati, ma anche agli organismi comunitari, lanciata nell’intervista del vice presidente grillino del Consiglio Luigi di Maio al Corriere della Sera. Al cui quirinalista, Marzio Breda, non a caso il capo dello Stato ha voluto affidare le sue reazioni, pur evitando la formula di un’altra intervista, che avrebbe obiettivamente finito per amplificare ulteriormente quella dell’esponente del governo.

            Poiché la sfida ai mercati, e in fondo anche ai vincoli europei, si tradurrà in quella che era una volta la legge finanziaria, o di stabilità, e che adesso si chiama solo legge di bilancio, Mattarella ha fatto sapere che lui non resterà passivo alla sua elaborazione. Dirà a suo tempo la sua, con parole e atti, perché “costituzionalmente gli compete”, ha scritto Breda. Ed anche a prescindere dalla valutazione del ministro dell’Economia Giovanni Tria, di cui lo infastidisce non poco la rappresentazione che se ne fa di un rappresentante, magari col ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, di un “terzo polo” del governo, oltre a quelli leghista e grillino: il polo del Quirinale.

            Mattarella ha tenuto a far sapere, a questo proposito, che lui neppure conosceva bene Tria quando il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, gliene propose la nomina dopo il naufragio della designazione di Paolo Savona, dirottato poi al Ministero degli affari europei. In più, il presidente della Repubblica accettò la proposta e nominò Tria pur sapendo che a suggerirlo a leghisti e grillini era stato proprio Savona, ch’egli non aveva voluto al Ministero dell’Economia anche a costo di rimandare la crisi in alto mare, con la rinuncia di Conte, e di rimediarsi minacce politiche e telematiche di cosiddetto impeachment, come si chiama in inglese il procedimento di stato d’accusa del capo dello Stato davanti alla Corte Costituzionale per alto tradimento.

            Le preoccupazioni, i timori, i moniti e quant’altro del presidente della Repubblica raggiungono il governo e i partiti della maggioranza in questa vigilia di Ferragosto mentre scoppiano altri casi clamorosi di confusioni e contrasti fra leghisti e grillini: per esempio, sul versante pur tanto proclamato dei tagli alle pensioni alte, diventate d’oro nei calcoli di Di Maio già a 4000 euro netti al mese, contro i 5000 concordati nel “contratto” e annunciati al presidente del Consiglio al Parlamento nel discorso di richiesta della fiducia.

            I leghisti si sono accorti solo dopo la firma apposta dal loro capigruppo con quello del movimento delle 5 stelle alla proposta presentata alla Camera, conforme ad una analoga preparata per il Senato, dell’iniquità dei tagli. Che non sono stati soltanto previsti su una platea molto più larga, pur di fare cassa, ma sono stati rapportati non più ai contributi effettivamente versati, difficili peraltro da calcolare con criteri certi, specie per esempio per i dipendenti della pubblica amministrazione, bensì all’età in cui si è andati in pensione. Per cui finirebbero per essere penalizzati maggiormente quelli che hanno dovuto anticipare l’uscita dal lavoro per le crisi aziendali o che, avendo cominciato a lavorare presto, hanno potuto in passato andare in pensione prima: un pasticcio insomma ignobile, che di equità, e di dignità, non avrebbe niente.

             Nonostante questi ed altri errori, e il dichiarato riconoscimento della “incompetenza” di non pochi ministri e dirigenti soprattutto grillini, non mancano neppure nel centrodestra appelli alla comprensione e alla fiducia. Lo ha fatto, pure lui in una intervista al Corriere della Sera, e reduce da lunghe chiacchierate con Silvio Berlusconi nel suo ritirBriatore e Berlusconi.jpgo sardo, un particolarmente disinvolto Flavio Briatore. Che è ancora convinto della utilità della combinazione governativa gialloverde e ha consigliato al Cavaliere di avere più fiducia nell’alleato prestato ai grillini dopo le elezioni del 4 marzo, cioè Matteo Salvini. E ciò anche perché dentro Forza Italia le persone, nonostante l’arrivo come vice presidente di Antonio Taiani, “sono sempre le stesse” per permettere al Cavaliere chissà quali cambiamenti, e rotture vere con la Lega, o sinergie -che pure Briatore vedrebbe ancora bene- con Matteo Renzi.          

            Intanto, per non sbagliare, e per smentire fiducia, ottimismo e quant’altro, Briatore ha ammesso che si guarderebbe bene dal consigliare agli stranieri di investire in Italia.

Giorgetti, il Richelieu della Lega, frena sulla transumanza in Abruzzo

Va bene che l’Abruzzo è terra di transumanza, tradotta in famosissimi versi per i suoi pastori da Gabriele d’Annunzio, ma Silvio Berlusconi dalla sua vacanza in Sardegna, inutilmente consolato dall’amico Flavio Briatore, ha preso male lo stesso l’annuncio della corsa solitaria che i leghisti abruzzesi, appunto, intendono fare nelle elezioni regionali previste entro dicembre. Una corsa che potrebbe sancire la sconfitta del centrodestra a beneficio forse dei grillini, vista la crisi del centrosinistra.

E’ proprio un patto segreto  di Matteo Salvini con i grillini, per consentire loro la conquista della prima regione della penisola, che sono molti a sospettare dentro Forza Italia. E ciò come anticipo di un’operazione più vasta, finalizzata alla costruzione di un nuovo bipolarismo attorno ai due partiti momentaneamente al governo. Che poi potrebbero giocarsela da soli, l’uno contro l’altro, sulle ceneri della cosiddetta seconda Repubblica a lungo dominata dall’alternanza fra centrodestra e centrosinistra.

Debbono essere suonate di ulteriore allarme ai berlusconiani le parole pronunciate da Luigi Di Maio in una intervista al Corriere della Sera appena pubblicata: “Salvini e io ci capiamo a volo e mediamo tra noi. Con la Lega possiamo lavorare cinque anni in piena lealtà. Vedo che i rapporti tra i sedicenti alleati” (di centrodestra) “sono a un punto critico”.

L’annuncio abruzzese, seguito a quello personale di Matteo Salvini di non volere più trattenere a livello locale e nazionale i forzisti attratti dalla Lega, dopo l’incidente della mancata presidenza della Rai al suo candidato Marcello Foa, ha rafforzato quanto meno sul piano emotivo gli amici del giro più o meno ristretto che rimproverano a Berlusconi troppa pazienza nei riguardi del vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno. Cui il Cavaliere sarebbe stato sul punto di cedere sulla vicenda Foa, a furia di ricevere anche in ospedale telefonate e visite di un Salvini non abituato a sentirsi di no, e sorpreso sino alla rabbia dal rifiuto dei commissari forzisti della Vigilanza parlamentare sulla Rai di convalidare con la necessaria maggioranza dei due terzi il nuovo assetto al vertice dell’azienda concordato fra lui e il suo omologo grillino Luigi Di Maio.

E’ stato forse in considerazione di questo rafforzamento- ripeto, per ora solo emotivo- dell’ala più intransigente di Forza Italia, refrattaria all’espediente polemico di Salvini di accusarla di appiattirsi sull’opposizione del Pd, che il sottosegretario leghista alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti si è praticamente intestato un tentativo di mediazione proprio sulla questione abruzzese.

Intervistato da Libero, pur declassando il centrodestra a “una categoria dello spirito” Giorgetti ha circoscritto ad un’aspirazione dei dirigenti “locali”, comune a tante altre in Italia, la corsa solitaria nelle elezioni regionali e, più in generale, amministrative. “La decisione finale -ha detto il sottosegretario strizzando praticamente l’occhio a Berlusconi- spetta a Salvini”, che “per esigenze superiori” potrebbe “costringere” i leghisti abruzzesi – e poi, chissà, anche quelli della Basilicata e del Trentino-Alto Adige, dove sono imminenti le elezioni regionali- a confermare l’alleanza di centrodestra.

Va detto che Giorgetti, forse a sua insaputa, è riuscito a fare il miracolo di una triangolazione inedita fra Salvini, Berlusconi e Di Maio. Lo ha fatto denunciando più volte il pericolo di uno scatenamento dei soliti speculatori nei mercati finanziari contro i titoli di Stato italiani tra la fine di agosto e i primi giorni di settembre, quando fra Roma e Bruxelles si dovrà davvero passare dalle parole ai fatti nel cantiere -come lo ha definito il presidente del Consiglio Giuseppe Conte- della legge di bilancio. E verranno al pettine tutti i nodi dei costi delle riforme concordate per sommi capi nel contratto di governo fra leghisti e grillini, e della loro compatibilità con i parametri europei.

All’ultimo degli avvertimenti o timori del sottosegretario Giorgetti ha voluto reagire, smentendolo o quasi, il vice presidente grillino del Consiglio. Che ha trovato le previsioni di Giorgetti conformi solo alle “speranze delle opposizioni” ed ha ostentato sicurezza perché di fronte alle manovre di mercato o d’altro tipo il governo in carica potrebbe resistere ad oltranza non essendo “ricattabile”. Come invece lo fu nell’estate del 2011 l’ultimo governo di centrodestra presieduto da Berlusconi, costretto ad arrendersi e a lasciare il posto a Mario Monti per tutelare gli interessi delle sue aziende, minacciate dagli effetti della crisi speculativa guidata da mister Spread.

Di Maio, così abituato a crocifiggere Berlusconi al “conflitto d’interessi”, tanto da avere reclamato un’altra legge per disciplinarlo durante le trattative con i leghisti per la formazione del governo gialloverde, si è trovato ad ammettere, pur di polemizzare con Giorgetti, che furono proprio i suoi interessi a giocare contro Berlusconi sette anni fa. Quante sorprese può riservare la politica, o la logica delle polemiche o delle lotte che la segnano.

 

 

Pubblicato su Il Dubbio

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