Giuseppe Conte soccorso dal suo maestro nella rottura con Autostrade

            In soccorso al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, dopo l’annuncio del procedimento di revoca avviato contro la società che gestisce le autostrade italiane comprensive del viadotto crollato a Genova, è sceso in campo il suo maestro di università e di professione forense: Guido Alpa. Il quale in una intervista al Dubbio ne ha accreditato la convinzione che a causa della insufficiente manutenzione del ponte, provata dalla caduta che ha provocato più di quaranta vittime, la società detenuta in maggioranza da Luciano Benetton non abbia diritto a indennizzi da revoca.

         Guido Alpa.jpgCodice civile e degli appalti alla mano, citandone articoli e commi, il professore Alpa ha cercato di proteggere l’ex allievo dall’accusa, fra gli altri, dell’ex magistrato ma anche ex ministro dei Lavori Pubblici Antonio Di Pietro di procurare alla società di Benetton un ulteriore favore, dopo quelli attribuiti dai grillini ai governi precedenti per proroghe delle concessioni contestate nelle forme e nei contenuti. In particolare, la società sottoposta a procedimento di revoca sarebbe sollevata dall’obbligo della ricostruzione del viadotto e acquisterebbe il  diritto di reclamare un indennizzo di circa 20 miliardi di euro, calcolati rispetto alla scadenza ordinaria della concessione, sino al 2042.

            Di Pietro è appena tornato a riproporre con altre dichiarazioni, sempre a proposito della tragedia verificatasi a Genova, l’ipotesi di una corresponsabilità del Ministero delle Infrastrutture, dotato di competenze e uffici autonomi per i controlli sulle autostrade date in concessione.

            Pur in soccorso di Conte, il professore Alpa ha tuttavia riconosciuto la complessità della vicenda esplosa con il crollo del viadotto autostradale Morandi e taluni aspetti inediti che la rendono particolare rispetto ad altre dalle quali egli ha ricavato la convinzione che la strada intrapresa dal presidente del Consiglio non sia a rischio di incidenti, cioè di sconfitte giudiziarie, per  lo Stato.

 

 

 

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La sentenza-locandina del Fatto per il crollo del viadotto a Genova

            In attesa della revoca, “avviata” a Palazzo Chigi, della concessione alla società delle Autostrade per l’Italia dopo il crollo del viadotto Morandi a Genova, e del lungo contenzioso amministrativo e giudiziario che ne accompagnerà e seguirà il percorso, il tribunale del Fatto Quotidiano ha emesso con un fotomontaggio la sentenza mediatica e politica sottintesa alla linea assunta dal governo.

            Se non direttamente, per loro fortuna, dovrebbero sentirsi indirettamente responsabili del crollo e delle sue vittime, da sinistra a destra nella locandina del Fatto, Romano Prodi, Massimo D’Alema, Silvio Berlusconi, Enrico Letta. Graziano Delrio e Matteo Renzi. Che nell’arco di 19 anni guidando i loro governi o partecipandovi, come nel caso dell’ex ministro delle Infrastrutture Delrio, avrebbero “regalato miliardi” di lire e poi di euro a Luciano Benetton e agli altri privati che hanno gestito le autostrade badando più agli utili che alla loro manutenzione, più ai caselli che ai ponti e viadotti. Sarebbe di costoro, chissà perché con l’esclusione di Mario Monti dalla galleria dei mostri, la responsabilità politica della tragedia di Genova. Sarebbero stati loro, e i partiti o le coalizioni che avevano alle spalle, a permettere con proroghe e quant’altro, a volte approvate furtivamente di notte, nella distrazione o sonnolenza generale, tra le pieghe di qualche decreto di natura diversa, a consentire l’allegra ma infine funesta gestione delle autostrade italiane.

            Il vice presidente grillino del Consiglio Luigi Di Maio -che di suo ha aggiunto a Renzi l’accusa di avere ricevuto finanziamenti elettorali o d’altro tipo da Luciano Benedetton, rimediandosi per ora l’accusa di “tecnicamente bugiardo”, forse in attesa di qualche denuncia dal percorso impervio per l’immunità parlamentare ancora spettante al capo del movimento 5 Stelle- avrebbe tutti i motivi per incorniciare la locandina-sentenza del giornale di Marco Travaglio e appenderla in tutti gli uffici di governo a sua disposizione. O di portarsela appresso nelle piazze dove tiene comizi o lancia proclami davanti a cineprese, telecamere e microfoni giurando contro i predecessori politici vendetta, grandissima vendetta. E questo con la solidarietà, o almeno col dichiarato consenso, del suo omologo della Lega Matteo Salvini, generosamente assolto dal quasi reato di partecipazione diretta, e neppure di associazione esterna, alle malefatte dei governi di Berlusconi. Dove i leghisti si sono sempre ritrovati, e in posti non di seconda o terza fila.

          Schermata 2018-08-18 alle 10.07.13 2.jpg  La convergenza fra Di Maio e Salvini, pur in bilico sul vuoto, come li ha disegnati nella sua vignetta sul Corriere della Sera l’impietoso Emilio Giannelli mettendoli sulle estremità dei tratti residui del viadotto crollato, è forse l’aspetto più paradossale del quadro politico uscito dalle urne del 4 marzo scorso. E sopravvissuto sino ad ora a tutte le tensioni, visibili o sommerse, seguite con e alla formazione del governo gialloverde. I tiranti della loro alleanza stanno avendo più fortuna di quelli del ponte crollato.

            A interrompere questa pur acrobatica convivenza non sarà sicuramente la divergenza attribuita nelle ultime ore ai due vice presidenti del Consiglio sulla scelta del commissario straordinario che il governo si accinge a nominare per la gestione dell’emergenza creatasi a Genova.

            Proposta e praticamente prenotata dal governatore  Giovanni Toti, che guida la Liguria con una giunta di centrodestra e conta quindi anche sull’appoggio di Salvini, sperando di non fare la fine del mancato presidente della Rai Marcello Foa, la carica di commissario straordinario per l’emergenza ligure  ha altri destinatari nella testa e nel cuore del vice presidente grillino del Consiglio. E ciò  anche se a Genova, in verità, i grillini non si sono mostrati molto sagaci proprio sul tema del viadotto Morandi, scommettendo nel 2013 sulla sua durata secolare, liquidando come “favoletta” la paura di un suo crollo e vedendo nelle cosiddette grondaie progettate come alternative o supporti al ponte controverso la solita occasione cercata dagli altrettanto soliti aspiranti alla corruzione.  

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