

Più che gridare “Fermatelo” a Putin, come fa a Firenze La Nazione, credo imitata dagli altri quotidiani del gruppo Monti Riffeser, oggi griderei “fermateli” a tutti quegli italiani, uomini e donne, vecchi e giovani, persino adolescenti, che si sentissero invogliati a scendere per strada con cartelli, striscioni, manifesti, vignette e quant’altro tradotti nella nostra lingua, o magari lasciati integri nella loro versione originaria, tanto sono chiari, contro Putin equiparato ai peggiori mostri, neri e rossi, del secolo scorso in Europa.


Questo diritto di dimostrare nel nostro bel Paese lo abbiamo perduto dopo che abbiamo sparato, o lasciato sparare indisturbati, tutte le pallottole di carta e di voce sino a non più tardi di qualche mese fa contro Mario Draghi, il redivivo Hitler a guardia dei campi di concentramento in cui chiudere a doppia mandata, e spingere poi nei forni e simili, i dissidenti -chiamiamoli così- delle campagne di vaccinazione anti-Covid affidate non a caso a un generale degli alpini, pur pacificamente chiamato Figliuolo, neppure Figlio, che suonerebbe più virile, più attrezzato a rastrellamenti del tipo di quelli attribuiti alla fantasia perversa del presidente del Consiglio. Che, già portato di suo a simpatie per la cultura tedesca, come il suo predecessore alla Banca d’Italia e a Palazzo Chigi Carlo Azeglio Ciampi, era peggiorato negli anni scorsi a Francoforte alla guida della Banca Centrale Europea, salvandone la moneta nel momento più pericoloso con una sola frase pronunciata tuttavia in inglese.


Dopo aver dato nelle strade e nelle piazze dimostrazioni di tanta e tale idiozia, con la comprensione sotto sotto anche di qualche partito o parte di una maggioranza di addirittura unità nazionale, provvidenzialmente imposto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella interrompendo finalmente il gioco della “centralità” grillina di questa legislatura impersonata da Giuseppe Conte, noi italiani dovremmo sentirci quanto meno a disagio nell’imitare gli ucraini e quanti altri prenderebbero molto volentieri a calci in culo Putin, come la buonanima di Palmiro Togliatti si propose di fare, per fortuna inutilmente, con Alcide De Gasperi che nel 1948 si giocava da par suo la partita della democrazia in Italia. E se si sbagliò Togliatti, a sentire il quale nell’Assemblea Costituente persino uno come Benedetto Croce sentiva “aleggiare lo spirito della cultura”, figuratevi come e sino a quanto possono sbagliare i suoi emuli, pronipoti e simili di quel che rimane della sinistra italiana,


Non più tardi di ieri, intervistato dalla Stampa, Massimo D’Alema -e chi senno?- non ha preso per fortuna le difese di Putin, ma in qualche modo ha cercato di dare torto anche a chi lo attacca per la sua dissennata gestione della crisi ucraina. Ah, se ci fosse stato lui alla Farnesina, al posto dell’ex bibitaro grillino Luigi Di Maio, come ancora lo sfotte un altro predecessore, il liberale Antonio Martino, chissà come e quanto sarebbe cambiata la musica in Europa, in America e in Cina. E quanto avrebbero potuto starsene tranquilli gli ucraini a casa loro ad attendere le rimesse delle tante badanti che custodiscono anche in Italia gli anziani di cui non abbiamo più voglia o tempo di occuparci direttamente.


Chiudo insistendo nella raccomandazione di trattenervi dallo scendere, anzi dal ritornare in piazza dopo le imprese dei mesi scorsi contro Draghitler, chiamiamolo così. E Che Iddio ce lo conservi a lungo, il nostro Draghi, magari anche dopo le elezioni ordinarie del 2023, salvo rinvii per ragioni stavolta di guerra. Accettiamo quella richiesta di avvertire “un pò di vergogna” lanciataci oggi sulla prima pagina del Corriere della Sera dal buon Aldo Grasso “per le parole a vanvera” di cui abbiamo o avete abusato prima che la crisi ucraina sommergesse quella pandemica.
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