Lo scoop rievocativo di Vittorio Feltri trent’anni dopo “Mani pulite”

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Vittorio Feltri su Libero

Convinto forse di fare un altro scoop dei suoi, sulla soglia ormai dei 79 anni portati con una certa spavalderia almeno verbale, fonte inesauribile degli spettacoli di Maurizio Crozza, il solerte Vittorio Feltri ha anticipato di sette giorni su Libero la celebrazione del trentesimo anniversario dell’arresto del “povero” Mario Chiesa. Sì, “povero”, perché -ha ammesso il suo ex fustigatore- raccoglieva tangenti per il suo partito, il Psi, come facevano tutti per le loro formazioni politiche concorrenti di un Pci che si finanziava alla grande con i dollari rossi dell’allora Unione Sovietica, per inciso avversaria politica e militare dell’Italia partecipe della Nato. 

Nel richiamo di prima pagina del suo articolo dichiaratamente di “scuse” per il forte contributo dato alle manipolazioni giornalistiche dell’inchiesta giudiziaria, già manipolata di suo col nome di “Mani pulite”, c’è una fotina di Antonio Di Pietro che potrebbe far pensare ad un’intervista con quello che fu il magistrato d’accusa allora più famoso.

No, non è un’intervista all’ormai Cincinnato di “Mani pulite”, tanto misteriosamente quanto improvvisamente ritiratosi dalla magistratura per lasciarsi poi tentare dalla politica e ritirarsi anche da questa, metaforicamente scoppiato come un palloncino per lo spillo infilatovi da una giornalista in televisione. Che raccontò del metodo di finanziamento e di gestione del partito un pò troppo enfaticamente chiamato “Italia dei valori”: bollati come le carte che hanno appena travolto, con tanto di sospensione giudiziaria, il vertice della formazione in qualche modo erede del partito di Di Pietro per la foga manettara, diciamo così, in cui nacque nel 2009. E’ naturalmente il MoVimento 5 Stelle.

Vittorio Fetri sul Libero

Questa volta Feltri non ha replicato. A intervistare nuovamente Di Pietro non ci ha neppure pensato. Gli è bastato richiamarsi alla prima  intervista strappatagli in quegli anni falsamente magici di “Mani pulite”, quando ottenne una quantità tale di notizie sparabili come cannonate in prima pagina da moltiplicare nelle edicole le copie del giornale –l’Indipendente– che aveva ereditato sul punto di fallire.

Vittorio Feltri su Libero

Trent’anni dopo l’epico decollo di “Mani pulite”, come già riconosciuto dall’allora capo della Procura di Milano Francesco Saverio Borrelli e dal superstite Gherardo Colombo, per non parlare di Francesco Greco e Camillo Davigo, la corruzione sopravvive anche più sfacciatamente di prima. Per cui Feltri, di fronte all’attuale “classe politica di infimo livello”, ha voluto scusarsi coi lettori “se ho ecceduto nel menare le mani” contro l’altra, ma -ha aggiunto- “ho qualche attenuante: mi prudevano”. Le sue quindi sono scuse sino ad un certo punto. Infatti in un altro passaggio del suo articolo si legge: “Sono pentito? Solo un pò. La mia indole di direttore di successo era troppo forte”. 

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Ora Feltri può godersi, si fa per dire, i frutti della sua opera vedendo i partiti più o meno gestiti direttamente dai magistrati, penali o civili secondo le circostanze, con indagini, processi, ordinanze e sentenze le cui cronache si mescolano a quelle politiche in un minestrone maleodorante, a dir poco. E con operatori dell’informazione -chiamiamoli così- ancora più disinvolti dell’allora giovane Feltri. Che magari fra trent’anni si scuseranno anche loro alla sua maniera, pentendosi “solo un pò”. Per ora Giuseppe Conte si tenga pure la sua sospensione giudiziaria da presidente delle 5 Stelle, il garante Beppe Grillo la sua crociera d’influenze con l’amico armatore Vincenzo Onorato e Matteo Renzi -il più fortunato in fondo- il suo riflesso nello specchio di Silvio Berlusconi fotomontato da Marco Travaglio, il successore del Feltri dei primi anni Novanta.  

Il centrodestra al capolinea degli errori risalenti alle origini

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  E’ imperdibile quella vignetta di copertina del Foglio di lunedì su Giorgia Meloni un po’ extraterrestre: nello spazio, altro che “sugli spalti” come l’ha immaginata criticamente la ministra forzista Mariastella Gelmini parlandone al Corriere della Sera. E’ una leader ormai da incontri di terzo tipo nel panorama politico italiano, per lei già difficile prima della corsa al Quirinale e ancora di più adesso che il buon Sergio Mattarella è stato confermato con i voti della maggioranza di governo. Dalla quale i fratelli d’Italia erano orgogliosamente l’unica componente di centrodestra estranea, e ancor più lo saranno nella parte residua della legislatura, per quanti sforzi vorranno fare per sganciarsi pure loro i grillini del sospeso Giuseppe Conte, da sinistra, e i leghisti di Matteo Salvini da destra.

Prima, a botta calda, “inorridita” dalla disinvoltura pro-Mattarella bis di Salvini e di Silvio Berlusconi, in ordine di consistenza sondaggistica, la Meloni si era addirittura proposta di “rifondare” il centrodestra. Poi ha alzato ancor più la posta predisponendosi -sovranista in tutto- ad affrontare da sola le prossime elezioni politiche. Dalle quali evidentemente ritiene di poter fare uscire il proprio partito come il più votato in assoluto, superando sia ciascuno degli ex alleati, sia il Pd di Enrico Letta, figuriamoci poi i grillini già destinati a un dimezzamento che potrebbe aggravarsi col regolamento dei conti in corso fra Luigi Di Maio, scambiato dai più volenterosi per un redivivo Giulio Andreotti, e Giuseppe Conte, scambiatosi da solo e da più tempo per un redivivo Aldo Moro. 

             Qui c’è solo l’imbarazzo della scelta fra chi, dei tre, cioè la Meloni, Di Maio e Conte, si sia maggiormente sopravvalutato politicamente, battendo comunque tutti insieme Beppe Grillo. Che di recente si è addirittura travestito da Gesù sul suo blog personale e poi ha scommesso ancora, nonostante lo sconquasso ora anche giudiziario, di portare il MoVimento 5 Stelle dagli ardori “giovanili” alla “maturità”. 

Vignetta di Vairo sul Fatto Quotidiano

        Pur nell’imbarazzo della scelta -ripeto- fra chi si sia più gonfiato nel panorama politico del Mattarella bis, e del Draghi bloccato a Palazzo Chigi o perché troppo bravo, e quindi insostituibile come presidente del Consiglio, o perché troppo ambizioso e pericoloso come aspirante al Quirinale, credo che l’area politica maggiormente e più sorprendentemente devastata dagli sviluppi della situazione, sia quella di centrodestra. Che, pur ancora unito in tante amministrazioni locali e apparentemente più solido rispetto al marasma grillino, paga l’approssimazione con la quale è stata gestita, ma forse fu persino fondata 28 anni fa da Silvio Berlusconi con quella spericolata decisione, pur premiata dagli elettori per la debolezza ancora più grande dei suoi avversari, di allearsi al nord con la Lega allora separatista di Umberto Bossi e al centro-sud con l’ancora Movimento Sociale di Gianfranco Fini, sdoganato in un Autogrill con un inciso riguardante una battaglia in corso per il Campidoglio. Non fu il massimo della chiarezza, diciamo così, anche se apparve un capolavoro di astuzia di fronte all’armata di Brancaleone allestita da Achille Occhetto addirittura come una “gioiosa macchina da guerra”.

L’improvvisazione lì per lì premiò il Cavaliere, nel clima di sbandamento creato dal proposito dei magistrati di “rivoltare il Paese come un calzino”, preferendo la maggioranza degli italiani affidare una simile impresa ad un imprenditore di successo, ma poi tutto andò via via aggrovigliandosi perdendo pezzi per strada. 

Smontata e rimontata più volte, la coalizione di centrodestra è stata danneggiata anche dalla decisione presa da Berlusconi di preferire alle primarie per il candidato a Palazzo Chigi, e quindi per la leadership, il peso elettorale di ciascun partito immaginando evidentemente la insuperabilità della sua Forza Italia. Che è stata invece sorpassata dalla Lega e più ancora dalla destra post-finiana e a suo modo populista della Meloni: di un populismo a volte concorrente di quello grillino delle origini.

Pubblicato sul Dubbio

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