Chi sta giocando sporco, anzi sporchissimo, contro Mario Draghi

Titolo del Giornale
Titolo copertina del manifesto

 Non ha tutti i torti Altan a chiedersi su Repubblica “contro chi Draghi dice di rigare dritti”, pur avendo sbollito la rabbia del giorno prima, avere ritrovato “bellissimo” il suo governo, o “gasatissimo”, come lo sfottono sulla prima pagina quelli del manifesto, e avere pescato otto miliardi di euro per aiuti a famiglie e imprese.danneggiate dai maggori costi energetici. Che sono stati liquidati come “una pezza” non o non solo dal solito Travaglio sul Fatto Quotidiano, ma anche dal Giornale della famiglia di Berlusconi. Dal quale il presidente del Consiglio potrebbe pur aspettarsi più comprensione, quanto meno, dopo essere stato inchiodato dal Cavaliere mani e piedi a Palazzo Chigi perché sarebbe stato impossibile sostituirlo se lo si fosse lasciato trasferire al Quirinale per succedere a Sergio Mattarella. Misteri della politica, come quelli della fede richiamati dal sacerdote alla messa dopo la consacrazione del pane e del vino. 

Titolo di Domani
Titolo della Stampa

I partiti, quelli della maggioranza, sembrano davvero avere voluto “tenere Draghi a palazzo Chigi per sabotarlo”, come ha titolato Domani pensando ai fatti del giorno prima e a quelli probabilmente di dopodomani, nel clima della “tregua armata” evocata dalla Stampa pensando non alla Russia, all’Ucraina e dintorni, ma proprio a casa nostra, in particolare ai “rischi” che corre il piano della ripresa per le difficoltà di rispettare le scadenze delle riforme alle quali sono condizionati i cospicui finanziamenti dell’Unione Europea. 

Titolo della Verità

    Quella di Draghi che chiede più disciplina e lealtà ai partiti della maggioranza, avvertendo che è capace di trovarsi da solo un altro lavoro, sarà pure “la pistola scarica” descritta con una convergenza non insolita sia dal già citato Travaglio sia, sul versante che dovrebbe essere politicamente opposto, di Maurizio Belpietro  sulla sua Verità, ma francamente non se ne vede un’altra di ricambio da mettergli nelle mani o da consegnare a qualche altro presidente del Consiglio, magari di lunga e provata militanza partitica: un politico professionale, non dilettante come lo considera il direttore del Fatto rimpiangendo un giorno sì e l’altro pure l’ancor più dilettante Giuseppe Conte. A meno che, naturalmente, con convergenze neppure queste insolite fra destra e sinistra estreme, non si voglia puntare alla fine anticipata della legislatura e alle elezioni, essendo ormai il presidente della Repubblica non più impedito dall’ultimo semestre del suo primo mandato ormai trascorso. 

La storica vignetta della sconfitta di Fanfani sul divorzio

Ma anche alle elezioni anticipate di un anno -non si facciano illusioni quelli che vi stanno scommettendo unendosi alla destra di Giorgia Meloni- non penso che Mattarella voglia arrivare e mandare gli italiani con un governo diverso da quello attuale. E anche i referendum sulla giustizia appena ammessi dalla Corte Costituzionale che tanti temono -per esempio, nel Pd e sotto le cinque stelle, dove i magistrati sono venerati come divinità- non verranno certamente cassati dalle elezioni anticipate. Verranno solo rinviati. Come lo fu nel 1972, appunto con le elezioni anticipate, quello sul divorzio, Che poi si svolse con la clamorosa sconfitta di tutti quelli che lo temevano dopo averlo peraltro promosso, o fatto promuovere, come la Dc di quel pur grande professionista della politica che era Amintore Fanfani. 

Ripreso da http://www.policymakermag.it

Finalmente un voto popolare sulla stagione di “Mani pulite”

Titolo del Dubbio

Anche se è saltato quello forse più eclatante, avendo la Corte Costituzionale voluto proteggere ancora i magistrati dalla responsabilità civile con quella specie di filo spinato concesso loro dal Parlamento nel 1998, quando una nuova legge vanificò il verdetto popolare di qualche mese prima prodotto dallo sdegno più che giustificato per la vicenda giudiziaria dell’incolpevole Enzo Tortora, i cinque referendum sulla giustizia ammessi dalla Consulta offriranno in primavera agli elettori una preziosa occasione per rispondere ad un quesito in qualche modo sotterraneo a quelli che saranno stampati sulle schede. E che –quasi illuminando l’altra faccia della luna- potremmo così formulare, anche a costo di scandalizzare i giudici costituzionali, a cominciare dal loro presidente Giuliano Amato, “sottile” in dottrina e in tante altre cose, compresa la politica da lui servita come sottosegretario, ministro e due volte capo del governo: siete scontenti o no degli effetti di “Mani pulite”, di cui si celebra quest’anno il trentesimo anniversario?

Titolo interno del Dubbio

           Se siete scontenti, come d’altronde lo fu persino l’ex capo della Procura di Milano Francesco Saverio Borrelli scusandosene pubblicamente alla presentazione di un libro evocativo scritto da Paolo Colonnello, uno dei cronisti giudiziari che le aveva raccontate più diligentemente, potete tranquillamente rispondere si alla proposta di abrogare le norme che le avevano permesse, o sopraggiunte per rafforzarne il risultato complessivo. Che fu quello di sottomettere la politica alla giustizia, rovesciando i rapporti di forza voluti dai costituenti, a cominciare dall’amputazione dell’immunità parlamentare scritta nel testo originario dell’articolo 68 della Costituzione per finire con la violazione largamente consentita a quel poco rimastone ancora in vigore, specie in materia di intercettazioni. Luciano Violante, promotore di quella modifica costituzionale, se n’è appena un po’ pentito sul Foglio.

Se non siete invece scontenti, o addirittura siete pienamente soddisfatti delle esaltazioni che ancora si fanno di quelle gesta, potete tranquillamente rispondere no all’abrogazione delle norme che ancora consentono, per esempio, l’unicità delle carriere dei magistrati inquirenti e giudicanti, il ricorso abbondante alla carcerazione preventiva, prima del processo cui spesso neppure si arriva col rinvio a giudizio, o l’applicazione retroattiva di norme, pene e sanzioni introdotte successivamente a “Mani pulite” per rafforzarne, diciamo così, la logica. 

Mi riferisco, a quest’ultimo proposito, alla cosiddetta legge Severino, contestata da uno dei referendum per fortuna ammessi dalla Corte Costituzionale e costata nel 2013 il seggio del Senato a Silvio Berlusconi con votazione innovativamente palese disposta dall’allora presidente del secondo ramo del Parlamento, casualmente ex magistrato: Pietro Grasso. Che ancora se ne compiace e -casualmente, di nuovo- si è appena doluto come senatore semplice di maggioranza del disturbo che può procurare la campagna referendaria all’esame parlamentare in corso di alcune reali o presunte riforme parziali della giustizia che il governo di Mario Draghi ha ereditato dal precedente proponendosi però di modificarle in senso più garantista, o meno giustizialista, come preferite, considerando la militanza grillina dell’ex guardasigilli Alfonso Bonafede. Che è quello – per darvi un’idea- riuscito a strappare all’epoca della maggioranza gialloverde il consenso anche di una senatrice e avvocatessa come la leghista Giulia Bongiorno all’introduzione, come una supposta in una legge contro la corruzione, di una norma per la soppressione della prescrizione all’arrivo della sentenza di primo grado. 

Mani pulite raccontate da Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano

Coraggio, elettori referendari: riflettete e datevi da fare con molta e molto buona volontà. Tanto, Travaglio in cabina non vi vede, come si diceva di Stalin nelle storiche elezioni del 1948 stravinte dalla Dc contro il fronte popolare contrassegnato dall’immagine dell’incolpevole Giuseppe Garibaldi. Cito Travaglio perché egli ha appena scritto che quella di “Mani pulite”, con tutti gli effetti che ne sono derivati, “fu una rara parentesi di normalità nel Paese di Sottosopra”, testuale.

Pubblicato sul Dubbio

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