Gli applausi sono durati più del discorso di Mattarella a Montecitorio

Dopo il giuramento Mattarella torna al Quirinale

Come già nella brevissima dichiarazione di sabato sera al Quirinale, dopo avere ricevuto dal presidente della Camera la notifica della rielezione, il presidente della Repubblica ha riproposto nel discorso al Parlamento in seduta comune successivo al giuramento le emergenze “sanitaria, economica e sociale” che attanagliano l’Italia. Ed hanno certamente contribuito alla responsabile decisione di obbedire ai senatori, deputati e delegati regionali che lo hanno confermato.Egli ha in un certo senso graziato la politica non aggiungendo la sua emergenza alle altre. Che è stata invece la più macroscopica emersa dalle sette votazioni inutili svoltesi prima dell’ottavo e decisivo scrutinio, preceduto da quel rito della resa dei partiti, i cui leader d’altronde Mattarella non ha neppure voluto ricevere al Quirinale per raccogliere l’appello generale ad accettare la conferma, esclusa solo la componente di destra dei “fratelli d’Italia”. Egli ha preferito ricevere e accogliere una simile richiesta formulata dai gruppi parlamentari. 

Il ritorno al Quirinale

Della centralità del Parlamento il capo dello Stato ha parlato proprio nella parte iniziale del discorso a Montecitorio lamentando come più chiaramente non poteva -fra gli applausi scroscianti levatisi da ogni settore dell’aula- le ristrettezze impostegli col percorso troppo accelerato di tante leggi, a cominciare da quelle del bilancio. Mancava solo che dicesse papale papale, a costo di umiliare i presidenti delle assemblee legislative che lo affiancavano: “Non si ripeta più”.

Da vecchio, consumato, navigato parlamentarista, e professore di diritto parlamentare, Mattarella ha pronunciato un discorso studiato apposta per non sfuggire a nessuno, ma proprio a nessuno degli argomenti di cui dovranno occuparsi le Camere e i governi che prima o dopo succederanno a quello in carica presieduto da Mario Draghi. Cui il capo dello Stati intanto ha voluto rivolgere un ringraziamento e un augurio a conferma del rapporto fiduciario instauratosi l’anno scorso, con la chiamata a Palazzo Chigi di ratificata con la larga fiducia parlamentare che non gli è mai venuta meno sino ad ora, per quante insofferenze partitiche si siano avvertite, anche nelle ultime ore. 

In nome della “dignità” -parola quasi magica alla quale egli ha voluto ricorrere-  Mattarella ha toccato tutti i problemi sul tappeto sollecitandone la soluzione perché, in effetti, ogni diritto mancato o violato è un vulnus alla dignità di ciascun cittadino sofferente e del Paese nel suo insieme. 

Questa volta spero che nessuno contesti a Mattarella-  come purtroppo accadde sui giornali di area del centrodestra in occasione del suo messaggio televisivo di Capodanno, che doveva essere l’ultimo della sua esperienza al Quirinale- di non avere affrontato il tema della giustizia. Eccome l’ha affrontato, insistendo con forza sulla necessità di una “riforma” che restituisca finalmente “credibilità” ad una magistratura che evidentemente l’ha perduta, anche con le sue decisioni “arbitrarie e imprevedibili”. 

Nel cortile del Quirinale

E’ vero -.prevengo qualche ipercritico- che il presidente della Repubblica non ha ripetuto nel discorso di insediamento l’esortazione alla “rigenerazione” dell’ordine giudiziario più volte evocata in incontri al Quirinale con toghe di ogni tipo e nel Consiglio Superiore della Magistratura. Ma è come se lo avesse fatto quando ha detto praticamente che il recupero della credibilità presso i cittadini non può prescindere dalla rinuncia dei magistrati a “logiche di appartenenza”. Che sono tali sia quando le carriere si sviluppano per correnti sia quando le inchieste si conducono, e persino le sentenze vengono emesse, con spirito di parte. 

La figlia di Mattarella in tribuna a Montecitorio

L’applauso che ha accompagnato la parte del discorso di Mattarella sui problemi della giustizia è stato il più lungo e nutrito -o tale mi è apparso- dei tanti che hanno interrotto l’intervento del presidente rieletto della Repubblica: applausi che nel complesso sono durati, compreso quello finale, più di tutto il discorso, a dimostrazione della particolare e fortunata sintonia che si è creata fra il capo dello Stato e gli italiani, e viceversa. 

A ciascuno il suo messaggio: da Mattarella a Salvini e a Grillo

A ciascuno il suo messaggio, in attesa di quello odierno che Sergio Mattarella sta per rivolgere al Paese, in diretta televisiva, col discorso alle Camere in seduta congiunta dopo il giuramento di avvio del suo secondo mandato di presidente della Repubblica.

Mario Draghi

Matteo Salvini, nel suo piccolo di leader uscito peggio -credo- dalle elezioni presidenziali per avere perduto anche la leadership del centrodestra conquistata col sorpasso elettorale su Forza Italia nel 2018, o averlo probabilmente affossato fra il sollievo forse dello stesso Silvio Berlusconi, stanco di esserne o apparirne il garante con gli amici del Partito Popolare Europeo, ha appena lanciato contro il governo di Mario Draghi quello che vedremo come definire: un siluro o un getto di malumore. 

Titolo del Fatto Quotidiano

Naturalmente fra i grillini, insofferenti di Draghi ben prima dei leghisti e lacerati sulle sue prospettive di durata a Palazzo Chigi, dove comunque sono riusciti a trattenerlo evitando che salisse al Quirinale, hanno subito festeggiato con quel “governo morente” annunciato sul Fatto Quotidiano riferendo delle distanze prese da Salvini dalle ultime decisioni del Consiglio dei Ministri in materia di pandemia. “Morente” forse è un pò troppo ma dà bene l’idea dei sentimenti prevalenti sotto le cinque stelle contro il presunto autore, o comunque beneficiario, del famoso “Conticidio”. Che potrebbe essere compensato, secondo Conte, solo con un “Draghicidio”, come lo chiamano al Foglio con orrore, tanto sono sicuri dei suoi eventuali effetti interni e persino internazionali. 

Nel perseguimento di questa sua intima, e neppure tanto nascosta, aspirazione ritorsiva Conte deve avere pensato di avere trovato finalmente una sponda addirittura in Beppe Grillo: il fondatore, il garante, l’Elevato e non so cosa e quant’altro del MoVimento 5 Stelle. Di cui l’ex presidente del Consiglio si è affrettato ad apprezzare telematicamente il messaggio più o meno in bottiglia che Grillo ha mandato dalla sua crociera giudiziaria con l’amico armatore Vincenzo Onorato. Su una delle cui navi metaforiche il conico si è travestito addirittura da Gesù per fare un sermone copiato però da Gandhi. E che Conte ha scambiato, vedremo se a torto o a ragione, come una tirata d’orecchie, una sculacciata e simile a Luigi Di Maio, riuscito a scavalcare lo stesso Grillo nel sostegno a Draghi imposto l’anno scorso. 

Beppe Grillo sul suo blog

Convinto di essere non un “padre padrone” ma un papà generoso che ha dato ai figli tutto quello che poteva per aiutarli nel “passaggio dall’impossibile al necessario”, Grillo ha scritto che il necessario, appunto, è “saper rinunciare a sé per il bene di tutti, che è anche poter parlare non la forza di una sola voce”. Mancando la quale, contro “ruoli e regole” faticosamente scritte da Conte nella rifondazione del MoVimento -per cui lo stesso Conte si è considerato evidentemente beneficiario del messaggio di Grillo contro l’ormai troppo draghiamo Di Mario, o “Giggino‘a cornetta”, come lo chiamano al Fatto Quotidiano- “restano solo voci di vanità che si (e ci) dissolvono nel nulla”.

Dal Corriere della Sera
Achille Lauro a Sanremo

Di fronte a tanta apparente saggezza, mi sono ritrovato questa mattina a prendere “il caffè” sul Corriere della Sera con Massimo Gramellini per quel suo “Pietà, il Grillo Mistico no”: superato nella sua “trasgressione” da “quel cantante stonato che si è battezzato da solo sul palco di San Remo”, omonimo di quell’incolpevole buonanima di Achille Lauro

Il Mattarella usa e getta dei nemici irriducibili di Draghi

Titolo del Dubbio

Non basta applicare il passato remoto alla cronaca per farla diventare storia e raccontarla con la presunzione di un Tacito, senza averne peraltro la capacità di sintesi. Così ha fatto invece Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano ricostruendo a suo modo la vicenda di Mario Draghi mandato un anno fa da Sergio Mattarella a Palazzo Chigi per consumare l’ormai noto “Conticidio”, rivelarsi  più o meno rapidamente inferiore alle esigenze, proporsi furbescamente o disinvoltamente di fuggire addirittura al Quirinale, raccogliere non più di quei 5 miseri e miserabili voti contati dagli scrutatori, per quanto avessero lavorato per lui tantissimi infiltrati in vari partiti della maggioranza, compreso quello grillino, e infine rimanere dov’era in condizioni peggiori di prima. Condizioni dalle quali trarrà i maggiori benefici la destra di Giorgia Meloni, destinata a raccogliere, quando si riuscirà finalmente ad andare alle urne, il 30 per cento dei voti profetizzato proprio sul Fatto Quotidiano in una intervista da Vittorio Feltri, non so se in veste più di direttore editoriale di Libero, se lo è ancora dopo la nomina di Alessandro Sallusti a direttore responsabile, o di consigliere comunale di quella destra a Milano. 

    Dopo essersi compiaciuto, a botta calda, del contributo decisivo, credo, dato da Mattarella alla sconfitta di Draghi accettando di essere confermato, rieletto o solo “votato”, come l’esimio professore e presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky ha cercato di ridimensionare su Repubblica, il tacitiano Travaglio ha buttato giù dal podio il presidente  uscente e confermato della Repubblica liquidandolo come “un Napolitano qualsiasi”. Che nel 2013 si lasciò rieleggere dopo avere negato anche lui la disponibilità a restare, ma in realtà -ha più volte scritto lo stesso Travaglio a proposito di quel passaggio- manovrando perché le cose andassero in quel modo. 

Travaglio sul Fatto di ieri

           Tra “rinnego della parola data” anche questa volta, “la presidente del Senato ridicolizzata in diretta tv” col suo tonfo di candidata del centrodestra al Quirinale, “ la direttrice” dei servi segreti “impallinata da Letta jr, Di Maio, Forza Italia e frattaglie varie (e screditata dalla foto con Giggino”), come al Fatto Quotidiano chiamano il ministro degli Esteri, “la maggioranza in frantumi”, “le coalizioni e i partiti in pezzi”, “l’antipolitica ai massimi storici”, come se il suo giornale non vi avesse contribuito, “il nuovo boom dell’’astensionismo” e la sola Meloni dall’opposizione che “ci lucra”, sono tutti “bei pirla”, ha chiuso e certificato Travaglio. Proprio “tutti”, compreso quindi Mattarella col suo già appassito alloro antidraghiano, escluso solo il solito Conte, che al Fatto e dintorni rimpiangono ancora alla guida del governo e vorrebbero ora aiutare a liberarsi finalmente di Luigi Di Maio,  non più con le buone ma con le cattive, costi quel che costi, anche la dissoluzione completa del MoVimento uscito nel 2018 dalle urne come solo la Dc sapeva fare negli anni d’argento, se non in quelli d’oro di Alcide De Gasperi.

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