Ma che sta a dire Gustavo Zagrebelsky sulla conferma di Mattarella?

Lo scontro televisivo del 2006 sulla riforma costituzionale

Al bagno di realismo di Eugenio Scalfari, nella comoda e sicura vasca consona alla sua veneranda età di 98 anni da compiere  il 6 aprile, è seguita su Repubblica una doccia di irrealismo con un lungo articolo, quasi un saggio, dell’esimio costituzionalista Gustavo Zagrebelsky: sì, proprio lui, il presidente emerito della Consulta protagonista giuridico della campagna referendaria nel 2006 contro la sfortunata riforma costituzionale fatta approvare in Parlamento dal governo di Matteo Renzi. Col quale egli ebbe uno scontro televisivo, condotto da Enrico Mentana, in cui il pur amico Scalfari, sempre su Repubblica, gli assegnò una sconfitta contraddetta però dal risultato del referendum. Dopo il quale la Costituzione è rimasta quella che è. Ma non deve piacere neppure al professore -ripeto- esimio ed emerito se, volente o nolente, egli ha appena contestato la proclamazione della elezione -cioè rielezione- di Sergio Mattarella dichiarata solennemente nell’aula di Montecitorio dal presidente della Camera Roberto Fico e personalmente notificata poco dopo all’interessato in una sala del Quirinale, presente anche la presidente del Senato e mancata nuova presidente della Repubblica Maria Elisabetta eccetera eccetera.

Non di elezione, o rielezione, si sarebbe trattato secondo il presidente emerito -ripeto- della Corte Costituzionale ma semplicemente di una “votazione” conclusasi a favore del talentuoso e meritevole Mattarella per stato di necessità, analogo a quello che obbliga un naufrago ad aggrapparsi alla ciambella di salvataggio, non a sceglierla. 

Da Reoubblica

E’ quanto meno curioso che con questa premessa leguleica, più sofistica che socratica, il professore abbia concluso i suo articolo con una filippica contro le troppe parole nelle quali staremmo tutti affondando, e non solo i politici. “Più si parla -ha scritto anche con qualche citazione religiosa- e meno si fa, più cresce il distacco, la noia, l’avversione”.

Il professore Gustavo Zagrebelsky su Repubblica

Ciò varrebbe anche per l’informazione, finita nella corsa al Colle appena conclusa con la conferma, o con la sola “votazione” di Mattarella, “in mano ai soliti esperti di cose quirinalizie  e ai soliti “opinionisti” che hanno riempito fino alla noia i media” dimostrando “il male che si annida nelle troppe parole”. Comprese però le Sue, mio caro professore e presidente emerito della Consulta, con tutte le maiuscole dovute per educazione o prassi: comprese le Sue perchè, volente o nolente, esse si traducono in una sostanziale delegittimazione mediatica, quanto meno, del secondo mandato presidenziale di Mattarella che comincerà dopodomani con la cerimonia del giuramento davanti si parlamentari e ai delegati che lo hanno eletto. E non solo votato, per quanto sforzi sofistici possano essere fatti per negarlo o minimizzarlo. 

Con la modestia di un vecchio cronista che probabilmente ha frequentato più del professore e presidente emerito Gustavo Zagrebelsky i palazzi parlamentari, raccontando i fatti con i soli strumenti a sua disposizione che sono le tanto bistrattate o temute parole, mi permetto di contestare la riduzione a semplice stato di necessità, disperazione e simili, la conferma -chiamiamola così per evitare sia il termine di “elezione” sia quello di “votazione”- di Sergio Mattarella al Quirinale, nonostante il trasloco già cominciato e in qualche modo persino ostentato dal presidente e dai suoi collaboratori. I parlamentari hanno dimostrato una volta tanto di essere più responsabili, più consapevoli, più saggi, meno parolai -se si preferisce- dei leader e leaderini dei loro partiti, o ex partiti. Peones o non peones, essi avranno pure tutelato i loro vitalizi, o come diavolo si debbono ora chiamare, ma hanno anche riabilitato il Parlamento rispetto all’uso che ne volevano fare i capi e capetti di partiti, correnti e tribù varie. 

Ripreso da http://www.startmag.it

Se la stampa zoppica, eccome zoppica, alle prese col Mattarella bis …..

Titolo del Dubbio

Calatosi per un una volta nell’attualità politica dalle contemplazioni filosofiche e culturali impostesi sulla strada ch’egli per ragioni di età definì struggentemente l’ultimo viaggio, Eugenio Scalfari da una parte ha voluto partecipare alla festa della conferma di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica nella caotica situazione prodotta dai partiti, tutti più o meno in cerca del classico autore, e dall’altra ha voluto consolare quanti avrebbero voluto invece l’elezione di Mario Draghi. E pensavano -sottovalutando sia il senso di responsabilità del capo dello Stato uscente sia quello di irresponsabilità di una parte persino della maggioranza ritrovatasi un anno fa attorno allo spirito dell’unità nazionale in condizioni di emergenza- che l’obiettivo fosse a portata di mano per l’enfatica esibizione, da parte di troppo solerti estimatori e forse anche collaboratori,  dell’indisponibilità di Mattarella ad una rielezione. 

Scalfari su Repubblica di ieri
Scalfari su Mattarella e Draghi

Draghi, mossosi personalmente a favore della conferma del Presidente quando ha visto sovrapporsi un’emergenza istituzionale alle altre che lo avevano già portato a Palazzo Chigi, “può adesso cogliere l’occasione -ha scritto Scalfari- per accrescere comunque la sua presa sulla maggioranza e portare a termine con efficacia i compiti che si è dato”. E non sono certamente “da poco”. “La Repubblica -ha insistito l’ormai decano del giornalismo italiano dopo la scomparsa dell’ultracentenario Sergio Lepri- va certamente guidata ma il governo è altrettanto importante e Draghi è in grado di ricoprirne autorevolmente le responsabilità”. 

Che differenza di stile e di contenuto da certo giornalismo militante, diciamo così, al quale -va detto con onestà- anche Scalfari partecipò a lungo negli anni della lontana e cosiddetta prima Repubblica, e in parte anche in quelle successive, sino a quando non sbottò, di fronte all’arrivo dei grillini sulla scena politica, dicendo di preferire a loro il pur tanto da lui combattuto Silvio Berlusconi. 

Sul Fatto Quotidiano di ieri

Ora, convinto magari di essere un mezzo erede giovane dello scalfarismo di un tempo e vedendo in Draghi, con il suo dichiarato e preferito “liberalsocialismo”, il fantasma dell’odiato Bettino Craxi, con l’aggravante della presunta appartenenza al potere finanziario internazionale, Marco Travaglio assume le funzioni di pubblico ministero -e di chi sennò ?- nel “processo a Di Maio” annunciato con tanto di titolo sulla prima pagina del suo Fatto Quotidiano. E ciòper ripulire finalmente il MoVimento 5 Stelle, presieduto da Giuseppe Conte, dei “draghiani” che vi si sarebbero infiltrati sotto la guida appunto del ministro degli Esteri. Che, sempre secondo Travaglio, spalleggiato dall’ormai ex o post grillino Alessandro Di Battista, avrebbe avuto la sfrontatezza di contestare pubblicamente lo stesso Conte per la gestione della corsa al Quirinale. 

Questa corsa si è chiusa sì con la “sconfitta” di chi voleva l’elezione di Draghi, ma anche con quella conferma di Mattarella a lungo rappresentata sul Fatto Quotidiano come un’altra sciagura opportunamente avvertita dallo stesso presidente uscente della Repubblica. Di cui pertanto il giornale di Travaglio ha condiviso per mesi tutte le esternazioni, dirette o indirette, o tutti i sospiri contro una rielezione, sino a esortarlo ad un certo punto a insultare in stretto dialetto siciliano quanti invece si ostinavano a sperare in un suo ripensamento. O soltanto si sforzavano di cogliere, fra le varie sortite, sempre dirette e indirette, di Mattarella qualche parola, qualche aggettivo, qualche pausa che potesse fare apparire meno drastico il rifiuto di restare al Quirinale, o meno attendibile l’esibizione degli scatoloni d’imballaggio per il trasloco.

Si potrebbe ripetere col mitico Humphrey Bogart che “è la stampa, bellezza”, con la sua libertà e la sua potenza, o pretesa -ai giorni nostri, e nel nostro Paese- di influire sugli sviluppi della situazione politica sostituendosi ai partiti rinunciatari o sostenendo sino all’esasperazione le loro schegge più massimaliste. Ma anche in questa avventura, chiamiamola così, dovrebbe essere avvertita la necessità di un limite, oltre il quale non è più stampa, e soprattutto non è più bellezza. Diventa un’altra cosa, un surrogato della politica che, diversamente dalla stessa politica comunque sottoposta alle elezioni, non risponde di niente a nessuno.

Indro Montanelli

Rispondiamo ai nostri lettori, diceva orgogliosamente Indro Montanelli, già prima che io avessi avuto il piacere e l’onore di lavorare con lui, come poi capitò anche a Travaglio che però è riuscito a diventarne il biografo ed erede almeno più visibile e ostentato. Ma persino Montanelli, che era appunto Montanelli, con frotte autentiche di lettori e con le fila degli acquirenti dei suoi libri, dovette provare il risvolto impietoso di quell’orgogliosa rivendicazione, in tempi peraltro in cui l’informazione cosiddetta alternativa ed elettronica non era ancora quella così invasiva di oggi. 

Il “nostro” Giornale, fondato nel 1974 grazie anche ai finanziamenti procuratici dall’allora segretario della Dc Amintore Fanfani attraverso regolari contratti -per carità- pubblicitari, dovette cercarsi ad un certo punto un altro editore, che fu Berlusconi. E quando Montanelli ruppe con lui e fondò un altro giornale tutto per conto suo, dovette chiuderlo abbastanza presto. Era, ripeto, Montanelli, davvero allergico, non a parole, ai giochi della politica, senza tuttavia aspirare a sostituirvisi: tanto allergico da rifiutare la nomina a senatore a vita offertagli da quel matto -diceva lui stesso- del presidente della Repubblica Francesco Cossiga. 

Pubblicato sul Dubbio

                   

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