Il Mattino nasconde di notte l'”eretico” garantista Umberto Ranieri

Umberto Ranieri, storico dirigente napoletano del Pd, cinque volte deputato, una volta senatore, tre volte sottosegretario agli Esteri, un migliorista a 24 carati di quello che fu il Pci, ha scritto per Il Mattino una lunga, onestissima e sotto molti aspetti inedita “riflessione” su Mani pulite da lui vissute non certo come un passante.

Umberto Ranieri su Mattino di domenica

  Riconosciuto ad Enrico Berlinguer il merito di avere sollevato per primo la cosiddetta questione morale denunciando l’esorbitante spazio occupato dai partiti in una situazione bloccata dalla mancanza di alternative agli equilibri politici formatisi a livello sovranazionale dopo la seconda guerra mondiale, Ranieri ha contestato all’allora popolarissimo segretario del Pci di non avere praticamente fatto nulla per andare oltre alla denuncia e rimediarvi. All’alternativa da costruire con gli scomodi cugini o compagni socialisti, specie quando Bettino Craxi ne assunse la guida, pur non citati né gli uni né l’altro stavolta da Ranieri, il segretario comunista in effetti preferì il  compromesso storico con la Dc. Che pure era  la prima beneficiaria del blocco politico in cui l’economia “ampiamente statalistica” la faceva da padrona. E alla cui ombra, tra appalti e simili, si sviluppava la pratica del finanziamento “irregolare” che “in una certa misura riguardava anche il Pci”, per cui “sarebbe una manifestazione di ipocrisia negarlo”, ha scritto Ranieri.

Ranieri su Mattino

Quando esplose il bubbone con Tan gentopoli,  Mani pulite e varianti “il Pci/Pds fornì un acritico sostegno all’azione giudiziaria  persuaso che l’attività repressiva potesse favorire quel rinnovamento che non si era capaci di produrre per via politica. Un appoggio -ha insistito Ranieri- che non venne meno neppure di fronte all’emergere di riserve sulla legittimità o correttezza delle modalità operative della procura di Milano”, specie con l’abuso delle manette. 

Ranieri al Mattino

  “Fu Gerardo Chiaromonte  -ha raccontato Ranieri- a denunciare senza incertezze ed esitazioni lo sconfinamento della giurisdizione penale e la messa in mora dei principi di garantismo. Fu un drammatico errore che Gerardo denunciò assecondare gli umori giustizialisti e non prevedere che “gli effetti di un terremoto giudiziario sulla evoluzione del sistema politico avrebbero potuto essere più dannosi che vantaggiosi”. 

  Infatti “all’orizzonte comparve il cavaliere Berlusconi” vincendo le elezioni del 1994 non solo o non tanto per le capacità manipolatrici e di fuoco mediatico attribuitegli dagli avversari quanto perché “in realtà, una parte considerevole degli elettori non ritenne giusto che a essere spazzata via dalle inchieste fosse solo l’area dei partiti di governo, che non corrispondesse alla realtà quella sorta di “univocità di colpa”. 

Ranieri sul Mattino

  A proposito del tentativo fallito dal governo Amato, col famoso decreto legge del ministro della Giustizia Giovanni Conso, per una uscita cosiddetta politica da Tangentopoli, e non solo giudiziaria o manettara, Ranieri ha scrupolosamente testimoniato, da deputato qual era a quei tempi, che la Commissione degli affari costituzionali della Camera se n’era già occupata convenendo con un complesso di “sanzioni amministrative e pecuniarie per l’illecito finanziamento dei partiti, e clausole che comportavano insieme alla confessione l’uscita dei responsabili del reato dalla vita politica”. “Altro che colpo di spugna”, ha scritto Ranieri aggiungendo che “furono il pool di Mani Pulite e l’Associazione nazionale dei magistrati a impedire che si adottasse il provvedimento” varato da governo “minacciando fuochi e fiamme e intimorendo il presidente Scalfaro, che rifiutò di firmare il decreto”. 

Ranieri sul Mattino

     Di fronte ad “una politica rimasta debole”, che “ha continuato a subire negli anni successivi un forte condizionamento da parte del potere giudiziario”, per cui “non si è riusciti a ripristinare rapporti di maggiore equilibrio istituzionale”, i referendum sulla giustizia appena ammessi dalla Corte Costituzionale “forse aiuteranno il Parlamento a misure di modernizzazione del sistema giudiziari”, ha scritto Ranieri esortando a “impegnarsi perché accada”. 

La pagina 43 del Mattino di domenica
Dalla prima pagina del Mattino di domenica

Ebbene, sapete dove Il Mattino ha pubblicato domenica questa pò pò di riflessione, testimonianza  e quant’altro? A pagina 43, senza un rigo -dico un rigo- di richiamo in prima pagina. Dove invece si è preferito il richiamo che meritava, per carità, ma non meno dell’articolo di Ranieri, il drammatico ricordo del suicidio del padre e parlamentare socialista bresciano Sergio Moroni da parte della figlia Chiara: un dramma che senza la “riflessione” di Ranieri non si potrebbe certo valutare appieno. 

Dalla prima pagina del Mattino di ieri

  Ma ieri, lunedì, non so per caso o per una qualche graduatoria politica, ho trovato sulla prima pagina dello stesso Mattino – il giornale al cui allora direttore Giovanni Ansaldo chiesi e ottenni da studente universitario di scrivere, vedendomi commissionare un bel pò di recensioni di libri politici- il richiamo in prima pagina di un’intervista di Luciano Violante in cui si dà “ragione a Craxi”. Ma allora cosa avrà mai fatto Ranieri al Mattino, mi chiedo cogliendo l’occasione per attribuire anche a noi giornalisti la responsabilità della crisi della politica.  

Pubblicato sul Dubbio           

Cortese disputa su chi ha creato i mostri di “Mani pulite”

A Milano, dove lavoravo ai tempi di “Mani pulite” dirigendo Il Giorno, chiamavo “moschettieri” i sostituiti procuratori della Repubblica che facevano sognare le folle inneggianti alle manette: più ne scattavano e più ancora ne reclamavano, di qualsiasi colore politico fossero i polsi ai cui venivano agganciate, prevalentemente all’alba, ma qualche volta anche di giorno. in tarda serata e di notte. In quest’ultimo caso sempre sotto le luci degli operatori televisivi e i flash dei fotografi puntuali agli appuntamenti che qualcuno aveva dovuto pur dare ai superiori, o a loro direttamente, dagli uffici giudiziari. 

Francesco Cossiga

      L’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che ogni tanto veniva a Milano anche in quel periodo e mi dava il piacere e l’onore di incontrarmi in un salotto della Prefettura, rimase talmente divertito da quell’immagine dei moschettieri che una volta mi chiese il permesso di rubarmela, visto che che -coi tempi che correvano- mi ero ben guardato dall’usarla nei miei editoriali, a rischio di qualche sciopero di una redazione il cui comitato sindacale già contava ogni giorno il numero delle pagine e dei titoli che dedicavo a “Mani pulite”, sospettato com’ero di simpatia e amicizia per Bettino Craxi. Che Vittorio Feltri, dopo una cena con Antonio Di Pietro, aveva cominciato sul suo Indipendente a chiamare “il cinghialone”, alla cui caccia si stavano impegnando nella Procura guidata da Francesco Saverio Borrelli. 

    Neppure Cossiga, che con i magistrati andava spesso giù pesante, avendo già minacciato una volta di presidiare con i Carabinieri un Consiglio Superiore della Magistratura intenzionato a discutere proprio contro Craxi nonostante la sua diffida ufficiale, essendo il presidente del Consiglio sottoposto solo alla fiducia o sfiducia del Parlamento; neppure Cossiga, dicevo, se la sentì poi di rubarmi davvero quell’immagine dei moschettieri. Con uno dei quali d’altronde capii poi che aveva stretto rapporti tali da risultare a volte informato del loro lavoro più dello stesso Borrelli, che se ne sorprese pubblicamente in una biografia autorizzata scritta da Marcella Andreoli. 

Foto d’archivio degli inquirenti di Tangentopoli

      Fra i moschettieri vi confesso anche che ce n’era uno -non quello di Cossiga- che mi sembrava più simpatico o meno antipatico degli altri, come preferite. Era Gherardo Colombo, con quei capelli d’artista e quel silenzio quasi assordante che opponeva alla loquacità dei suoi colleghi. Mi sembrava insomma il più serio di tutti, non a caso sfilatosi poi dalla magistratura senza fare tante storie, senza candidarsi con alcun partito al Parlamento, lasciandosi proporre dal Pd solo ad un posto onorevolmente occupato in uno dei Consigli di Amministrazione della Rai, peraltro in compagnia della figlia del mio carissimo e indimenticabile collega Walter Tobagi, assassinato sotto casa da aspiranti brigatisti rossi, e infine -mi dicono- assistendo in qualche modo il sindaco di Milano in carica. 

Titolo dell’intervista di Gherardo Colombo al Giornale di ieri

    Di Gherardo Colombo ho abitualmente apprezzato la discrezione con la quale negli anniversari di “Mani pulite” ha sempre parlato della sua esperienza, non escludendo di avere potuto sbagliare con i suoi colleghi, pur senza arrivare alle scuse una volta chieste dal capo in persona Borrelli. Ma mi è saltata un po’ la mosca al naso, sia pure fuori stagione, sentendogli dire  ora al Giornale che ai tempi dei miei moschettieri non furono i pubblici ministeri ma “i media a creare i mostri”. Eh no, caro il mio stimato e preferito Colombo. Anche i mostri hanno un papà e una mamma. Se il papà è stato il giornale di turno, la mamma è stata la Procura anch’essa di turno, con rispetto almeno della natura tradizionale o comune. 

Ripreso da http://www.startmag.it il 26 febbraio 2022

Blog su WordPress.com.

Su ↑