Bentornato all’elefantino rosso di Giuliano Ferrara sul suo Foglio

Ben tornato a Giuliano Ferrara dopo la pausa impostagli da un infarto superato come solo lui avrebbe potuto e voluto, con quell’ostinazione di vivere, combattere e pensare che lo contraddistingue. E di cui hanno fatto le spese in tanti, fra televisione e carta stampata, compreso il sottoscritto in un’occasione ormai lontana. Che fu da lui stesso sanata assai signorilmente, a dispetto della frequente irruenza, con una collaborazione al suo Foglio  di cui serbo un buon ricordo, dopo l’esperienza della direzione del Giorno che era stata l’occasione del nostro scontro 

      Giuliano, col quale ho peraltro scoperto di avere condiviso, sia pure in anni diversi, avendo lui tredici anni meno di me, la frequentazione del liceo classico del Convitto Nazionale di Roma, ha ripreso a scrivere con la sua inconfondibile “firma” dell’elefantino rosso occupandosi della crisi internazionale che occupa le prime pagine dei giornali: tra le minacce di Putin di invadere l’Ucraina, anche a costo di danneggiarsi, e la solita debolezza dell’Europa “di  nuovo in ballo sull’abisso”. 

          La precedenza data da Giuliano ai temi internazionali è stata forse dettata da motivi di sicurezza che né la moglie, né il fratello, né gli amici, né i medici hanno avuto bisogno -credo- di segnalargli o consigliargli. A rioccuparsi subito della politica interna italiana, dei partiti che l’affollano, dei leader, leaderini e comparse che vi salgono e ne scendono come da una giostra, peraltro all’indomani della mancata elezione di Mario Draghi al Quirinale, da lui fortemente sostenuta già dall’estate scorsa, Giulianone avrebbe rischiato di rimettere a troppo dura prova il suo cuore appena riparato a dovere. Ma, statene certi, questa coda di pausa, diciamo così, durerà poco. E guai a chi gli capiterà sotto. 

La democrazia minacciata dall’indolenza dei partiti pur divisi e litigiosi

Paolo Mieli ci aveva già provato una volta, e di recente, sul Corriere della Sera a denunciare l’indolenza dei partiti -ben più grave della confusione e delle tensioni che li attraversano un pò tutti- procurandosi ironie e critiche con l’idea che ormai potremmo fare a meno di votare, tanto scontato è poi il ricorso del  presidente di turno della Repubblica a qualche tecnico più o meno illustre, o persino di passaggio, per improvvisare un governo purchessia.

L’editoriale del Corriere della Sera

Ora, dopo il siparietto non so se più divertente o nervoso di Mario Draghi indisponibile a restare a Palazzo Chigi nella prossima legislatura per concezione o promozione di chissà quali o quanti partiti perché è in grado di trovarsi un lavoro da solo, l’editorialista del più diffuso giornale italiano, e insieme storico giustamente apprezzato, è tornato sull’argomento. E ha infierito contro “le scarse ambizioni” delle forze politiche, tanto combattive al loro interno quanto, chi più e chi meno, refrattarie all’idea di misurarsi davvero nelle urne, con adeguate norme elettorali, per uscirne vincitrici o sconfitte, L’ideale per loro è chiudere le partite elettorali senza vincitori e quindi anche senza sconfitti, o tutti sconfitti, in modo da affollare il Parlamento di “minoranze”, come ha quasi rivendicato -anche se Meli non lo ha ricordato- il segretario del Pd Enrico Letta nelle scorse settimane contestando alla coalizione -sulla carta- del centrodestra di sentirsi maggioranza relativa e rivendicare il diritto di mandare per la prima volta un suo candidato al Quirinale per la successione a Mattarella. 

L’analisi politica -e storica, ripeto- di Paolo Mieli dopo quasi trent’anni di seconda, terza e forse anche quarta Repubblica, tutte contrassegnate da leader più che da partiti, gli uni e gli altri precari ancor più delle apparenze, deve avere contribuito alle riflessioni del direttore dello stesso Corriere della Sera, Luciano Fontana, in risposta ad un lettore impressionato dalla profondità ormai della crisi del partito di maggioranza relativa di questa legislatura: il MoVimento 5 Stelle.  Di cui non si sa neppure di quanti regolamenti disponga di fronte all’ordinanza del tribunale di Napoli che ne ha sospeso i vertici. 

Il direttore Luciano Fontana sul Corriere della Sera

  Alle “stagioni effimere” dei leader, chiamiamoli così, che si succedono e si confrontano Luciano Fontana ha opposto giustamente -ma temo solo retoricamente, visto il poco tempo a disposizione delle Camere per esaminare prima della loro scadenza le misure necessarie- l’urgenza di una “rifondazione delle forze politiche” basata sul “radicamento nel territorio, partecipazione e regole democratiche, selezione attenta delle classi dirigenti, finanziamenti trasparenti”. “Altrimenti è inutile lamentarsi che si debba sempre invocare un tecnico per salvare la baracca”, ha concluso il direttore del Corriere, ammesso e non concesso naturalmente che l’appena confermato presidente della Repubblica Mattarella riesca a trovarne dopo il disimpegno preannunciato, minacciato e quant’altro da Draghi. 

      L’unico scenario oggi immaginabile è quello proposto dallo stesso Corriere, quasi a corredo dell’editoriale di Mieli, con una illustrazione di Domenico Solinas di un governo composto da punti interrogativi travestiti, peraltro, tutti da uomini, senza uno straccio femminile.

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