Che figuraccia, da avvocato, il povero Giuseppe Conte di Volturara Appula

La “causa persa” impietosamente rinfacciata dal manifesto a Giuseppe Conte, sospeso con tutto il vertice del MoVimento 5 Stelle allestito dopo la sua elezione digitale a presidente nella scorsa estate, pur in pendenza di un ricorso di tre iscritti accolto con insolita tempestività dal tribunale civile di Napoli, è un brutto incidente per uno che, come l’ex presidente del Consiglio, è un avvocato civilista, oltre che professore di diritto, prestato alla politica.

Titolo del Riformista
Titolo del Dubbio

Il tribunale partenopeo sarà pure “incompetente territorialmente”, come lo ha subito liquidato il non avvocato né giudice Marco Travaglio, col quale una volta tanto Piero Sansonetti si è trovato d’accordo definendo “impiccione” sul suo Riformista il magistrato che se n’è occupato, ma per ammissione dello stesso Travaglio sul suo Fatto Quotidiano avrebbe commesso un “nuovo Conticidio”. Che stavolta è giudiziario, dopo quello politico compiuto l’anno scorso da Sergio Mattarella e complici con la formazione del governo di Mario Draghi: l’uno e l’altro ancora felicemente in carica, rispettivamente, per rielezione al Quirinale e immediato rifiuto delle dimissioni di cortesia e di rito presentate nell’occasione dal presidente del Consiglio.

Fotomontaggio del Fatto Quotidiano

Quel “nuovo Conticidio”, accompagnato per fortuna con un fotomontaggio più festoso che luttuoso dell’interessato sommerso di carte bollate come di coriandoli in Carnevale, contraddice i “necrologi prematuri” che l’estimatore dell’ex presidente del Consiglio contesta ai suoi avversari. Se lui è il primo a scrivere e a parlare di omicidio, non si capisce con quale logica possa lamentarsi dei necrologi che hanno accompagnato l’evento. Come e ancor più di Lazzaro di evangelica memoria, Conte tornerà magari a risorgere a breve almeno come presidente del suo MoVimento, rimanendo dietro la pietra tombale come presidente del Consiglio, ma questa storia della figuraccia come avvocato gli rimarrà addosso. Diavolo di un uomo, assistito peraltro nell’impresa da fior di colleghi, se non ricordo male le cronache della cosiddetta rifondazione del MoVimento affidatagli, revocatagli e restituita gli nel giro di qualche settimana dall’Elevato”, anzi elevatissimo, Beppe Grillo davanti ad una incolpevole spigola sulla spiaggia di Marina di Bibbona, Conte ritenne irrilevante che dalla procedura elettorale della sua scalata fossero esclusi più di 81 mila iscritti troppo freschi di tesseramento, diciamo così. Che erano e sono più dei 69 mila corsi al computer a incoronare il presidente, capo, leader e quant’altro.  

Vignetta del Corriere della Sera su Conte e Di Maio

Ma chi mai -mi chiedo- si affiderà ad un simile avvocato per difendersi o per promuovere una causa contro qualcuno? Ormai non gli resta altro destino che la politica, con tutti i suoi inconvenienti, le sue incertezze, le sue pugnalate in entrata e in uscita, per giunta alla guida -che sicuramente, per carità, gli sarà confermata fra qualche settimana nelle nuove votazioni derivanti dalla decisione del tribunale napoletano- di un movimento non proprio in buona salute. Che è precipitato in quattro anni dal 33 e rotti per cento dei voti alla metà dei sondaggi, ma anche delle prove elettorali intermedie alle quali si è nel frattempo misurato. E con una scissione sempre incombente, l’ultima delle quali potrebbe essere promossa persino da quella specie di reincarnazione di Giulio Andreotti che gli ottimisti attribuiscono a Luigi Di Maio, succeduto al “divo” democristiano nel più prestigioso dei Ministeri guidati dalla Buonanima dal 1983 al 1989: quello degli Esteri nei governi di Bettino Craxi, di Amintore Fanfani, di Giovanni Goria e di Ciriaco De Mita. 

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