Berlusconi a sorpresa nel teatrino della politica che una volta disprezzava

E’ nemesi storica, ormai, anche per Silvio Berlusconi, non solo per Beppe Grillo alle prese con i magistrati di Milano che lo accusano di traffico d’influenze, come un qualsiasi e volgare tangentista di una trentina d’anni fa colto più o meno con le mani nel sacco del finanziamento illegale dei partiti. Che era allora il reato attraverso il quale le Procure cercavano di arrivare alle accuse ancora più gravi di corruzione, concussione e altro. 

L’editoriale del Giornale
L’editoriale di Libero

Ora Berlusconi, con le esitazioni sulla strada della rinuncia alla corsa al Quirinale, che danno ormai per scontata gli insospettabili Augusto Minzolini sul Giornale di famiglia e Alessandro Sallusti su Libero, il primo garantendo che l’ex presidente del Consiglio non perde di vista “l’interesse del Paese” e il secondo che “”non è un kamikaze”, sta alimentando quello che una volta definiva sprezzantemente “il teatrino della politica”. In cui ognuno sceglie la parte che preferisce cambiandola quando non gli piace o non gli conviene più. 

Dalla prima pagina del Corriere della Sera

Sulla prima pagina del Corriere della Sera Francesco Verderami  riferendo di ciò che dicono “le personalità più vicine” al Cavaliere, dallo stesso giornalista frequentate e intervistate con una certa amichevole abitudine, gli ha attribuito come “parole d’ordine”, pur in questa vigilia di resa, le parole “resistere, resistere, resistere”.  Sono paradossalmente le stesse usate contro Berlusconi tanti anni fa dal  Procuratore Generale della Corte d’Appello di Milano ed ex capo della Procura di primo grado Francesco Saverio Borrelli.

Mattia Feltri sulla Stampa

Ma resistere, nel caso di Berlusconi di questi giorni o di queste ore, mentre scrivo, contro chi? Paradossalmente anche contro i suoi alleati di centrodestra. Che, insofferenti nell’attesa della sua rinuncia, incontrano in pubblico e in privato gli esponenti più diversi degli altri schieramenti ed elaborano piani quirinalizi che coprono ormai l’intero alfabeto, dalla A alla Z, come ha descritto nel modo al solito imperdibile Mattia Feltri sulla Stampa. 

Titolo del Foglio
Titolo di Domani

Mentre crescono, secondo i casi, l’attivismo e la rassegnazione alla candidatura di Mario Draghi al Quirinale, come raccontano rispettivamente con i loro titoli Il Foglio e Domani, ai giornali d’area del centrodestra o comunque simpatizzanti del Cavaliere rimane la ben magra soddisfazione, secondo me, di unirsi al solito Marco Travaglio dell’altrettanto solito Fatto Quotidiano nella rappresentazione peggiore possibile del presidente del Consiglio in carica. Che pure, stando alle ultime notizie raccolte e raccontate da Vittorio Sgarbi, anche Berlusconi sarebbe ora tentato di preferire a tutte le altre soluzioni, compreso il cosiddetto Mattarella bis attribuitogli dallo  stesso Sgarbi qualche giorno fa parlandone alla Stampa. 

Titolo di Libero
Angelo Panebianco su Corriere della Sera

Draghi prepara la grande fuga dal governo”, ha titolato Libero su sfondo azzurro un pò scuro, sbertucciando nelle cronache le trattative più  o meno in corso dietro le quinte su chi dovrà sostituirlo a Palazzo Chigi e con quali nuovi ministri politici al posto di qualcuno almeno dei tecnici nominati l’anno scorso. Eppure è difficile dare torto ad Angelo Panebianco, che nell’editoriale odierno del Corriere della Sera si è chiesto “perché alcuni auspicano e altri (a occhio, molti di più) che, una volta eletto il presidente della Repubblica, il governo Draghi lasci il posto -con o senza elezioni anticipate- a un altro governo questa volta totalmente controllato dai partiti?”. “All’apparenza -ha insistito impietosamente il professore- non ci sarebbe niente di male: non è forse la regola in democrazia?”. In realtà, siamo sempre alle prese col teatrino della politica una volta lamentato da Berlusconi, prima che, intabarrato in quello strano cappotto scuro di dimensioni da nomenclatura una volta sovietica, vi partecipasse pure lui anche per il resto, e non solo per la corsa al Quirinale. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Modesta lezione di garantismo al pur immeritevole Beppe Grillo

Titolo del Dubbio

La nemesi generalmente vista e indicata nelle indagini dei magistrati di Milano a carico di Beppe Grillo  per traffico d’influenze -che evoca niente e tutto, anche nuove versioni o edizioni della vecchia Tangentopoli fatta esplodere proprio a Milano trent’anni fa- é diventata “storica” nel commento del direttore Augusto Minzolini sul Giornale considerando la coincidenza col ventiduesimo anniversario della morte di Bettino Craxi. Alla demonizzazione della cui immagine, già negli anni della sua maggiore forza politica, Grillo  in effetti contribuì da comico con sparate e insinuazioni delle sue.

  Furono i segni premonitori di quella dannazione della politica che si sarebbe poi sviluppata nel giustizialismo, nella fine della cosiddetta prima Repubblica e in quell’infatuazione -diciamo la verità- che rese possibile molti anni dopo, nella cosiddetta seconda Repubblica, la trasfigurazione dello stesso Grillo nel vendicatore di tutte le nefandezze, nel rigeneratore della politica e nel protagonista di una mezza rivoluzione: mezza, solo perché il successo elettorale dei pentastellati nel 2018 non fu completo. 

Il movimento grillino per governare dovette rassegnarsi a “sporcarsi le mani”, diciamo così, con gli altri partiti, quasi tutti nell’arco di pochissimi anni, acquisendone i vizi peggiori, come martedì sera, ospite di Giovanni Floris in televisione, diceva sconsolato l’ormai fuoriuscito Alessandro Di Battista con l’aria dell’eroe o dell’angelo tradito. 

Non si è ancora arrivati, nel processo di evoluzione o di contaminazione di ciò che resta dei grillini, nei sondaggi nazionali e nelle amministrazioni locali, alle scuse tipo quelle formulate pubblicamente dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio dopo l’assoluzione di un sindaco del Pd che egli aveva personalmente attaccato in piazza sollecitandone dimissioni e quant’altro. Ma chissà, non è detto che non vi si giunga, prima o poi, fra la disperazione del già ricordato Di Battista. 

Intanto da buon garantista, spingendomi dove stavolta penso che non si sentirà di arrivare neppure Silvio Berlusconi nella sua ostinata ma declinante corsa al Quirinale, e nella conseguente ricerca di consensi fra tanti parlamentari sciolti e sbandati, auguro a Grillo di uscire dalle sue disavventure giudiziarie meglio del mio compianto amico Bettino Craxi. Di cui ho sentito l’altra sera, riproposta dall’omonima Fondazione, la lunga e toccante intervista televisiva del 25 ottobre 1996 alla televisione tedesca di Stato, conclusasi in lacrime, contro la “falsa rivoluzione” di Mani pulite e dintorni. 

Auguro davvero a Grillo di riuscire a difendere la semisecolare amicizia -dicono i suoi sostenitori- col generoso armatore Vincenzo Onorato dalle accuse e dai sospetti che ad essa avrebbe sacrificato il ruolo di rivoluzionario e moralizzatore assunto in piazza mandando a “fanculo” nel 2009 tutti i partiti. Ma ciò dopo avere inutilmente tentato di iscriversi al Pd e di scalarne il vertice appena lasciato da Walter Veltroni. 

Pubblicato sul Dubbio

Le ultime resistenze ormai alla scalata di Mario Draghi al Quirinale

Titolo del Foglio
Titolo del Fatto Quotidiano

Nonostante o forse grazie alla campagna contraria del Fatto Quotidiano-ostinata quanto la corsa non ancora finita di Silvio Berlusconi- siamo ormai alle ultime resistenze alla scalata silenziosa ma tenace di Mario Draghi al Quirinale. Che il segretario del Pd Enrico Letta ha sostenuto nell’incontro annunciato con Giuseppe Conte e col ministro della Salute Roberto Speranza raccogliendo le resistenze, appunto, del primo e la sostanziale disponibilità del secondo, in rappresentanza della sinistra ormai sulla via del ritorno a casa, cioè al Nazareno. Ma Conte poi si è incontrato prudentemente con l’amico-antagonista Luigi Di Maio che gli ha consigliato un pò di realismo, dal suo punto di vista, sino a indurlo a far sapere che non esistono -o non esistono più- veti pentastellati contro Draghi. Troppo tardi per far cambiare al giornale di Marco Travaglio il titolo di prima pagina tutto di battaglia ormai di retroguardia: “Missione incompiuta- Draghi resti a bordo”, cioè a Palazzo Chigi, da dove invece vorrebbe “fuggire” per il presunto fallimento della sua lotta vaccinaria alla pandemia. 

La vignetta di Stefano Rolli sul Secolo XIX
Dalla prima pagina del ;essaggero

Anche Berlusconi, pur non avendo ancora annunciato, almeno sino al momento in cui scrivo, la sua rinuncia immaginata da Stefano Rolli sul Secolo XIX nei panni di Papa Francesco affacciato su Piazza San Pietro, si starebbe convincendo dell’opportunità. a questo punto, di favorire una candidatura di Draghi. Che aveva invece contestato ancora qualche giorno fa parlandone con Vittorio Sgarbi, che poi ne ha riferito alla Stampa. “Solo lui al Colle se io rinuncio”, gli attribuisce oggi il Messaggero in prima pagina col supplemento di una “richiesta” di “Gianni Letta segretario generale del Quirinale”, diversamente da Repubblica che invece in prima  pagina, sempre in prima pagina, dà l’ex sottosegretario di Berlusconi in corsa addirittura per il vertice dello Stato.

Titolo di Repubblica

Francamente, considerando anche gli 86 anni che sta per compiere l’interessato, più anziano ancora di Berlusconi, entrambe le ipotesi sembrano un pò fantasiose. E comunque smentiscono il malumore attribuito nei giorni scorsi allo stesso Berlusconi un pò da tutti i giornali, senza alcuna smentita o precisazione, per la visita compiuta dal suo collaboratore a Palazzo Chigi prima di raggiungere la Villa Grande, sull’Appia Antica, per l’ultimo vertice del centrodestra sulla corsa al Quirinale. Cui non ne sono seguiti altri, per quanto ne fosse stato preannunciato uno per oggi. 

Risulta che Sergio Mattarella stia seguendo un pò sollevato gli sviluppi delle trattative o manovre dietro le quinte, che gli risparmierebbero ripensamenti dopo tutte le indisponibilità annunciate ad una sua conferma per forza maggiore. Salvo imprevisti, naturalmente. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Quel nodo alla gola vedendo Craxi in lacrime in quel lontano 1996

Mi sono venuti i brividi a vedere Craxi chiudere in lacrime una lunga intervista concessa il 25 ottobre 1996 nella sua casa di Hammamet a Carlotta Tagliarini, per la televisione tedesca di Stato e riproposta per internet dall’omonima Fondazione nel ventiduesimo anniversario della morte di Bettino.

Ho pensato, risentendolo e rivedendolo per più di un’ora, che Craxi aveva a quell’epoca gli stessi anni -62- di Aldo Moro quando fu sequestrato dalle brigate rosse e poi ucciso. Furono due uomini accomunati, pur con caratteri così diversi, dall’orgoglio personale e dalla scomodità con cui erano avvertiti anche dagli alleati di turno. Non a caso, del resto, dall’interno della maggioranza di solidarietà nazionale -realizzatasi nel 1976 dopo un turno di elezioni anticipate conclusesi -diceva Moro- con due vincitori, la Dc e il Pci, incapaci di fare l’uno a meno dell’altro per governare il Paese in una condizione di emergenza economica e d’ordine pubblico- Craxi era stato  il primo e restato a lungo l’unico a rivoltarsi alla cosiddetta linea della fermezza, peraltro gestita come peggio francamente non si poteva, per cercare di salvare la vita all’ostaggio che drammaticamente la reclamava.

Passarono 56 giorni dal sequestro all’’uccisione di Moro. Più tempo invece sarebbe passato- tre anni e quasi tre mesi- da quell’intervista di Carlotta Tagliarini alla morte di Craxi, esule in Tunisia dopo le pesanti condanne comminategli dalla magistratura italiana per Tangentopoli. Egli reagì un pò infastidito alla domanda su un’eventuale sepoltura ad Hammamet, come la moglie aveva previsto per sé sfogandosi con l’intervistatrice contro il trattamento riservato al marito dall’Italia. Per quanto ammalato di diabete e complicazioni cardiache, ma non ancora del tumore renale che ne avrebbe accelerato la fine, Craxi non aveva nessuna fretta di morire. “Questa domanda me la faccia sul letto di morte”, rispose alla mia amica Carlotta mostrando poi qualche fiducia nella possibilità che l’Italia uscisse dalla “falsa rivoluzione” che l’aveva travolta. E che era già costata la vita, fra gli altri, a due amici e compagni di partito suicidi come Gabriele Cagliari e Sergio Moroni. E fu proprio rileggendo una parte della lettera di addio di Moroni ch’egli alla fine dell’intervista non riuscì a trattenere le lacrime.

Solo dieci anni dopo la morte di Craxi il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in una lettera alla vedova che gli costò gli improperi dell’anticraxismo militante, riconobbe “la durezza senza uguali” riservata all’ex presidente del Consiglio dal sistema mediatico-giudiziario.  Già da sola  quella espressione bastava e avanzava per capire quanta ingiustizia -altro che giustizia- fosse stata praticata nei riguardi dell’ultimo leader socialista italiano con la pretesa -così insistentemente contestata da Craxi nell’intervista del 1996- di equiparare in modo indiscriminato al furto, alla corruzione e simili il finanziamento illegale dei partiti e, più in generale, della politica: un fenomeno  vecchio quanto il mondo e aggravato nel nostro Paese da una legge ipocrita, evasa da tutti, che destinava a quello scopo una somma dieci volte inferiore -per esempio- a quella stanziata in Germania. E che tutti, proprio tutti, la violassero lo dimostrò la Camera col silenzio tombale opposto alla sfida dello stesso Craxi ai deputati che affollavano l’aula a dire il contrario. 

La tomba d Craxi ad Hammamet

Sono passati ventidue anni, ripeto, dalla morte di Craxi e dalla sua sepoltura ad Hammamet, più di 25 da quella intervista e 30 quasi esatti dall’esplosione di Tangentopoli con l’arresto in flagranza del socialista Mario Chiesa a Milano, il 17 febbraio del 1992. Si sono susseguiti al Quirinale cinque presidenti della Repubblica e del Consiglio Superiore della Magistratura, in questi giorni si sta cercando il sesto, ma il sistema giudiziario e un pò anche quello mediatico è peggiorato, anzichè migliorare.  Non parliamo poi delle condizioni in cui si trova la politica. 

L’improbabile mossa del Cavallo di Berlusconi sulla strada del Quirinale

Al punto in cui è ormai arrivata la sua ostinata corsa al Quirinale, dopo che Vittorio Sgarbi da “telefonista” ne ha impietosamente ammesso e rivelato i limiti, a Silvio Berlusconi la cronaca giudiziaria -una volta tanto- offre la possibilità di una mossa: non dico del cavallo, da Cavaliere che è, ma quasi. Egli potrebbe smetterla di inseguire i voti degli ex grillini o dei grillini dissidenti rimasti ancora a casa ma impauriti dal pericolo di elezioni anticipate e soccorrere direttamente Beppe Grillo da garantista mentre i magistrati di Milano -sempre loro, potrebbe dire Berlusconi- lo indagano per traffico d’influenze. Che sarebbe stato collegato a un finanziamento di quasi due milioni di euro avuto dalla Moby di Vincenzo Onorato. 

Titolo del Giornale
Titolo di Libero

Solidarizzare, ripeto. Altro che fare ironia come il Giornale di famiglia di Berlusconi con quel titolo su “Grillo vittima del grillismo”  o condividere la “pena” di Libero con quel titolo sul passaggio del comico genovese “da elevato a indagato per soldi”. O la sarcastica vignetta a colori di Ellekappa sulla prima pagina di Repubblica. 

Titolo della Stampa

Il buon Matteo Feltri sulla Stampa ha involontariamente suggerito a Berlusconi anche una citazione che potrebbe essergli utile nel soccorso a Grillo e nella ricerca di qualche appoggio fra i “grandi elettori” pentastellati in quel che resta ancora della sua corsa al Colle. “Il traffico d’influenze”, peraltro punibile ora con 4 anni e mezzo di carcere per un inasprimento di pena voluto dall’allora ministro grillino della Giustizia Alfonso Bonafede, “è un reato ridicolo, marginale, un pranzo di nozze con i fichi secchi” secondo il professore di diritto penale a Pisa Tullio Padovani. 

Titolo-copertina del manifesto

Scherzi a parte, ma davvero, non in televisione, la partita quirinalizia di Berlusconi, a meno di una settimana dall’inizio delle votazioni nell’aula di Montecitorio, è davvero agli sgoccioli, per quanti sforzi facciano, almeno in apparenza, lo stesso Berlusconi e i fedelissimi di nutrire e accreditare ottimismo. Più calano le reali possibilità di una vittoria del Cavaliere ai punti -dalla quarta votazione in poi, quando potrebbe bastargli la maggioranza assoluta e non più dei due terzi della platea degli elettori , che è comunque sempre una maggioranza qualificata e non “semplice”, come la definiscono fior d firme anche di grandi giornali- più crescono le quotazioni di Mario Draghi. Una cui visita d’ufficio, diciamo così, ieri al Quirinale per riferire a Sergio Mattarella sui problemi della lotta alla pandemia e dintorni, si è prestata a quel titolo brillante, come al solito, del manifesto sul “sopralluogo” del presidente del Consiglio. 

Titolo del Fatto Quotidiano

Di Grillo e della sua vicenda giudiziaria, questa volta personalissima, non indiretta come quella del figlio rinviato a giudizio sotto l’accusa di stupro, c’è poco da scommettere per i riflessi possibili sulla successione a Mattarella. Lo sbandamento politico e umano del MoVimento 5 Stelle e delle varie “anime” che lo compongono, per non chiamarle correnti o tribù, era già grande di suo per poter dire che si è aggravato. Nè ad aiutare il “garante” del quasi partito ora presieduto da Giuseppe Conte saranno i tentativi minimalisti, una volta tanto, del Fatto Quotidiano, che ha relegato -come in un ossimoro- la vicenda dei rapporti con la Moby in un’apertura quasi invisibile, corredata comunque -bisogna riconoscerlo- di una fotina dell’interessato. 

Dal Riformista

Il caso ha voluto -va detto anche questo- che la bomba o il petardo di Grillo sia scoppiato nel ventiduesimo anniversario della morte di Bettino Craxi, il cui figlio Bobo sul Riformista ha potuto ricordare a ragione che il padre, travolto dalla cosiddetta Tangentopoli con tutta la prima Repubblica, ma più di tutti gli altri leader di quella stagione, fu “la prima vittima della guerra sporca” cominciata anch’essa a Milano, come ho già ricordato. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Lo scherzo impietoso di Vittorio Sgarbi al Berlusconi quirinalizio

Titolo del Dubbio

               Quel diavolo di Vittorio Sgarbi è riuscito a lasciare comunque la sua impronta su questa edizione della corsa al Quirinale: la più strana di tutte, se non la più pazza, come d’altronde la legislatura nella quale si svolge, in scadenza un po’ differita rispetto al mandato del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

              Già gratificato come uno dei mille e rotti “grandi elettori”, fra deputati, senatori e delegati regionali cui spetta l’elezione del capo dello Stato, Sgarbi ha fatto un pò come quello spettatore ai bordi della strada che s’infila fra i corridori per aiutare, soccorrere e quant’altro il ciclista in difficoltà, sino a fargli rischiare la squalifica.        

Berlusconi e Sgarbi in una foto d’archivio
L’intervista di Sgarbi alla Stampa di ieri

 Stremato dalle telefonate alla ricerca di consensi a Berlusconi fuori dall’area di centrodestra ma anche dentro, visto l’andirivieni verificatosi pure tra forzasti e simili in questi ultimi tempi,  Sgarbi si è lasciato andare con Antonio Bavetti, della Stampa, fra i suoi divani, quadri, sculture e ninnoli. E ha rivelato che di sicuri Berlusconi dispone solo di 390 voti, non dei 450 e più vantati sinora, già insufficienti a fargli raggiungere dal quarto scrutinio in poi i 505 necessari all’elezione.

         “È sul punto di cedere”, pur dando l’impressione di essere ancora “sparato”, ha detto Sgarbi dell’amico accomunandolo inconsapevolmente all’immagine che del segretario socialista Francesco De Martino dava il compagno di partito Ferdinando Santi raccontando dei suoi rapporti tanto con la Dc quanto col Pci: “Resiste fino a un momento prima di cedere”.

           Incalzato sul dopo-rinuncia, ormai, dell’ex presidente del Consiglio, Sgarbi ne ha anticipato, previsto, intuito, come preferite, il sostegno ad una conferma di Mattarella, tanto non gli passa evidentemente per la testa il ripiegamento su un altro candidato del centrodestra meno “divisivo”, direbbero gli avversari e forse anche l’alleato Matteo Salvini.

Berlusconi in cappotto

           E Mario Draghi, così calorosamente sostenuto da Berlusconi alla nomina a presidente del Consiglio vantandosi di averlo portato lui al vertice della Banca Centrale Europea negli anni d’oro della guida del governo? Niente. Eppure anche Sgarbi, prima di mettersi al telefono, telefonino e quant’altro a disposizione del Cavaliere per sostenerlo nella corsa al Quirinale, lo aveva pubblicamente esortato a spendersi per l’elezione di Draghi. Evidentemente Berlusconi non ha gradito che nel frattempo questa soluzione sia diventata l’obiettivo del segretario del Pd Enrico Letta, per quanto, o ancor più perché condiviso dallo zio Gianni. Che è di casa, eccome, nelle residenze del Cavaliere.

           Tutto sommato, a questo punto dobbiamo a Sgarbi sulla vicenda quirinalizia più notizie di quante non ne abbiano sino date i cronisti al seguito della corsa. Grazie, Vittorio. Pace fatta dopo qualche tua intemperanza nell’aula della Camera con la presidente di turno che ti ho contestata.

Pubblicato sul Dubbio

                                                                          

Povero Berlusconi, verrebbe da dire se non si fosse messo lui nei guai

Povero Berlusconi, verrebbe da dire vedendolo nella sua ostinata corsa al Quirinale appeso non solo agli attacchi degli avversari, scontati pure nella forma della derisione sublimata nel titolo-copertina del manifesto “Conta che ti passa”, ma anche o ancor più dalle licenze che si concedono ogni giorno alleati e amici persino stretti, costringendolo a inseguirli con telefonate, richieste di chiarimento, sfoghi e presunti chiarimenti finali , anzi semifinali. Povero Berlusconi, scrivevo che verrebbe voglia di dire se non fosse stato lui a volersi mettere in questa situazione che nessun medico -credo- gli abbia prescritto come cura suppletiva dei postumi del Covid. Che sino a qualche mese fa lo costringevano ad entrare e a uscire dall’ospedale San Raffaele di Milano.

Titolo di Repubblica
Titolo del Fatto Quotidiano

“Lo strappo di Salvini”, ha titolato con ottimismo, dal suo punto di vista, laRepubblica antiberlusconiana anche nella versione ormai post-scalfariana. Strappo, come se Berlusconi fosse un redivivo Breznev e Salvini un redivivo, pure lui, Berlinguer. Che si mostrò tanto desideroso di emanciparsi da Mosca col suo Pci da meritarsi un mezzo attentato in Bulgaria, dove un mezzo militare investì la sua auto diretta all’aeroporto riuscendo però ad uccidere solo l’autista. “Salvini ritenta la fuga da B. (ma poi rientra)”, ha titolato con paradossale sollievo Il Fatto Quotidiano, temendo evidentemente che chissà quale nome ugualmente o ancor più sgradito a Marco Travaglio il leader leghista avesse deciso di proporre agli altri partiti per “allontanare Berlusconi dal Colle”, come ha titolato la Stampa.

Titolo del Foglio
Titolo della Stampa

“Salvini pressa il Cav. e apre un nuovo forno”, ha titolato Il Foglio come se il leader leghista, peraltro incoraggiato dal suocero Denis Verdini dagli arresti domiciliari a fare il cosiddetto kingmaker in questa edizione della corsa al Quirinale, fosse un redivivo Giulio Andreotti dei tempi in cui accusava Bettino Craxi di pretendere il monopolio della produzione e della vendita del pane alla Dc, ma anche agli altri partiti. 

Tommaso Labate sul Corriere della Sera

E’ tutto un fiorire, come vedete, di corsi e ricorsi storici nella rappresentazione di questa corsa al Quirinale che Berlusconi è comunque riuscito -gli va riconosciuto- ad animare attorno alla sua recitazione, magari sino all’ultimo momento utile, quando ritirandosene cercherà di riconquistare in extremis la figura di kingmaker contestagli fuori e persino dentro la stessa coalizione di centrodestra. “Gioca una partita allo specchio”, ha scritto di lui forse non a torto sul Corriere della Sera Tommaso Labate. Al quale risulta, non so se a torto o a ragione, che il Cavaliere abbia deciso o stia cercando un faccia a faccia privato con Matteo Renzi, nonostante l’ex partner del patto del Nazareno abbia già detto pubblicamente che un candidato del centrodestra o dintorni lo voterebbe, e farebbe votare dai suoi,  purché diverso da un ormai troppo ingombrante Berlusconi.  

Ripreso da http://www.startmag.it

Se la corsa al Quirinale diventa un affare di famiglia….

Titolo del Dubbio
Rino Formica su Domani

Sulla soglia ormai dei 95 anni, abituato a immagini forti quando parla e scrive di politica praticata per tutta la vita tra entusiasmi e delusioni così forti da avere spesso avvertito puzza di “sangue e merda”, l’ex ministro socialista Rino Formica deve essersi molto trattenuto liquidando solo come una “commedia dell’inganno”l’ultimo vertice del centrodestra nella Villa Grande di Silvio Berlusconi, sull’Appia antica. Un inganno “reciproco”, fra “vecchio” e giovani, ha scritto su Domani, il giornale di Carlo De Benedetti. Paradossalmente ancora più critico di Formica ha finito per essere su Libero il direttore Alessandro Sallusti, pur compiaciuto che Matteo Salvini e Giorgia Meloni abbiano ufficialmente candidato Silvio Berlusconi al Quirinale, in attesa ch’egli sciolga la riserva. Anche Sallusti, che nei lunghi anni alla direzione del Giornale di famiglia si è fatta una certa esperienza dell’ambiente, ha avvertito qualcosa di simile alla commedia scrivendo che “la partita del Colle è tutta in un cognome: Letta”. 

Alessandro Sallusti su Libero

“Già, perché -ha spiegato Sallusti- nel campo del centrodestra a guidare le operazioni è Gianni Letta -per tutti “il dottore” perché solo a nominarlo vien paura- dal 1987 uomo ombra di Silvio Berlusconi con potere di vita e di morte su tutto ciò che si muove da quelle parti e non solo”. Il dirimpettaio familiare è lo zio Enrico, segretario del Pd, appena fattosi autorizzare all’unanimità dalla direzione e dai gruppi parlamentari a trattare con gli altri partiti un “patto di legislatura”, per l’anno o più che resta del mandato del Parlamento eletto nel 2018, finalizzato a impedire ad un leader “divisivo” come Berlusconi di essere eletto al Quirinale. 

L’altro problema di Enrico Letta è dichiaratamente quello di  “tutelare” al massimo Mario Draghi: a Palazzo Chgi o allo stesso Quirinale se non dovesse esserci altro modo per trattenerlo sulla scena con tutto il prestigio internazionale di cui gode, e i benefici effetti derivanti all’Italia. 

Il più lesto, almeno sul piano mediatico, a capire l’antifona del segretario del Pd, tenendo presente anche la visita effettuata contemporaneamente dal nipote Gianni a Palazzo Chigi, è stato uno degli ex ministri della Difesa di Berlusconi e cofondatore dei Fratelli d’Italia Ignazio La Russa. Egli si è affrettato a precisare che Giorgia Meloni a nome della sua parte politica non ha mai posto e non pone veti contro Draghi al Quirinale. 

Gianni Letta

Il guaio politico per il centrodestra a questo punto è che, se davvero Berlusconi dovesse verificare la impraticabilità della sua pur legittima ambizione quirinalizia a conclusione della propria avventura politica e fare all’ultimo momento il famoso passo indietro a favore di Draghi, non ne sarebbe più il kingmaker, come si dice, ma solo l’ultimo portatore d’acqua e di voti. La paternità dell’operazione Draghi sarebbe tutta o prevalentemente dell’altro Letta: Enrico.

Eppure uno spiraglio, quanto meno, per un esito della corsa al Quirinale gratificante per la la coalizione di centrodestra era già stato aperto ed è stato appena confermato da Matteo Renzi, disposto a votare anche senza il Pd un altro candidato del centrodestra. A proposito del quale si fanno i nomi, fra gli altri, di Marcello Pera, Giulio Tremonti, Letizia Moratti, Maria Elisabetta Casellati, presidente del Senato, e Franco Frattini, fresco di nomina a presidente del Consiglio di Stato.

Anche sotto questo profilo la visita di Gianni Letta a Palazzo Chigi, subito proiettata sull’operazione Draghi dello zio Enrico, ha creato scompiglio e malumore nel centrodestra, sorprendendo -si è scritto senza alcuna precisazione o smentita- lo stesso Berlusconi, pur al netto di ogni sospetto su una recita sotto sotto concordata delle parti fra i due.

Augusto Minzolini sul Giornale

Persino il buon Augusto Minzolini, direttore del Giornale ed esperto come pochi altri dei palazzi della politica e dei loro immancabili intrighi, ha bacchettato a suo modo l’ambasciatore, missionario e quant’altro di Berlusconi scrivendo che “in un’Italia che da trent’anni ha due schieramenti contrapposti la pace la possono siglare solo i generali. Non possono garantirla né i colonnelli, né personaggi che si sono inventati il mestiere di paciere senza mai firmare nessuna pace”. 

Concita De Gregoria su Repubblica
Fabio Martini sulla Stampa

Meno diplomatica di Minzolini, o più maliziosa, Concita De Gregorio ha scritto su Repubblica che “ora c’è da capire se Gianni Letta lavori per sé o per altri. Qui  -ha aggiunto- abbiamo come sapete una nostra idea, ma non conta. Una certezza resta. Se hai un piano segreto, il luogo dove rendersi invisibili è una piazza”, dove puoi incontrare l’ex sottosegretario di Berlusconi con la stessa facilità con cui lo incontri in un ristorante, in una commemorazione, in un funerale, ai margini del quale si possono dire “banalità”, come lui stesso sembra che abbia definito le dichiarazioni unitarie ispirate dalla scomparsa di David Sassoli, scambiabili per chissà quale sottile operazione politica. “Letta -gli ha riconosciuto in ogni caso Fabio Martini sulla Stampa- sa che nei prossimi giorni torneranno ad aver bisogno delle sue arti. Lui è la Protezione civile del Cavaliere, il lobbista del buonsenso”. 

Pubblicato sul Dubbio

Il Pd perde subito la sponda di Conte nell’operazione Draghi

Se il piano di Letta -Enrico, il segretario del Pd, ma forse anche Gianni, l’ex sottosegretario e tuttora missionario di Silvio Berlusconi- è davvero quello di “tutelare” al massino Mario Draghi, col prestigio internazionale che ha, mandandolo anche al Quirinale e sostituendolo in un governo ampiamente rimpastato con un garante della prosecuzione della legislatura sino alla scadenza ordinaria del 2023, comincia già a mancargli la sponda grillina. O la palude, vista l’instabilità, a dir poco, dei gruppi parlamentari pentastellati, che pure hanno segnato per la loro “centralità” numerica questa legislatura. 

Titolo del Fatto Quotidiano
Titolo del Giornale

“Conte blinda Draghi a Chigi”, ha titolato in apertura Il Fatto Quotidiano, che ancora rimpiange l’ex presidente del Consiglio come uno statista pugnato alla schiena nell’ultima crisi. “I 5 Stelle inchiodano Conte su Draghi”, ha titolato da una sponda politica opposta Il Giornale della famiglia Berlusconi con una convergenza di interessi derivante dalla speranza dello stesso Berlusconi di rimanere in gioco nella corsa al Quirinale grazie alla divisione dei suoi avversari.

Matteo Renzi al Corriere della Sera

Ma quanto potrà contare paradossalmente anche Berlusconi su un Conte guastatore? Niente, a sentire Matteo Renzi, che dal Corriere della Sera ha rilanciato al Cavaliere la proposta di un ritiro dalla gara a favore di un altro candidato di centrodestra. Che il senatore di Scandicci sarebbe disposto a votare con i parlamentari di cui ancora dispone per garantire -franchi tiratori a parte- la maggioranza assoluta richiesta dal quarto scrutinio in poi. “Il punto -ha detto Renzi- non è la provenienza ma la capacità di rappresentare l’unità della nazione, che venga da destra o da sinistra, dal nord o dal sud”.

Ancora Renzi al Corriere della Sera

Quanto a Conte e alla sua capacità di incidere sulla partita, Renzi è stato tranciante. Interrogato retoricamente se ne avesse capito progetto e quant’altro, egli ha risposto: “No, non l’ho capito. Ma la tranquilizzo: non l’ha capito nemmeno Conte. Cerca solo di dare l’impressione di essere in partita. Lo fa soprattutto per i suoi: la dialettica interna ai grillini è pesante. Conte vorrebbe andare ad elezioni nel 2022: sa che se si vota a scadenza naturale, Di Maio gli riprende il posto”. 

Goffredo Bettini al Corriere della Sera

Persino Goffredo Bettini, una specie di oracolo del Pd, anche lui intervistato dal Corriere della Sera nella sua nuova casa romana, tra casse di libri da sistemare e un telefonino surriscaldato di chiamate, ha smesso di apprezzare l’avvocato come una volta, quando convinse Nicola Zingaretti a sposare il motto “Conte o morte”. Dell’avvocato pugliese egli ha detto nell’intervista, dopo avergli appena parlato e prima che gli riparlasse rispondendo ad un’altra chiamata: “E’ in un momento di notevole difficoltà. Uomo leale, che apprezzo, ma più leader di governo che capo di un partito”, come invece ha preferito diventare, o cercare di diventare. Una bella palla al piede, direi,, per chi come il segretario in carica del Pd, elogiato da Bettini, coltiva piani sperando anche nell’aiuto di questo pericolante presidente del MoVimento 5 Stelle.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Quel gran pasticcio che è diventata la corsa al Quirinale

Più Silvio Berlusconi rimane in gara per la successione a Sergio Mattarella, pur dietro la cortina di una riserva ancora da sciogliere, più lo scenario del Quirinale si restringe a due figure: lo stesso Mattarella per una conferma, a dispetto della sua insistita indisponibilità, e Mario Draghi per la prima promozione diretta, nella storia dell’Italia repubblicana, di un presidente del Consiglio a capo dello Stato.

Questa realtà è stata ben avvertita proprio nel centrodestra da Matteo Salvini quando ha commentato il no di Enrico Letta, col consenso unanime della direzione e dei gruppi parlamentari del Pd, alla candidatura troppo “divisiva” di Berlusconi e la proposta di una trattativa fra tutti i partiti per un patto di fine legislatura, senza elezioni anticipate e con una soluzione concordata sia per il Quirinale sia per Palazzo Chigi. “Non tiriamo la giacca né a Mattarella né a Draghi”, ha risposto il capo della Lega e per il momento anche della coalizione inventata dallo stesso Berlusconi, il cui partito è stato  però sorpassato dalla Lega nelle elezioni del 2018. 

Di questo inevitabile sviluppo della corsa al Quirinale si è reso conto anche Ignazio La Russa, per conto della destra capeggiata da Giorgia Meloni, dichiarando al Corriere della Sera: “L’ipotesi di un’elezione di Draghi non è migliore o peggiore delle altre. Da parte nostra non c’è un veto sulla sua candidatura”. Sembra rimanere invece il veto più volte espresso dalla Meloni in persona contro una conferma di Mattarella.

Ignazio La Russa al Corriere della Sera
Vittorio Sgarbi al Corriere della Sera

In fondo, che le cose vadano o possano andare in direzione di Draghi al Quirinale, nonostante l’inesauribile Vittorio Sgarbi conti di fare almeno altre 65 telefonate a parlamentari indecisi e simili per convincerli a votare Berlusconi, deve averlo avvertito l’ex sottosegretario, consigliere, ambasciatore e quant’altro del Cavaliere, Gianni Letta, precedendo il vertice del centrodestra, l’altro ieri sull’Appia antica, con un visita a Palazzo Chigi. Dove risulta essersi incontrato col capo di Gabinetto del presidente del Consiglio ma nessuno ha confermato né smentito che abbia alla fine parlato con lo stesso Draghi, come per avvertirlo che le cose stavano mettendosi per lui assai diversamente da come sarebbero apparse con la formalizzazione ufficiale della candidatura di Berlusconi.

Titolo di Libero

Su questa visita di Gianni Letta a Palazzo Chigi si erano già avute persino a Villa Grande, dopo il vertice conviviale cui lui aveva partecipato,  reazioni di scetticismo o di preoccupazione. Ma oggi il caso è scoppiato su tutta la prima pagina dell’insospettabile Libero, guidato dall’ex direttore del Giornale della famiglia Berlusconi, Alessandro Sallusti, e schierato per la candidatura dell’ex presidente del Consiglio al Quirinale. “Letta continua”, ha titolato il quotidiano parafrasando la Lotta continua degli anni di piombo. “I piani di zio e nipote per il Colle”, ha aggiunto Libero nella titolazione affiancando quindi l’ex sottosegretario di Berlusconi al nipote Enrico, il segretario del Pd nettamente contrario a Berlusconi al Quirinale. 

Alessandro Sallusti su Libero
Augusto Minzolini sul Giornale

“La partita del Colle -ha scritto Sallusti nell’editoriale- è tutta in un cognome: Letta. Già, perché nel campo del centrodestra a guidare le operazioni è Gianni Letta -per tutti “il dottore” perché solo a nominarlo vien paura- dal 1987 uomo ombra di Silvio Berlusconi con potere di vita e di morte su tutto ciò che si muove da quelle parti e non solo”. Ha un bello scrivere a questo punto il buon Augusto Minzolini, direttore del Giornale di famiglia dello stesso Berlusconi, che la partita del Quirinale in corso è la ricerca di una pace “fra due schieramenti contrapposti”: una pace che “possono siglare solo i generali”, non potendola “garantire né i colonnelli, né personaggi che si sono inventati il mestiere di paciere”. Allude pure lui a Gianni Letta? 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Blog su WordPress.com.

Su ↑