Il premier nella casamatta di Palazzo Chigi, al telefono con la Merkel

            Se mai il giovane e volitivo editore di Repubblica, John Elkann, più noto come il nipote selezionato dal compianto avvocato Gianni Agnelli, pendesse sul serio i retroscena dei suoi ed altri retroscenisti, e con tutta la gente che conosce bene per il mondo  si mettesse ad accreditare le voci di un governo italiano in bilico fra i malumori del vice segretario del Pd Alfredo Orlando, aspirante in un rimpasto chissà a quale carica ministeriale, i soliti tormenti dei grillini in crisi amletica d’identità, i sospetti del machiavellico Matteo Renzi di trovarsi all’improvviso di fronte al trasferimento di Conte da Palazzo Chigi al Quirinale e le tentazioni di Sergio Mattarella di perdere finalmente la pazienza e di chiudere una legislatura che si sta rivelando il pozzo di San Patrizio dalle imprevedibili sorprese, a costo di mandare gli italiani alle urne sotto tormente di neve, il presidente del Consiglio si è cautelato a suo modo. Egli ha trattenuto per buoni 60 minuti in un salotto di Palazzo Chigi il direttore in persona del giornale fondato da Eugenio Scalfari per mandare un messaggio che vi lascio giudicare se più di forza, di coraggio o di sfida.

            “Il governo non cadrà”, ha assicurato Conte  spiegando di avere praticamente tutto sotto controllo, a cominciare dalla pandemia, e a dispetto di quei malintenzonati o invidiosi di Libero che proprio oggi gli hanno ulteriormente allungato il naso e proposto ai lettori di centrodestra di ogni tendenza, sovranista o simil-liberale alla Berlusconi, come “il pemier delle 100 e una frottole”.

            Tutto francamente mi è sembrato studiato dell’incontro-intervista a Palazzo Chigi in funzione della rappresentazione di una realtà più forte delle tante meschinità delle cronache quotidiane, magari anche quelle finite addirittura in una Procura sulla protezione della scorta del presidente del Consiglio estesa alla sa compagna vittima del solito giornalismo invadente, sino ai limiti della cattiva educazione.

             Il segnale più significativo, per il messaggio finale di forza da trasmettere al pubblico, è stata la chiusura dell’intervista inposta dall’annuncio di una telefonata in arrivo a Conte non dal Quirinale, non da qualche bugigattolo del Nazareno lasciato a disposizione di Nicola Zingaretti dal guardiano di turno, non da qualcuna delle ville di Beppe Grillo, magari interessato a informare l’amico degli studi commissionati a qualche suo commercialista su una patrimoniale risolutiva dei nostri emormi problemi del debito, ma -udite,udite- dalla Cancelliera tedesca in persona Angela Merkel: una telefonata che da sola farebbe risuonare per la salita del Grillo, che il comico genovese conosce per raggiungere l’abituale albero dei suoi soggiorni romani, la famose frase dell’”io sono io e voi non siete un cazzo”.

            Si dà tuttavia il caso che in un giorno pur così fausto per i progetti e le ambizioni del presidente del Consiglio italiano il rappresentante temporaneo, ancora presidente della Conferenza Stato-Regioni, che non è un leghista ma un il presidente piddino dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, ha così commentato col Corriere della Sera lo stato di rapporti proprio con Conte nella gestione non dell’emergenza ma della tragedia pandemica: “Non abbiamo potuto né discutere né condividere misure che avranno un impatto rilevante sui cittadini”. Avrà avuto migliore fortuna con Conte  la cancelliera Merkel.

 

 

 

 

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