
Pur nella comprensione dovutagli per le condizioni di minorità in cui si trovava, con la conduttrice Lilli Gruber che spalleggiava nello studio televisivo di Otto e mezzo gli attacchi di Marco Travaglio, collegato dalla direzione del Fatto Quotidiano, il segretario del Pd Enrico Letta si è incautamente difeso facendo un grave torto al governo di Mario Draghi e alla maggioranza di emergenza raccoltasi attorno a lui. E in fondo anche al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che quel governo e quella maggioranza ha promosso chiudendo quattro mesi fa una crisi che in condizioni normali, senza le difficoltà e gli impedimenti derivanti dalla pandemia, avrebbe dovuto essere chiusa con lo scioglimento anticipato delle Camere e il conseguente ricorso alle urne.
E’ accaduto, in particolare, che per smentire la rappresentazione di un governo Draghi a trazione sostanzialmente salviniana, pieno di “favori ai padroni” e di “flop” in materia di scuola, vaccini e giustizia, per ripetere parole e titoli di Travaglio, il segretario del Pd si sia vantato dei voti perduti dalla Lega nei sondaggi che hanno invece premiato il suo partito, sino a portarlo in testa alla classifica pur virtuale delle forze politiche, come rilevato di recente da Ispo per Repubblica.
Ebbene, a parte la smentita o novità appena arrivata da un sondaggio effettuato dalla Swg per conto proprio dell’emittente della trasmissione della Gruber, ed appena illustrati al telegiornale della 7 da Enrico Mentana, da cui il Pd risulta al terzo posto dopo Lega e Fratelli d’Italia, Enrico Letta ha finito col suo argomento per danneggiare il governo dove pure si sente orgogliosamente “di casa”. Il rispetto degli alleati, o semplici compagni di strada in un percorso accidentato com’è quello nel quale è impegnato Draghi, e in una comprensione delle difficoltà che sembra maggiore all’estero che in Italia, è quanto meno opportuno, se non doveroso. E se Salvini ogni tanto si è lasciato prendere la mano anche lui, contrapponendosi più che affiancandosi al Pd, non è questa una buona ragione per ricambiarlo della stessa moneta, alimentando così una spirale polemica che non giova a nessuno, nuocendo invece a tutti.
Non è così, francamente, che si aiuta il presidente del Consiglio nel suo lavoro, a casa o in trasferta, dove per fortuna le abituali risse fra i partiti italiani nelle maggioranze di turno qualche volta riescono a passare inosservate, ma non sempre. E se un certo livello di guardia venisse superato, a prevenire o limitare i danni potrebbe non essere più sufficiente neppure il credito personale di cui Draghi gode con i suoi interlocutori, al di qua e al di là dell’Atlantico.
E’ come se ai tempi della tanto e ingiustamente bistrattata prima Repubblica, quando la Dc, rimasta priva dei suoi tradizionali alleati di centro e di centrosinistra, fu costretta ad una “tregua parlamentare” col Pci di Enrico Berlinguer, raggiunta per spirito di dichiarata “solidarietà nazionale”, si fosse vantata dei voti che costava ai comunisti l’appoggio esterno ai governi monocolori di Giulio Andreotti.
Le emergenze non si affrontano, di solito, con soccorritori così poco convinti del loro compito da guardarsi più fra di loro, con i pugnali in mano, che dagli ostacoli comuni. Se ne rese conto nello stesso Pd -per non andare lontano con i tempi sino alla Dc di Benigno Zaccagnini e al Pci di Berlinguer- il buon Pier Luigi Bersani mancando la vittoria elettorale nel 2013 dopo avere appoggiato il governo tecnico di Mario Monti, anch’esso chiamato nel 2011 dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ad affrontare una gravissima emergenza economica, finanziaria e sociale.
Silvio Berlusconi, partecipe di quegli accordi di maggioranza, al punto da dimettersi spontaneamente da presidente del Consiglio, senza avvertire o dolersi in quel momento del “complotto” di cui si sarebbe poi lamentato, ad un certo punto si sfilò, giusto in tempo per affrontare dall’opposizione le elezioni alla scadenza ordinaria del 2013. Ma il Pd rimase responsabilmente al suo posto. E, superato dai grillini, per quanto poi avesse scommesso improvvidamente sul loro aiuto per quel governo che Bersani chiamò “di combattimento e minoranza”, impeditogli all’ultimo momento dal Quirinale, si guardò bene dal rimproverare al capo dello Stato e allo stesso Monti i danni subiti elettoralmente. Sono regole elementari, direi, di convivenza politica che la logica della difesa adottata da Enrico Letta nel salotto televisivo di Lilli Gruber ha in qualche modo tradito. Non puoi vantarti del danno che riesci a procurare all’alleato o, ripeto, compagno di strada lungo un percorso che hai concordato con lui, o comunque hai accettato di condividere.

Di questo passo, peraltro, il segretario del Pd rischia di perdere il vantaggio che presume ogni tanto di avere conquistato e di rovesciare la situazione. Infatti, non essendo lo sprovveduto evidentemente considerato al Nazareno, Salvini ha reagito al Letta della Gruber, e di Travaglio, opponendo il “senso di responsabilità” della Lega, come partecipe del governo e della maggioranza, anche a costo di perdere voti, all’”opportunismo” del Pd. E alla confusione, quanto meno, del MoVimento 5 Stelle, che non riesce ancora a decollare sotto la guida di Giuseppe Conte per contasti esplosi, a questo punto, fra l’ex presidente del Consiglio e il “garante”, “elevato”, “insostituibile” e quant’altro Beppe Grillo.
Pubblicato sul Dubbio
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