Grandine su Conte, accusato da Grillo di averlo scambiato per un “coglione”

          Già indebolito di suo dal confronto quotidiano imposto dagli avvenimenti fra ciò che non riusciva a fare a Palazzo Chigi con tutti i sondaggi che pure gli gonfiavano le vele e ciò che sta facendo invece il suo successore fra l’interesse e l’ammirazione degli interlocutori internazionali, compreso il cardinale Pietro Parolin appena compiaciuto della risposta ottenuta nella vertenza aperta dalla Santa Sede sullo scivoloso tema dell’omotransfobia, Giuseppe Conte ha preso la classica tranvata da Beppe Grillo. Che gli ha praticamente tagliato l’erba sotto i piedi di designato a capo di un MoVimento 5 Stelle rifondato, anche se a designarlo fu proprio lui una domenica del mese di febbraio di quest’anno nella suggestiva cornice dei resti dei fori imperiali, visibili dall’albergo dove il comico genovese suole alloggiare nelle sue incursioni romane.

Titolo del Fatto Quotidiano

            Più che pioggia, come sui vetri dell’auto a bordo della quale Grillo è stato sorpreso nella Capitale dai fotografi, sul povero Conte è caduta la grandine, accusato peraltro dallo stesso Grillo di averlo scambiato per “un coglione” -testuale, secondo le parole gridate ai parlamentari pentastellati- prevedendone il sostanziale ridimensionamento come “garante” nello statuto del MoVimento di nuova edizione. “E’ lui -ha detto ancora Grillo di Conte- che ha bisogno di me”, non avendo “studiato bene” la creatura politica che gli era stata affidata o promessa. E non è neppure detto che si riesca ad arrivare ad un esame di riparazione, al quale peraltro il professore è stato un po’ sollecitato dal fedelissimo Marco Travaglio, sul Fatto Quotidiano, a sottrarsi a schiena dritta, prendendo cioè lui, a questo punto, l’iniziativa di rompere.

            Delle due l’una, ha scritto Travaglio nel suo editoriale di commento all’esplosione della rabbia di Grillo: “1) Gli eletti e gli iscritti ai 5Stelle votano sulla nuova piattaforma (“uno vale uno”) per decidere chi fa il capo e chi fa il coglione. 2) Conte si grillizza per un giorno, manda tutti affanculo e se ne torna a fare l’avvocato e il professore, dopo quattro mesi di volontariato senza stipendio, riconsegnando i 5Stelle a Grillo: è lui che li ha fondati, è giusto che sia lui ad affondarli”. O ad affondare quel che n’è rimasto -ha scritto Travaglio in altra parte del suo furente articolo di sostegno a Conte, e di abbandono del comico- dopo avere “mandato il M5S al macello nel governo più restauratore mai visto”. Che sarebbe naturalmente quello di Draghi, dal quale recentemente l’ex presidente del Consiglio –“un affermato avvocato civilista e docente universitario -ha scritto Travaglio- divenuto in tre anni il politico più popolare”- ha preso  vistosamente le distanze, ”disorientato” dalle scelte prevalentemente imposte, secondo lui, dall’odiato Matteo Salvini. E così vistosamente da lasciare immaginare una bella crisi durante il cosiddetto semestre bianco imminente, quando il presidente della Repubblica è disarmato per non potere sciogliere le Camere.

            Il caso -ma solo questo?- ha voluto che un estimatore di Conte come Goffredo Bettini, una specie di consigliere prestatogli dal Pd, avesse ieri confidato al Foglio di non vedere il governo del pur apprezzabilissimo Draghi destinato a durare sino alle elezioni del 2023. E questo -ha precisato- non perché preveda lo stesso Draghi al Quirinale o perché il nuovo capo dello Stato sciolga in anticipo le Camere. Non lo vede e basta, come dice abitualmente anche Travaglio in televisione a chi lo ospita e gli chiede previsioni non meteorologiche.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Draghi scrutato fra le righe della sua interlocuzione col Vaticano

Il deputato del Pd Alessandro Zan, autore del controverso disegno di legge contro l’omotransfobia

Per quanto all’occorrenza sappia essere spiritoso nella sua abituale severità, dubito che Mario Draghi sia in veste di presidente del Consiglio sia in veste di membro della Pontificia Accademia delle scienze sociali, nominato dal Papa ben prima che Sergio Mattarella lo mandasse a Palazzo Chigi, si sia riconosciuto e divertito nel vigile urbano di Roma proposto ai lettori del Corriere della Sera da Emilio Giannelli. Che in una vignetta lo ha immaginato in via della Conciliazione impegnato a multare l’auto del Pontefice, pizzicato in flagranza, diciamo così, di ingerenza per via della nota verbale della Segreteria di Stato del Vaticano consegnata all’ambasciata italiana presso la Santa Sede. In essa si chiede una diversa modulazione del disegno di legge già approvato dalla Camera e ora all’esame del Senato contro l’omotransfobia, noto col nome del proponente: il deputato del Pd Alessandro Zan.

Il documento della Segreteria di Stato d’oltre Tevere

            Emilio Giannelli ha interpretato, come altri su diversi giornali, le dichiarazioni fatte da Draghi al Senato, in riferimento a quella nota, alla stregua di una mezza porta in faccia sbattuta quanto meno al Segretario di Stato del Vaticano, se non proprio al Papa. Che d’altronde qualcuno, fra gli esperti delle mura leonine, ha immaginato sia stato preso alla sprovvista pure lui dall’iniziativa. Mi sembra francamente difficile che le cose oltre Tevere si siano italianizzate, cioè pasticciate, sino a questo punto. Né mi sembra che il Pontefice abbia tanta pazienza da sopportare in silenzio un evento del genere, senza destituire sul posto, e all’istante, un pur ragguardevole arcivescovo equiparabile al nostro ministro degli Esteri, per quanto si tratti nel nostro caso del giovane e necessariamente, direi anagraficamente poco esperto Luigi Di Maio.

La traduzione delle dichiarazioni di Draghi nel titolo della Verità

            Comunque, anche se l’ordinarietà, per le abitudini in voga nel nostro bel Paese, è scambiata qualche volta per eccezionalità, Draghi ha fatto poco di sconvolgente o di eroico nel ricordare alla Segreteria di Stato del Vaticano che la nostra è una Repubblica “laica, non confessionale”. Nella quale non a caso da anni ormai vigono, regolarmente disciplinati, il divorzio e l’aborto non certo di casa oltre Tevere. E personalmente andrei piano anche a liquidare come ingerenza l’iniziativa della Santa Sede, con o senza copertura del Papa, specie se ad avvertirla così negativamente sono persone e parti politiche – come ha osservato  il buon Mattia Feltri sulla Stampa nel suo “pianto greco”-  che si compiacciono, per esempio, delle posizioni della Chiesa in tema di immigrazione e simili per contrapporle a quelle dell’inviso Matteo Salvini. Il quale, a sentire i nostalgici di Giuseppe Conte, starebbe condizionando il governo nella maggioranza di emergenza ben più del Pd, delle 5 Stelle, o 5 schegge, della sinistra dei liberi e uguali o di tutti costoro messi insieme.

            Piuttosto che la scontata natura laica e non confessionale della nostra Repubblica, mi ha  personalmente colpito delle dichiarazioni di Draghi al Senato la inopportunità da lui avvertita di “entrare nel merito” del controverso disegno di legge, trattenuto tanto a lungo in commissione, dopo l’approvazione alla Camera, proprio per l’azione di contrato condotta dal centrodestra e per i dissensi esistenti anche all’interno di altri gruppi. Che non mi sembrano essere usciti indeboliti dalle critiche o preoccupazioni espresse, bene o male, dalla Chiesa e presumibilmente destinate ad alimentare quelle, diciamo così, domestiche. E che questo non sia “il momento del governo”, come ha detto Draghi nelle sue brevi ma meditatissime osservazioni nell’aula di Palazzo Madama, non mi sembra escludere che esso possa maturare successivamente, quando il confronto fra e nei gruppi, partiti e quant’altri sarà diventato più stringente, si presume dopo l’approdo del provvedimento in aula e la prevedibile rincorsa degli emendamenti.

            Al Senato peraltro gli schieramenti tradizionalmente intesi di centrodestra e di centrosinistra, comprensivo quest’ultimo del MoVimento 5 Stelle in corso di una rifondazione talmente complicata da rischiare il crollo definitivo, sono talmente risicati e incerti che in ogni loro appuntamento con una votazione i numeri ballano come quelli del lotto. Ne sanno qualcosa proprio sotto le 5 Stelle, avendo Conte tentato di resistere alla crisi nei mesi scorsi barricandosi a Palazzo Chigi per ricevervi senatori di varia tendenza provvidenzialmente disposti a soccorrerlo per vanificare il passaggio all’opposizione minacciato o attuato, secondo le ore o i giorni, dai renziani.

            Alla fine, come si ricorderà, sfiancato dalle attese, dalle trattative, dai ripensamenti, e  incalzato dal rischio di vedersi bocciato il guardasigilli grillino Alfonso Bonafede in un dibattito non eludibile sulla situazione della giustizia, l’allora presidente del Consiglio fu costretto praticamente alla resa e al commiato. Mi chiedo a questo punto perché si possano o si debbano escludere sorprese nell’esame ancora in corso della legge Zan, trasformata forse imprudentemente in una barricata dai soliti oltranzisti, che non mancano mai dalle nostre parti: a destra, a sinistra e persino al centro.

Pubblicato sul Dubbio

Blog su WordPress.com.

Su ↑