Berlusconi lancia il cuore, ma forse anche qualcosa d’altro, oltre l’ostacolo

            A ulteriore dimostrazione di come una vignetta possa essere più efficace di ogni pur brillante, sapiente e informato articolo o commento a rappresentare un problema o una situazione non si può non segnalare quella di Stefano Rolli oggi sul Secolo XIX. Che propone impietosamente ai lettori Silvio Berlusconi proteso sul predellino non di un’auto, come nel 2007 per lanciare l’unificazione tra Forza Italia e Alleanza Nazionale, ma di una sedia a rotelle, o carrozzella, per proporre questa volta l’unificazione di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. E’ una proposta, da lui formulata parlando in collegamento con i parlamentari europei del suo partito, ancora più spinta di quella formalmente avanzata di recente da Matteo Salvini, e da lui accolta con interesse tra le proteste e i dubbi di molti forzisti, a cominciare dalla ministra Mara Carfagna, timorosi di un’annessione da parte della Lega, elettoralmente troppo più solida di Forza Italia.

            Anche l’idea di un partito unico del centrodestra, per quanto lanciata personalmente da Berlusconi, e in una prospettiva presumibilmente non immediata, ha sorpreso, spiazzato e quant’altro molti in Forza Italia, ma anche fuori. Salvini ha reagito riproponendo come più realistica la federazione. Decisamente contraria si è mostrata Giorgia Meloni, che navigando col vento in poppa grazie ai sondaggi che le hanno fatto sorpassare la Lega, accreditando un centrodestra a trazione sua personale, non ha obiettivamente interesse a contenere in un altro partito la sua formazione.

La Meloni non è decisamente nelle condizioni del 2007 di Gianfranco Fini. Che a botta calda liquidò come una “comica” la prospettiva di un partito che unificasse Forza Italia e la sua Alleanza Nazionale. Ma poi vi si convertì perché, in calo progressivo di voti da solo, avvertì l’opportunità, o il vantaggio, di non contarsi, riservandosi di condurre nel nuovo partito -il Pdl- un’azione di contenimento e poi di contrasto nei riguardi di un Berlusconi nel frattempo tornato a Palazzo Chigi. E Fini fu lì lì per rovesciarlo con una mozione di sfiducia preparata nel proprio ufficio, allora, di presidente della Camera. Era il 2010.

            Berlusconi, certo, non manca mai di sorprendere. Ma questa volta forse ha davvero lanciato troppo il cuore, o qualcosa di sottinteso nella vignetta di Stefano Rolli, cioè una stampella, oltre l’ostacolo.

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Di Maio imballato come ministro degli Esteri e pentastellato dopo il G7

            A vedere e sentire Luigi Di Maio nel salotto televisivo di Bianca Berlinguer annaspare come ministro degli Esteri ed esponente di primo piano del Movimento 5 Stelle sul G7 appena svoltosi in Cornovaglia, non si sapeva, francamente, se piangere o ridere, se compatirlo o scandalizzarsene. “Non credo -egli ha detto ad un certo punto, difendendosi in particolare dalle incalzanti domande di Lucia Annunziata, spalleggiata dalla conduttrice- che “abbia sconvolto le sorti del G7 la visita di Grillo” all’ambasciatore cinese a Roma, durata tre ore a ridosso del vertice internazionale.

Dal blog di Beppe Grillo

            Il ministro fingeva, a quel punto, di non rendersi conto che le polemiche, i dubbi, i sospetti e quant’altro creati da quella visita, alla quale si era fortunatamente sottratto all’ultimo momento il nuovo capo in pectore del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte, erano già superate per l’ulteriore iniziativa assunta da Grillo. Che in qualità non di un comune cittadino o di un comico in servizio permanente effettivo ma di “garante” del Movimento, riconosciuto “insostituibile” da Conte, aveva deciso di ospitare e diffondere sul suo blog un articolo di Andrea Zhok, professore di antropologia e filosofia a Milano, in cui si liquidava il G7, ma anche il successivo summit della Nato, come “una parata vetero-ideologica” guidata contro la Russia e soprattutto  la Cina dal nuovo presidente degli Stati Uniti. Che avrebbe il torto di difendere, riproporre, rilanciare e quant’altro “la propria unilaterale supremazia mondiale”, trattando praticamente gli alleati come subordinati.  

            Come si possa conciliare questa visione delle cose e degli uomini – presumibilmente condivisa da Grillo prima, durante e dopo il suo lungo incontro all’ambasciata cinese a Roma- con quella del presidente del Consiglio Mario Draghi, partecipe non certo dissenziente sia al G7 sia al summit della Nato, Di Maio non ha voluto e saputo spiegare. E neppure come si concili quella partecipazione di Draghi, e i giudizi compiaciuti da lui espressi in entrambe le sedi internazionali, con la sua posizione e il suo stesso ruolo di ministro degli Esteri. Ch’egli peraltro ha rivendicato nell’organizzazione del G7, pur no  dovendovi partecipare.

            Escluso ogni “imbarazzo” anche per la riserva espressa esplicitamente dal presidente del Consiglio di “esaminare” l’applicazione e quant’altro dell’intesa commerciale con la Cina sottoscritta nel 2019 dallo stesso Di Maio come ministro dello sviluppo economico nel primo governo Conte, il ministro degli Esteri senza neppure rendersi conto della situazione paradossale in cui stava mettendosi ha detto, precisato, assicurato e quant’altro di essere perfettamente d’accordo con l’ex presidente del Consiglio e nuovo capo del MoVimento 5 Stelle. Ma che cosa Conte pensi esattamente delle cose dette da Draghi durante e dopo i due vertici internazionali non è dato sapere esattamente finora. Si sa solo che, pur continuando a fare parte della maggioranza, e deciso a “sostenere lealmente” il nuovo governo, egli si è pubblicamente pronunciato contro buona parte delle decisioni da esso adottate, evidentemente troppo condizionate dalle componenti di centrodestra.

            Il pasticcio insomma c’è tutto, e rimane. Anzi, aumenta ogni volta che qualcuno cerca di chiarirlo o solo ridurlo.

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