Il cerino del Vaticano sull’omofobia finisce tra le dita di Mario Draghi

            Con la solita arguzia mista a irriverenza o blasfemia Sergio Staino ha tradotto sulla Stampa l’intervento della Chiesa non contro, come si è largamente titolato con la solita approssimazione politica, ma su una legge in esame al Senato d’iniziativa parlamentare, travestendosi da San Pietro all’ingresso del Paradiso. E bloccando una coppia LGBT- ormai noto acronimo di lesbica, gay, bisessuale e transgender, coi colori dell’arcobaleno- perché, pur sapendoli “bravi e buoni”, ha “problemi con il Vaticano”. Una cui “nota verbale” consegnata all’ambasciata italiana presso la Santa Sede ha squassato il mondo politico avvertendo una violazione del Concordato in una norma del disegno di legge che non esonera le scuole private dall’organizzazione della istituenda festa, o giornata, contro l’omotransfobia.

            Fra tutti, il partito più squassato dall’intervento del Vaticano è apparso il Pd, che si è subito diviso fra la voglia di dialogare con la Chiesa, magari formulando diversamente la norma contestata oltre Tevere, e quella di chiudersi a riccio nella difesa laica, diciamo così, del testo. Il segretario cattolico Enrico Letta, per non sbagliare, si è fatto tentare sia dalla prima sia dalla seconda strada, incorrendo peraltro nella derisione del leader leghista Matteo Salvini. Al quale non è sembrato vero ricambiare il sarcasmo col quale la sera prima, in televisione, lo stesso Letta si era vantato dei voti che la Lega perde nei sondaggi facendo parte, col Pd e gli altri partiti, del governo di emergenza di Mario Draghi.

            Contrario al disegno di legge già approvato dalla Camera e in discussione al Senato, Salvini ha beffardamente proposto al segretario del Pd di parlarne insieme per trovare il nodo di comporre la vertenza aperta in modo imprevisto dalla Chiesa. E Letta, nel frattempo affrettatosi a sentire il ministro grillino degli Esteri, per le cui mani è transitata la nota diplomatica, si è quanto meno “morso la lingua”, come ha sospettato o intuito sulla Stampa Amedeo La Mattina. Ma per fortuna, penso, anche del segretario del Pd la questione alquanto spinosa, al netto -ripeto- di tutte le esagerazioni sparate nei titoli dei giornali, spintisi a parlare di “guerra fra Stato e Chiesa”, come sul Riformista, la questione è stata avocata dal presidente del Consiglio in persona. Al quale in qualche modo la polemica ha guastato la festa a Cinecittà con la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen per l’approvazione comunitaria del piano italiano della ripresa.

            Quella di Draghi sarà sicuramente una gestione dell’affare col Vaticano più avveduta e sicura dei partiti, correnti e sottocorrenti della maggioranza di governo, pur trovandosi il presidente del Consiglio -bisogna ammettere anche questo- in una situazione assai delicata: persino ai limiti di un conflitto d’interessi che -vedrete- qualcuno cercherà di contestargli fra i nostalgici del suo predecessore a Palazzo Chigi Giuseppe Conte, che pure ha notoriamente parecchie relazioni personali oltre Tevere. Ma Draghi fa anche parte dell’Accademia Pontificia delle Scienze Sociali, nominato personalmente dal Papa ben prima ch’egli diventasse presidente del Consiglio.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Bel modo di sostenere il governo vantandosi dei voti perduti da chi ne fa parte

Pur nella comprensione dovutagli per le condizioni di minorità in cui si trovava, con la conduttrice Lilli Gruber che spalleggiava nello studio televisivo di Otto e mezzo gli attacchi di Marco Travaglio, collegato dalla direzione del Fatto Quotidiano, il segretario del Pd Enrico Letta si è incautamente difeso facendo un grave torto al governo di Mario Draghi e alla maggioranza di emergenza raccoltasi attorno a lui. E in fondo anche al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che quel governo e quella maggioranza ha promosso chiudendo quattro mesi fa una crisi che in condizioni normali, senza le difficoltà e gli impedimenti derivanti dalla pandemia, avrebbe dovuto essere chiusa con lo scioglimento anticipato delle Camere e il conseguente ricorso alle urne.

            E’ accaduto, in particolare, che per smentire la rappresentazione di un governo Draghi a trazione sostanzialmente salviniana, pieno di “favori ai padroni” e di “flop” in materia di scuola, vaccini e giustizia, per ripetere parole e titoli di Travaglio, il segretario del Pd si sia vantato dei voti perduti dalla Lega nei sondaggi che hanno invece premiato il suo partito, sino a portarlo in testa alla classifica pur virtuale delle forze politiche, come rilevato di recente da Ispo per Repubblica.  

            Ebbene, a parte la smentita o novità appena arrivata da un sondaggio effettuato dalla Swg per conto proprio dell’emittente della trasmissione della Gruber, ed appena illustrati al telegiornale della 7 da Enrico Mentana, da cui il Pd risulta al terzo posto dopo Lega e Fratelli d’Italia, Enrico Letta ha finito col suo argomento per danneggiare il governo dove pure si sente orgogliosamente “di casa”.  Il rispetto degli alleati, o semplici compagni di strada in un percorso accidentato com’è quello nel quale è impegnato Draghi, e in una comprensione delle difficoltà che sembra maggiore all’estero che in Italia, è quanto meno opportuno, se non doveroso. E se Salvini ogni tanto si è lasciato prendere la mano anche lui, contrapponendosi più che affiancandosi al Pd, non è questa una buona ragione per ricambiarlo della stessa moneta, alimentando così una spirale polemica che non giova a nessuno, nuocendo invece a tutti.

Non è così, francamente, che si aiuta il presidente del Consiglio nel suo lavoro, a casa o in trasferta, dove per fortuna le abituali risse fra i partiti italiani nelle maggioranze di turno qualche volta riescono a passare inosservate, ma non sempre. E se un certo livello di guardia venisse superato, a prevenire o limitare i danni potrebbe non essere più sufficiente neppure il credito personale di cui Draghi gode con i suoi interlocutori, al di qua e al di là dell’Atlantico.

            E’ come se ai tempi della tanto e ingiustamente bistrattata prima Repubblica, quando la Dc, rimasta priva dei suoi tradizionali alleati di centro e di centrosinistra, fu costretta ad una “tregua parlamentare” col Pci di Enrico Berlinguer, raggiunta per spirito di dichiarata “solidarietà nazionale”, si fosse vantata dei voti che costava ai comunisti l’appoggio esterno ai governi monocolori di Giulio Andreotti.

            Le emergenze non si affrontano, di solito, con soccorritori così poco convinti del loro compito da guardarsi più fra di loro, con i pugnali in mano, che dagli ostacoli comuni.  Se ne rese conto nello stesso Pd -per non andare lontano con i tempi sino alla Dc di Benigno Zaccagnini e al Pci di Berlinguer- il buon Pier Luigi Bersani mancando la vittoria elettorale nel 2013 dopo avere appoggiato il governo tecnico di Mario Monti, anch’esso chiamato nel 2011 dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ad affrontare una gravissima emergenza economica, finanziaria e sociale.

            Silvio Berlusconi, partecipe di quegli accordi di maggioranza, al punto da dimettersi spontaneamente da presidente del Consiglio, senza avvertire o dolersi in quel momento del “complotto” di cui si sarebbe poi lamentato, ad un certo punto si sfilò, giusto in tempo per affrontare dall’opposizione le elezioni alla scadenza ordinaria del 2013. Ma il Pd rimase responsabilmente al suo posto. E, superato dai grillini, per quanto poi avesse scommesso improvvidamente sul loro aiuto per quel governo che Bersani chiamò “di combattimento e minoranza”, impeditogli all’ultimo momento dal Quirinale, si guardò bene dal rimproverare al capo dello Stato e allo stesso Monti i danni subiti elettoralmente. Sono regole elementari, direi, di convivenza politica che la logica della difesa adottata da  Enrico Letta nel salotto televisivo di Lilli Gruber ha in qualche modo tradito. Non puoi vantarti del danno che riesci a procurare all’alleato o, ripeto, compagno di strada lungo un percorso che hai concordato con lui, o comunque hai accettato di condividere.

            Di questo passo, peraltro, il segretario del Pd rischia di perdere il vantaggio che presume ogni tanto di avere conquistato e di rovesciare la situazione. Infatti, non essendo lo sprovveduto evidentemente considerato al Nazareno, Salvini ha reagito al Letta della Gruber, e di Travaglio, opponendo il “senso di responsabilità” della Lega, come partecipe del governo e della maggioranza, anche a costo di perdere voti, all’”opportunismo” del Pd. E alla confusione, quanto meno, del MoVimento 5 Stelle, che non riesce ancora a decollare sotto la guida di Giuseppe Conte per contasti esplosi, a questo punto, fra l’ex presidente del Consiglio e il “garante”, “elevato”, “insostituibile” e quant’altro Beppe Grillo.

Pubblicato sul Dubbio

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