Draghi dopo l’attacco di Conte ostenta i suoi buoni rapporti con Salvini

Salvini all’arrivo a Palazzo Chigi

La risposta di Mario Draghi all’intervista problematica, diciamo così, di Giuseppe Conte in veste di quasi capo del MoVimento 5 Stelle, a poche centinaia di metri ormai dal traguardo dopo la rimozione degli ostacoli di Davide Casaleggio e affini, è stata immediata e significativa, da uomo di poche parole e del fare com’è il presidente del Consiglio. Il suo incontro a Palazzo Chigi  con Matteo Salvini, già programmato prima di quell’intervista, è durato mezz’ora in più del previsto. “Abbiamo perso di vista l’orologio”, ha detto il leader leghista all’uscita, spiegando ai cronisti di avere parlato con Draghi “d’Italia e non dei partiti”: neppure del suo e di quello di Silvio Berlusconi, entrambi al governo, impegnati nell’accidentato percorso di un patto federativo su cui evidentemente il presidente del Consiglio non ha avvertito la curiosità o l’interesse di saperne più di quanto non si scriva sui giornali.

            L’incontro con Draghi è stato “bello e utile”, ha commentato ancora Salvini preannunciandone altri in una prospettiva certamente di non breve durata del governo, visti gli “ottimi risultati” raggiunti sinora sia per superare le emergenze dalle quali esso è nato sia per garantire la ripresa e la crescita.

Titolo del Fatto Quotidiano

Se qualcuno, sotto le 5 Stelle e dintorni, pensa non solo di “farsi sentire di più”, come grida un titolo del Fatto Quotidiano all’intervista della ministra grillina Fabiana Dadone, compiaciuta dell’intervista di Conte al Corriere, ma di uscire anche dalla maggioranza per recuperare i voti, i parlamentari e altri ancora allontanatisi dal movimento, a cominciare da quel bravo “ragazzo” Alessandro Di Battista, come l’ha chiamato l’ex presidente del Consiglio, né Draghi né Salvini probabilmente si strapperanno i vestiti e andranno nudi per strada.

Credo che non si dispererà neppure il presidente della Repubblica. Il quale, pur privo nel suo ultimo semestre di mandato del diritto di sciogliere anticipatamente le Camere e mandare immediatamente gli italiani alle urne, saprà trovare il modo per far proseguire il lavoro di Draghi. Nelle Camere elette nel 2018, pur essendovi entrati come la forza di maggioranza relativa, i grillini sono diventati molto meno “centrali”, come si vantavano assumendo le formule e le parole della scomparsa Democrazia Cristiana. Il governo Draghi potrà proseguire con altri numeri per il tempo che si rivelerà opportuno o possibile, con Sergio Mattarella o un suo successore al Quirinale. A scegliere il quale peraltro i grillincontiani -altro effetto della loro crisi- potranno risultare meno decisivi delle loro attese o pretese.

            Oltre a non intimidire Draghi col disagio e quant’altro denunciato di fronte alle scelte sinora compiute dal governo, Conte non sembra riuscito neppure a raccogliere l’interesse che forse si aspettava fra i dissidenti, i “disiscritti”, come si definisce Casaleggio, e gli espulsi dal MoVimento dello scaduto reggente Vito Crimi. Da quelle parti non sono arrivati segnali di ripensamento. Non saranno insomma le parole di Conte, pur minacciose o ambigue, come le ha trovate Massimo Panarari sulla Stampa, per nulla convinto del “sostegno” garantito a Draghi pur contestandone le scelte, a cambiare le cose sotto le 5 stelle. Ci vorrà quanto meno il ritiro della “delegazione” dal governo. Vasto programma, direbbe un redivivo De Gaulle in vacanza in Italia.

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Più tattica che strategia nel progetto federativo di Berlusconi e Salvini

Su Libero, uno dei giornali di riferimento del centrodestra, è stato addirittura definito “patto d’acciaio” quello immaginato, pur come federativo, tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, o viceversa.

Titolo del Dubbio
Ricolfi sul Messaggero

A chi sia venuta per primo l’idea  è stato controverso sino a quando il bravo Luca Ricolfi non ha recuperato e riproposto sul Messaggero un commento di Silvio Berlusconi ai risultati delle elezioni europee del 2019, quando la Lega di Salvini allora al governo da solo con i grillini, conquistò il 34 per cento dei voti e la sua Forza Italia meno del 9. “Forza Italia -disse allora Berlusconi ai suoi che ancora si riunivano a Palazzo Grazioli, a Roma- è destinata a stare con la Lega o attraverso un’alleanza o con una fusione. Con Salvini sono in costante contatto”.

Quasi due anni dopo Maurizio Belpietro, frequentatore certificato della quasi Real Casa di Arcore e direttore della Verita, ha attribuito sempre a Berlusconi il progetto di un “Predellino 2”: una specie di riedizione del predellino dell’auto su cui l’ex presidente del Consiglio montò nel 2007 in Piazza San Babila, a Milano, per prospettare non la federazione ma l’unificazione di Forza Italia e di Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini. Che prima reagì parlando di “comiche” ma poi ne scoprì una doppia utilità. Una era quella di non doversi più contare elettoralmente da solo, dopo una serie di arretramenti elettorali della destra ex o post-missina, l’altra era di poter scalare dall’interno di uno stesso partito, che fu chiamato Popolo della libertà, il vertice scommettendo sul logoramento del Cavaliere, fisico e  giudiziario.

Ora che Fini politicamente non c’è più, logorato più e prima del suo ex alleato, ad avvicendarsi nell’operazione Predellino è la Lega, completamente estranea all’avventura del 2007. L’estraneità stavolta è della destra post-finiana, contro la quale anzi, al di là delle smentite formali, sarebbe nato il nuovo progetto, almeno guardando alle convenienze di Salvini. Che, appoggiandosi alle pur ridotte truppe elettorali di Berlusconi, pensa di evitare il sorpasso perseguito ormai con spietata franchezza da Giorgia Meloni, propedeutico ad un centrodestra a trazione non più leghista, oltre che non più forzista.

Hiter e Ciano dopo la firma del Patto d’acciaio

Di acciaio tuttavia in questa operazione- mi spiace per quelli di Libero, che è appena tornato a scrivere di “asse” nel titolone di prima pagina-  si vede ben poco per le difficoltà subito incontrate da entrambi i protagonisti. Essi continuano, per carità, a telefonarsi per incoraggiarsi a vicenda, ma  nei loro rispettivi partiti crescono resistenze, malumori e quant’altro. D’acciaio, del resto, c’era francamente poco anche nell’omonimo patto del 1939, che il ministro degli Esteri di Mussolini, il genero Costanzo Ciano, andò a firmare a Berlino scrivendo tuttavia sui suoi diari di crederci poco, anzi per niente. E tutto finì con un disastro per entrambe le parti, più quella giapponese intervenuta in un secondo momento.

La citazione del patto d’acciaio su Libero

Non foss’altro per scaramanzia, visto l’epilogo del patto d’acciaio storicamente e sinistramente più noto, al progetto federativo della parte del centrodestra attualmente al governo dovrebbero essere risparmiati certi incauti richiami.  Se ne dovrebbe parlare nei termini più modesti e propri di un’operazione tattica nella quale conta forse capire non chi ci potrebbe guadagnare di più ma  chi potrebbe rimetterci di meno, avendo ragione Giorgia Meloni quando ricorda che la somma di due partiti non equivale per forza a quella dei loro elettorati.

Il banchetto improvvisato da Conte a favore di Draghi

Sembra un paradosso che il centrodestra soffra pur essendo sistematicamente in vantaggio nei sondaggi sul centrosinistra abbozzatosi  per strada fra Pd e ciò che resta o resterà del MoVimento 5 Stelle, e comunque già al governo della maggior parte delle regioni. Ma il paradosso è ormai diventato sistemico nella politica italiana, comune tanto al centrodestra quanto al centrosinistra. Dove, per esempio, si esulta per l’incoronazione finalmente più vicina di Conte nel movimento grillino liberatosi di quella che era diventata una zavorra,  non più la mitica Associazione Rousseau. Ma non si capisce, o si finge di non capire che il Conte voluto, designato personalmente da Grillo una domenica mattina a Roma davanti ai resti dei Fori Imperiali è già diventato un altro. Non è più il Conte del banchetto improvvisato davanti a Palazzo Chigi per annunciare la resa all’arrivo di Draghi e la  generosa disponibilità a dargli la mano, secondo le indicazioni di Grillo, ma il Conte investito già di un’altra, diversa missione: quella  appena confermata in una intervista al Corriere della Sera di protestare contro le ultime decisioni del governo  e correggerne la rotta, secondo l’auspicio, dichiamo così, formulato il giorno prima dal Fatto Quotidiano.  

Correggere la rotta del governo Draghi, ritenuta troppo di destra, significa semplicemente lavorare per la sua caduta, non a caso già attribuita ai calcoli di Conte da qualche retroscena.  Ma per  fare questo bastava -altro paradosso- lasciare il Movimento 5 Stelle, o 5 Schegge, come l’ha chiamato sulla Stampa Massimo Panarari, nell’anarchia prodotta dalla lunga reggenza di Vito Crimi, restituendo Conte alla docenza e alla professione forense, e lasciando di lui ai nostalgici il ricordo di un buon presidente del Consiglio, ingenerosamente rovesciato col solito, presunto complotto. “Conticidio”, lo ha chiamato il giallista che più ne ha sofferto.

Pubblicato sul Dubbio

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