Il curioso assalto a due donne quirinabili: la Casellati e la Cartabia

C’è chi si appassiona in questi giorni alle analisi sul G7 svoltosi in Cornovaglia, o sul vertice della Nato, o sull’incontro tra il presidente americano Joe Biden e i massimi rappresentanti dell’Unione Europea, o sulle tre ore di colloquio fra Biden e Putin a Gineva, o sulle quattro di Beppe Grillo con l’ambasciatore cinese a Roma, o sulla campagna vaccinaria di casa nostra tra polemiche e i soliti conflitti tra e con le regioni, o sulla proroga dello stato di emergenza in cantiere tra le resistenze del solito Matteo Salvini, spalleggiato all’opposizione da Giorgia Meloni, o viceversa, o sulle difficoltà del Pd nel tessere la tela con le 5 Stelle,o sul partito unico del centrodestra proposto da Silvio Berlusconi agli europarlamentari della sua Forza Italia. E chi invece, come il solito Fatto Quotidiano, è impegnato in una offensiva contro due donne molto diverse, per cariche che ricoprono, stile e quant’altro, ma accomunate da una circostanza: quella di essere, dietro le quinte dalle quali i loro avversari vogliono tirarle fuori, candidabili per un finale di genere, diciamo così, della corsa al Quirinale, stando per scadere il mandato di Sergio Mattarella.

            Un finale di genere significa l’elezione per la prima volta di una donna al vertice dello Stato. Che potrebbe essere un modo meno indolore possibile di uscirne in una edizione molto speciale, diciamo pure anomala, della successione presidenziale affidata alle votazioni di un Parlamento sostanzialmente delegittimato da una riforma che ne determinerà l’anno dopo l’insediamento del nuovo Presidente, salvo anticipi, un rinnovo specialissimo. La Camera sarà ridotta da 630 seggi a 400 e il Senato da 315 a 200. Ma la consistenza dei gruppi sarà anche politicamente diversa perché i grillini, per esempio, sono i primi ad essere convinti di non poter tornare come i più numerosi.

            Le due donne quirinabili contro le quali è concentrata l’attenzione o l’offensiva personale e politica del Fatto Quotidiano sono la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati e la ministra della Giustizia Marta Cartabia, già presidente della Corte Costituzionale.

Titolo del Fatto del 17 giugno

            Contro la Casellati il giornale di Marco Travaglio ha aperto il fuoco, diciamo così, prima contestandone i troppi voli di Stato, che non sarebbero giustificati dalla pandemia, poi cercando di coinvolgerla nell’affare Palamara per le conoscenze o gli incontri quando l’esponente forzista era consigliere superiore della magistratura, infine attribuendole una specie di confisca del Festival dei due mondi a Spoleto per farne in qualche modo protagonisti i figli Alvise e Ludovica. Tra titoli, fotomontaggi e articoli del Fatto c’è da ricavarne un album.

Titolo del Fatto Quotidiano del 14 giugno

            Alla guardasigilli Cartabia il giornale di Travaglio ha rimproverato di avere allentato le maglie del cosiddetto ergastolo ostativo quand’era alla Corte Costituzione e di essersi in qualche modo guadagnata l’attenzione, con tanto di lettera sulla quale sono state reclamate le solite indagini, di Giuseppe Graviano, stragista ed ergastolano di mafia. Ma Cartabia non piace, diciamo così, sotto le 5 stelle neppure per la riforma del processo penale in cantiere, dove dovrà essere quanto meno modificata la prescrizione voluta dal precedente ministro grillino della Giustizia, con cui potrebbe capitare a chiunque di diventare un imputato a vita, persino dopo un’assoluzione in primo grado impugnata dall’accusa. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it   

Lo spirito testamentario del partito unico proposto da Berlusconi al centrodestra

Più che di una lettura politica temo che abbia bisogno di una lettura psicologica la proposta del partito unico del centrodestra formulata da Silvio Berlusconi partecipando, nelle modalità ormai imposte direttamente o indirettamente dalla pandemia, alla riunione degli europarlamentari, e quindi colleghi, della sua Forza Italia.  Con i quali quindi è andato ben oltre il progetto federativo prospettato dal leader leghista Matteo Salvini. Che è stato il primo a mostrarsi stupito, se non addirittura contrariato dall’uscita dell’alleato, avendo toccato con mano nei giorni e nelle settimane scorse le resistenze createsi, e persino esplose, tra i forzisti e gli stessi leghisti contro il suo progetto pur più modesto, e circoscritto ai due partiti del centrodestra impegnati nel governo e nella maggioranza di emergenza nazionale di Mario Draghi.

            Un partito unico del centrodestra comporta per forza di cose anche il coinvolgimento dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che se ne sta comodamente all’opposizione, persino incoraggiata da un Draghi che, diversamente da quanto faceva il predecessore Giuseppe Conte col centrodestra interamente contrario al suo governo, la riceve e, più in generale, la tratta con tutti i riguardi e l’attenzione possibili.

Foto d’archivio dei tre leader del centrodestra insieme in piazza

            Non si capisce perché mai la giovane e rampante “Giorgia”, come ormai tutti la chiamano anche nei titoli dei giornali risparmiandole il cognome, debba prestarsi -e infatti non ha alcuna intenzione di farlo- ad un’operazione che in qualche modo potrebbe ridurre la sua carica oppositiva e così anche fermare o persino invertire il processo di crescita elettorale emerso con nettezza dai sondaggi. Esso già le ha consentito, peraltro, di sorpassare nel centrodestra, sia pure di poco, la Lega intestandole  la nuova trazione dello schieramento nella prospettiva delle prossime elezioni politiche. Dopo le quali, secondo un accordo che ha già funzionato con Salvini e che di certo non avrebbe più senso in un partito unico, anziché in una coalizione o federazione, la guida del governo, o dell’opposizione, spetta a chi ha preso più voti.

            C’è chi ha attribuito a Berlusconi, fra le righe e le parole, ciò che egli non merita, avendo dimostrato un rapido apprendimento della professione politica, riconosciutogli dal compianto presidente della Repubblica Francesco Cossiga mentre molti ancora lo liquidavano come un imprenditore fortunato, e magari anche bravissimo, ma un politico dilettante, improvvisato e quant’altro. In particolare, ho visto attribuire a Berlusconi, per la sua proposta del partito unico del centrodestra, l’interesse a compattare lo schieramento di centrodestra nella scalata al Quirinale, in vista della scadenza del mandato di Sergio Mattarella.

            Anche se questo è diventato l’incubo di giornali come Il Fatto Quotidiano e Domani, che si rincorrono nella paura e nella demonizzazione dell’ex presidente del Consiglio, mi rifiuto di credere ch’egli davvero pensi alla possibilità di essere eletto al vertice dello Stato da questo Parlamento, per quanti consensi lui possa ottenere fra i delegati delle regioni a prevalente maggioranza di centrodestra, e quanti deputati e senatori abbia perso per strada, dall’inizio di questa legislatura, l’ostilissimo MoVimento 5 Stelle. Ma poi che bisogno avrebbe un pur ingenuo e ottimista Berlusconi di garantirsi l’appoggio della destra post-finiana, chiamiamola così, se la Meloni in persona ha appena assicurato o fatto capire in una delle sue frequenti prestazioni televisive di non avere alcuna preclusione, anzi di essere disposta ben volentieri a votarlo come candidato al Quirinale? Via, cerchiamo di essere seri.

La senatrice Gabriella Giammanco

            E’ ben altra, come dicevo, la lettura che forse merita il progetto berlusconiano di un partito unico del centrodestra, ben più ambizioso peraltro di quello lanciato nell’autunno del 2007 a Milano dal predellino della sua auto, in Piazza San Babila. Si trattò allora di fare confluire nel Partito della Libertà la sua Forza Italia, cespugli, schegge e quant’altro del centrismo democristiano e laico della cosiddetta prima Repubblica e l’Alleanza Nazionale-post Movimento Sociale di Gianfranco Fini, con l’esclusione quindi della Lega ancora guidata da Umberto Bossi. E’ una lettura più psicologica che politica, come dicevo, quella che merita il nuovo progetto berlusconiano se persino una senatrice forzista come Gabriella Giammanco lo ha definito “visionario”.

            Senza voler essere sbrigativo e rude come il vignettista Stefano Rolli, che sul Secolo XIX ha immaginato Berlusconi sul predellino di una carrozzella anziché di un’auto, e avendo più rispetto di un uomo che ho conosciuto e frequentato, e col quale ho anche lavorato, penso che le dimensioni nelle quali egli è portato a pensare alla sua età, e con tutti i mali e malori che ha fronteggiato, siano ben maggiori di quelle che gli vengono attribuite.

Più che un obiettivo a portata di mano, da cui ricavare chissà quale vantaggio immediato, ho avvertito nella sortita con gli europarlamentari la generosa indicazione di un lascito testamentario, quasi la protezione di un patrimonio da lui pazientemente costruito. Berlusconi non ha saputo o voluto, magari prima non ha voluto e poi non ha saputo indicare e coltivare davvero un delfino, ma non per questo è indifferente allo sviluppo e al destino di un centrodestra che è giustamente convinto di avere avuto lui il coraggio di costruire in Italia, mentre la politica veniva decapitata nelle Procure della Repubblica paradossalmente tra gli applausi anche di una parte di quello stesso centrodestra.

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it il 19 gennaio

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