Gli auguri felicemente perfidi di Renzi a Berlusconi

Il già nutrito elenco delle colpe attribuite a Matteo Renzi dalla sinistra al cubo di Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema e compagni si è allungato con gli auguri che praticamente il segretario del Pd, ospite di Bruno Vespa a Porta a Porta, ha fatto a Silvio Berlusconi di vincere il ricorso presentato alla Corte europea dei diritti umani contro la decadenza dal Senato e l’incandidabilità inflittegli quattro anni fa.

Quasi a dettare la linea agli scissionisti del Pd e a tutti gli altri avversari del leader del centrodestra, compresi naturalmente i grillini, il solito Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio ha sparato in prima pagina contro Renzi un titolo per rimproverargli di “legittimare” Berlusconi con il suo auspicio di vederlo candidato direttamente alle prossime elezioni politiche. Che significherebbe poi vederlo candidato anche contro di sé, e non solo contro il portavoce -così vogliono essere chiamati i parlamentari a 5 stelle- di Beppe Grillo.

Gli auguri di Renzi a Berlusconi, pur conformi alla volontà sempre espressa pubblicamente dal segretario del Pd di volere battere il leader del centrodestra politicamente, senza le scorciatoie o le deviazioni giudiziarie praticate o tentate dai suoi predecessori -ma contraddetti, in verità, dal contributo dato anche dai senatori renziani alla decadenza del presidente di Forza Italia da Palazzo Madama-  sono almeno due volte perfidi agli occhi degli avversari del segretario del Pd.

La prima perfidia sta nel fatto che l’auspicata contrapposizione elettorale, e diretta, fra Renzi e Berlusconi indebolisce la rappresentazione dei due leader impegnati sotto traccia a non farsi troppo male per potersi poi accordare per un governo di cosiddette larghe intese dopo un eventuale risultato inconcludente del voto popolare. Che non è una previsione azzardata, per come è fatta la nuova legge elettorale.

La seconda perfidia negli auguri di Renzi a Berlusconi sta nel fatto che da un successo del ricorso del leader del centrodestra alla Corte europea dei diritti umani ad uscire peggio di tutti sarebbe Pietro Grasso, presidente del Senato e ora anche ad un passo dall’incoronazione come capo del cartello elettorale della sinistra al cubo. Il cui obiettivo non è certamente quello di vincere le elezioni, date le sue dimensioni valutate ad una sola cifra percentuale, ma di farle perdere, o di non farle vincere, al Pd di Renzi e ai suoi alleati.

Il ruolo di Grasso nella decadenza di Berlusconi dal Senato, quattro anni fa, con l’applicazione retroattiva della cosiddetta legge Severino dopo la condanna definitiva dell’ex presidente del Consiglio per frode fiscale, fu davvero decisivo. Confortato da un parere della giunta del regolamento tanto improvvisato quanto condizionato da un clima politico a dir poco ossessivo, in cui era stata liquidata come una mezza provocazione anche la ragionevole opinione dell’ex presidente della Camera Luciano Violante che fosse meglio aspettare una valutazione della controversa legge Severino da parte della Corte Costituzionale, Grasso decise che sulla decadenza di Berlusconi si votasse in aula a scrutinio inusualmente palese, e non segreto.  Fu una decisione apparsa a molti due volte discutibile, per essere stata presa da un presidente di assemblea e da un ex magistrato.

 

Ripreso da http://www.formiche.net col titolo: Perché sono un po’ perfidi gli auguri di Matteo Renzi a Silvio Berlusconi

 

 

 

Se i magistrati a Messina sfidano pure la Madonna delle catene

I genitori del De Luca siciliano, da non confondere con quello della Campania, che governa più o meno felicemente la sua regione schivando ricorrenti difficoltà politiche e giudiziarie, furono davvero previdenti. Essi chiamarono all’anagrafe e alla parrocchia il loro figliolo non Vincenzo, come l’omonimo di Ruvo del Monte, ma Cateno. Che sembrerà un nome strano, ma in Sicilia è diffuso, sia pure meno del suo femminile Catena, ispirata  all’omonima Madonna promossa dal popolo, prima ancora che dalla Chiesa, più di seicento anni fa patrona degli schiavi, prigionieri, detenuti e chiunque altro si trovi appunto in catene.

La leggenda vuole che tre poveracci portati a morire per impiccagione davanti a una chiesetta dedicata alla Vergine furono salvati in prima battuta da un forte temporale. Che indusse le guardie a portare i malcapitati al coperto, aspettando che smettesse di piovere. Ma il tempo non migliorò e i tre furono legati di notte all’altare con le catene, che la Madonna rispondendo alle loro preghiere ruppe senza fare rumore, cioè senza svegliare le guardie. Che non si accorsero pertanto della fuga dei tre graziati.

Ma la leggenda non finisce qui. Essa vuole che le guardie, svegliatesi all’alba, e col tempo nel frattempo migliorato, riuscirono a catturare i fuggiaschi e a riportarli per l’esecuzione in piazza. Dove la popolazione impedì che la condanna a morte fosse eseguita, valendo ai propri occhi più la grazia della Madonna che l’autorità del re di

turno. Che si arrese pure lui alla Vergine ordinando la scarcerazione, a quel punto, dei fortunati.

Con una simile storia o leggenda alle spalle, e con quindici processi vinti su quindici in sette anni, il deputato regionale Cateno De Luca, appena rimesso in libertà da un giudice, e in attesa del sedicesimo processo, può ben considerare i pubblici ministeri che non lo mollano di essere anche blasfemi. Correrebbe meno rischi di quanti se ne sta forse procurando dando loro dei mafiosi, o quasi, sia pure in un empito comprensibile di rabbia.

 

 

Pubblicato da Il Dubbio

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