Posso fregarmene delle lacrime e invettive per l’esclusione degli azzurri dai mondiali di calcio e dissociarmi, senza temere insulti, dai festeggiamenti mediatici per “il successo di Giletti” -titolo del Corriere della Sera di Urbano Cairo su tutta la trentottesima pagina degli spettacoli di martedì 14 novembre- per il suo esordio su La 7, anch’essa di Cairo? Dove l’ex dipendente della Rai ha sfiorato domenica sera il 9 per cento di ascolto con la sua nuova Arena dedicata alla tragedia politica e umana di Gianfranco Fini, ai vitalizi degli ex parlamentari e alle molestie sessuali viste con gli occhi, la sensibilità e quant’altro di Lele Mora. Forse non dovrei e non potrei dissociarmi, ma lo faccio lo stesso.
Pare che l’8,9 per cento di share conquistato dal giornalista, conduttore e quant’altro sceso dal cavallo di viale Mazzini sia stato pari a un milione e 969 mila spettatori. Che sono tanti, d’accordo, ma pur sempre -permettetemi, al di là delle diverse dimensioni dei bacini d’ascolto- inferiori ai tre milioni e 767 mila spettatori del concorrente Fabio Fazio sulla prima rete della Rai, dei quattro milioni e 920 mila della fiction con Rosy Abate su Canale 5 e dei due milioni e 250 mila delle Iene su Italia 1.
Fra i quasi due milioni di telespettatori di domenica sera intrattenuti da Giletti ci sono stato anch’io, che tuttavia sono rimasto deluso dalla prestazione giornalistica del martire della Rai per quel pasticcio a dir poco sconcertante, per esempio, fra decreto legge e disegno di legge sul taglio dal quaranta al cinquanta per cento dei vitalizi percepiti dagli ex parlamentari, o vedove, presentati ancora una volta al pubblico come indecenti sanguisughe nazionali. A difesa dei quali è stato ammesso in trasmissione un avvocato, ex parlamentare pure lui, ma per lasciarlo trattare dagli altri ospiti di studio come un mezzo scimunito, frequentatore ritardato di asili infantili. Dove solo si può opporre ai 2500 e rotti ex parlamentari favoriti dal vecchio sistema retributivo, peraltro senza distinzione fra chi vive solo del vitalizio e chi percepisce anche altri redditi, i 400 mila e più pensionati cosiddetti baby, spesso arrivati al trattamento di quiescenza, al netto dei riscatti di lauree e servizi militari, con meno di dieci anni di servizio.
È da asilo infantile, ma questa volta davvero, anche chi, come Giletti in persona, addita al pubblico ludibrio davanti alle telecamere chi prende “seimila euro al mese per avere fatto il parlamentare un solo giorno”. Che è una cosa materialmente impossibile perché con un solo giorno da deputato o senatore si può solo avere lucrato -indecentemente, certo- su una legislatura, maturando quindi un vitalizio non di seimila, ma di ottocento euro.
Visti i numeri della lotteria televisiva di Giletti, ha forse avuto ragione Goffredo Buccini a scrivere sul Corriere della Sera – peraltro nello stesso giorno del decantato successo della nuova Arena, ma a proposito di “Di Maio, re delle gaffe”- che meno si conoscono i problemi, meno si azzeccano i congiuntivi, meno si collocano uomini e paesi nei posti giusti dell’Atlante, meno si sa fare di conto, più si può diventare popolari perché ci si “avvicina alla gente”. Come è capitato per tanto tempo ad Antonio Di Pietro, ha giustamente ricordato Buccini scherzando, ma non troppo, sulla spavalderia con cui l’allora pubblico ministero attribuiva i suoi congiuntivi a quella curiosa lingua che lui stesso chiamava “dipietrese” fra il compiacimento, anzi il divertimento, del pubblico mai pago abbastanza delle manette che “Tonino” faceva scattare, e sognare alle masse festanti sotto le finestre del suo ufficio milanese.