Solo la Madonna a questo punto potrà davvero salvare dall’attenzione dei magistrati siciliani, a Messina, il deputato regionale Cateno De Luca. Che è finito agli arresti domiciliari per evasione fiscale prima ancora della proclamazione della sua elezione. Ma al secondo giorno della sua detenzione a casa, scortato dai Carabinieri, egli ha potuto andare a godersi in tribunale lo spettacolo della propria assoluzione dalle accuse di tentata concussione, abuso d’ufficio e falso in atto pubblico nel quindicesimo dei processi subiti in soli sette anni, e tutti conclusi a proprio favore.
Curiosamente, direi pure scandalosamente, questa notizia è stata allontanata dalle prime pagine di tutti i giornaloni, spesisi al solito in titoloni di sarcasmo e di condanna all’annuncio dell’arresto del malcapitato dopo l’elezione a deputato regionale nelle liste dell’Udc, e nella coalizione di centrodestra guidata dal neo governatore regionale Nello Musumeci.
Eppure questa storia di Cateno De Luca dovrebbe bastare e avanzare per farsi ancora una volta l’idea di che cosa sia ormai l’amministrazione della giustizia, con la minuscola, in questo sventurato Paese. Essa potrebbe e dovrebbe anche aiutare a capire perché, al netto della solerzia dei gazzettieri delle Procure, che o per sadismo o per uso politico della cronaca giudiziaria scommettono sempre sulle manette, mai sull’assoluzione o solo sul dubbio, i magistrati hanno perduto progressivamente la fiducia dei cittadini. E, più in particolare, degli elettori. Che nelle urne, a parte gli spettatori di Beppe Grillo, non si lasciano incantare da avvisi di garanzia, arresti, condanne e quant’altro.
Solo qualche giorno fa, in un inciso del suo solito, lungo editoriale quotidiano di stampo giustizialista Marco Travaglio si meravigliava di come e perché Silvio Berlusconi, condannato in via definitiva per frode fiscale e perciò decaduto da senatore nel 2013, fosse “ancora a piede libero”, e per giunta impegnato a far vincere la sua parte politica nelle elezioni politiche dell’anno prossimo. Ecco il perché, caro direttore del Fatto Quotidiano: perché la gente non si fida né dei sospetti e delle accuse delle Procure, né delle sentenze dei tribunali.
Quasi preveggenti, i genitori del deputato regionale siciliano De Luca, da non confondere con l’omonimo governatore della Campania, pure lui di casa comunque nelle Procure della sua regione, chiamarono 45 anni fa all’anagrafe il loro figliolo Cateno, che è la variante maschile di Catena: nome diffuso in Sicilia per devozione a Maria Santissima della Catena, appunto, protettrice degli schiavi e dei prigionieri. Con la quale sembrano destinati a fare i conti per fortuna anche i magistrati facili ai processi e alle manette.