Che botte di carta a destra !

Intervistato dal Dubbio, il direttore editoriale di Libero Vittorio Feltri è stato forse troppo ottimista nel parlare ancora di Maurizio Belpietro, direttore della Verità, come di un amico e nel prevedere che continueranno a salutarsi come se nulla fosse, o quasi, dopo essersele dette o scritte di tutti i colori in questi giorni. Vittorio accusando Maurizio di avere tra i finanziatori, anzi fra i soci, tramite la Fondazione Magna Magna Carta di Gaetano Quagliariello, quell’Alfredo Romeo arrestato per gli appalti della Consip, la centrale degli acquisti della pubblica amministrazione. Maurizio accusando Vittorio di avere come padrone quell’Antonio Angelucci che usa i suoi giornali per fare affari nel campo della sanità, imprescindibili da buoni rapporti col potere di turno o di luogo, per via delle convenzioni necessarie come il pane alle sue cliniche, laboratori, case per anziani e quant’altro.

Se le polemiche fra i due giornalisti pugnaci della destra si fossero limitate a questo, forse Vittorio potrebbe anche sperare ancora nell’amicizia di Maurizio, professionalmente cresciuto d’altronde alla sua scuola, essendosi l’uno “portato appresso”   l’altro -parola di Vittorio- nei vari giornali che ha diretto o dove ha comandato, da Bergamo a Milano. Sino a quando Maurizio non si è liberato del guinzaglio, per quanto metaforico, e non si è messo a dirigere giornali pure lui, ma compromettendone la sopravvivenza, secondo Vittorio, con perdite di copie che poi lo stesso Vittorio assicura di essere stato chiamato dall’editore di turno a recuperare. E già qui la polemica è salita parecchio di tono, o -come preferite- è scaduta parecchio di stile e di colleganza.

Eppure non è finita. Vittorio ha voluto rimproverare a Maurizio di avere ottenuto dalla famiglia Angelucci, prima che rompessero a causa dei rapporti con Matteo Renzi, tutto quello che si poteva e non poteva: uno stipendio stratosferico mentre i redattori di Libero tiravano la cinghia con i contratti di cosiddetta solidarietà, e un megaprestito di due milioni e ottocentomila euro -più di cinque miliardi, credo, di vecchie lire- per un investimento immobiliare nel centro di Milano, restituendone uno in meno.

Mi fermo qui per rispetto di entrambi, con uno dei quali -Maurizio- mi è anche capitato di collaborare per un po’ al Giornale, donde ero uscito nel lontano 1983 con l’amico Enzo Bettiza per dissenso da Indro Montanelli, che preferendogli addirittura Ciriaco De Mita diffidava di Bettino Craxi: una specie di Matteo Renzi ante-litteram, anche se non vogliono sentirselo dire né Renzi né i figli di Bettino.

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