Dopo il dissenso attribuito a Matteo Renzi, per il timore -si è detto- degli effetti sulle primarie congressuali del Pd, troppo esposte agli umori dei soliti giustizialisti, sono arrivate le dichiarazioni esplicite del ministro Graziano Delrio a Repubblica, sorprendenti sotto vari aspetti. Vediamoli.
“Il caso Minzolini”, salvato dalla decadenza parlamentare 17 mesi dopo essere stato condannato per peculato alla Rai dopo essere stato assolto in sede civile, “va oltre il merito. Abbiamo dato un messaggio sbagliato”, ha detto il ministro.
Ma di una questione così rilevante, se si esclude “il merito”, che cosa rimane? Solo gli aspetti propagandistici e/o demagogici, nello stile di Beppe Grillo e simili. Nessuna sentenza o decisione ragionevole può prescindere dal merito. Che nel caso, appunto, di Minzolini è apparso chiarissimo alla maggioranza del Senato. Dove il diritto e il dovere di pronunciarsi sulla decadenza di un parlamentare sono sanciti dall’articolo 66 della Costituzione. Da cui neppure il testo della legge Severino, invocata per togliere il seggio a Minzolini, ha potuto prescindere.
“Nessuna legge è perfetta -ha detto, bontà sua, il ministro Delrio- ma questa ha un principio giusto, che difendo : chi governa ha il dovere di essere più trasparente di chi è governato”. Trasparenza? Ma di che cosa parla il ministro? I diciannove senatori della sua parte politica che hanno condiviso e sostenuto le ragioni di Minzolini lo hanno fatto alla luce del sole, con voto palese, esponendosi alla gogna degli elenchi e dei manifesti di Grillo e del giornale di Travaglio. E poi rilasciando dichiarazioni e interviste per esprimere le ragioni del loro voto. Più trasparenti di così non potevano essere.
“Non avrei lasciato libertà di coscienza”, ha infine detto il ministro in polemica col capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda. Che invece questa libertà ha concesso liberando voti come quello di Massimo Mucchetti, dichiaratosi incerto prima di ottenere via libera appunto da Zanda. Ma Delrio si rende conto dell’enormità che ha detto teorizzando la necessità che i parlamentari mettano via la coscienza quando votano su questioni così importanti per obbedire solo alle indicazioni, alle ragioni, alle convenienze politiche? Ma questa è la fine del mondo. Una libertà di voto senza coscienza che libertà è? La libertà di un incosciente.
Già è un’enormità che quando il Senato o la Camera vota in sede paragiurisdizionale come quella del caso Minzolini, trattandosi dell’esecuzione di una legge in relazione ad una sentenza giudiziaria, vi siano le dichiarazioni di gruppo fatte dal presidente. La libertà di coscienza è di ogni singolo parlamentare, per cui o dovrebbero parlare tutti o tutti tacere per votare e basta, come sarebbe meglio. E, in più, votare a scrutinio segreto, come si fa per ogni questione personale, senza ricorrere al trucco di promuovere tale questione ad una generale tirando in ballo “la composizione” dell’assemblea, secondo una innovazione interpretativa introdotta quando si votò sulla decadenza della preda grossa di tutte costituita nell’autunno del 2013 da Silvio Berlusconi.
No. Non ci siamo, caro Delrio e cari renziani, se gli amici del segretario uscente e rientrante del Pd la pensano davvero tutti così. Il garantismo evidentemente sta a voi come la luce al buio. Se poi avete altri motivi per temere le conseguenze di quel che è avvenuto col caso Minzolini, ad esempio l’inasprimento dei rapporti con i magistrati mentre sono in corso indagini in cui sono coinvolti il padre e amici dell’ex presidente del Consiglio, fate bene a non dirlo. E non dico di più.