Mattarella evoca “Bella ciao” per gli ucraini che resistono alla Russia di Putin

Titolo di Repubblica

Evidentemente convinto, anche in base alle reazioni nel mondo politico, che non fosse bastato il già forte intervento all’incontro al Quirinale con i vertici militari e le associazioni partigiane e combattentistiche alla vigilia della festa di liberazione, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella vi ha partecipato ieri pronunciando ad Acerra, dove i tedeschi fecero uno dei loro abituali scempi d’occupazione, un discorso ancora più incisivo a favore degli ucraini. Per i quali, aggrediti dai russi e resistenti con aiuti occidentali, egli ha evocato la popolarissima canzone dei partigiani italiani Bella Ciao, peraltro adottata ormai in tutto il mondo da chi si batte per la libertà. E’ come se Mattarella l’avesse cantata, e non solo evocata, sulla scia di una intervista della senatrice a vita Liliana Segre da lui menzionata esplicitamente, anche lei convinta, con la sua drammatica esperienza umana, che gli ucraini siano stati aggrediti dai russi come altri lo furono dai nazisti nel secolo scorso. 

Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano

Ignorato, o censurato, sulla prima pagina del Fatto Quotidiano nel primo intervento al Quirinale, Mattarella si è guadagnata questa volta l’attenzione di Marco Travaglio. Che, ancora spiazzato e irritato per la sua conferma alla Presidenza della Repubblica, che non aveva messa nel conto scommettendo sulla indisponibilità irremovibile alla rielezione, il direttore del Fatto Quotidiano per ritorsione contro l’appoggio agli ucraini, e la condanna della Russia di Putin, ha rinfacciato a Mattarella i bombardamenti occidentali su Belgrado nel 1999. L’attuale capo dello Stato era  allora il vice presidente del Consiglio del primo governo di Massimo D’Alema. Ne divenne poi ministro della Difesa.  

Titolo del Fatto Quotidiano
La vignetta del Corriere della Sera

Sempre sul Fatto Quotidiano è stata oggi liquidata come “adunata di guerra” l’incontro a livello politico, e non solo militare, organizzato in una base della Nato in Germania. Quelle che si svolgono al Cremlino da da più di due mesi,  con Putin benedetto dal Patriarca di Mosca giustamente deriso da Emilio Giannelli nella vignetta di prima pagina del Corriere della Sera di oggi, dovrebbero invece considerarsi adunate di pace secondo la logica del giornale di sostanzialmente riferimento del movimento o partito di Giuseppe Conte. Che con le sue prese di posizione contro l’atlantismo “oltranzista” del suo successore a Palazzo Chigi e gli aiuti militari anche italiani all’Ucraina si è guadagnato, sempre sul giornale di Travaglio, la qualifica compiaciuta del “Conte rosso”. Il quale sta “più con Bersani che con Letta”, il segretario del Pd contestato ieri a Milano nella piazza rossa della festa di Liberazione, insieme con la rappresentanza ebraica. 

Altro titolo del Fatto Quotidiano

Beh, questa edizione appena trascorsa della festa di liberazione, tra il Sergio Mattarella di Acerra e l’Enrico Letta di Milano, con tutto il resto che l’ha preceduta e accompagnata, è servita a definire meglio, o a far leggere e vedere più chiaramente, il panorama politico dell’Italia alla vigilia delle elezioni amministrative di giugno e in vista delle elezioni politiche generali dell’anno prossimo. A meno che il “Conte rosso” -oggi più in sintonia o meno disturbato dal “garante” Beppe Grillo, diventatone consulente a pagamento per la comunicazione- e altri magari a destra che hanno già collaborato con lui a Palazzo Chigi, cioè i leghisti di Matteo Salvini, non riusciranno a fare anticipare all’autunno di questo 2022 il rinnovo delle Camere. Chi vivrà vedrà, come si dice in queste occasioni.  

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Una “modesta” riforma della Giustizia costata il Quirinale a Cartabia e a Draghi

Titolo del Dubbio

Fra i danni collaterali della maledetta guerra di Putin all’Ucrania è da mettere in Italia, insieme con l’indebolimento della maggioranza di governo, divisa sugli aiuti militari a Kiev ben al di là delle distinzioni parlamentari venute alla luce, una certa distrazione dell’opinione pubblica da temi come la giustizia. Che pure erano stati avvertiti con tanta intensità l’anno scorso da aver fatto raccogliere facilmente le  firme  richieste per i referendum promossi dalla combinazione politica inedita di radicali e leghisti. Inedita soprattutto per questi ultimi, approdati su sponde garantiste da posizioni ben diverse, rappresentate da quell’osceno cappio sventolato nell’aula di Montecitorio ai tempi di “Mani pulite”  contro gli imputati politici, neppure condannati ancora in primo  grado, di finanziamento illegale dei partiti, concussione, corruzione e quant’altro.

Anche i referendum rischiano di subire i danni collaterali di distrazione dalla guerra in Ucraina, aggravati dal loro abbinamento al primo turno delle elezioni amministrative indette per una data la più lontana possibile per i tentativi di abrogazione di leggi in vigore: il 12 giugno. Grava, in particolare, il rischio della invalidità per mancanza del cosiddetto quorum, cioè per affluenza alle urne inferiore alla metà più uno degli elettori aventi diritto al voto. 

Persino il passaggio parlamentare della cosiddetta riforma della giustizia, riguardante l’elezione del Consiglio Superiore della Magistratura e alcuni aspetti dell’ordinamento giudiziario, sta avvenendo senza una grande mobilitazione favorevole o contraria tra la Camera, che la licenzia oggi, e il Senato che se ne dovrà occupare non si sa ancora se anche per cambiare o solo per ratificare, come avviene già per tante altre cose, a cominciare dal bilancio dello Stato. E’ notoria la pratica monocamerale introdotta surrettiziamente negli ultimi anni tra le deboli proteste del presidente dell’assemblea di turno che viene sacrificata dalle esigenze politiche della maggioranza anch’essa di turno. 

In verità, un pò di vivacità, e di sale,  sulla riforma che lasciatemi chiamare col nome della ministra della Giustizia Marta Cartabia si è avvertito solo a causa dello sciopero minacciato dall’associazione nazionale dei magistrati. Che però all’ultimo momento vi ha rinunciato, almeno per il momento, pur confermando un forte stato di agitazione per  il tentativo del governo di non farsi dettare  per intero dalle toghe le norme da proporre al Parlamento, e di quest’ultimo di non lasciarsene condizionare del tutto esaminandole e votandole. E’ una vecchia storia, essendosi ripetuta già altre volte, direi anche troppe, nei decenni di progressivo arretramento della politica rispetto ad una magistratura peraltro mai soddisfatta abbastanza degli spazi via via acquisiti nelle sue esondazioni. 

Il presidente del Consiglio Draghi e la ministra della Giustizia Cartabia

Personalmente, e realisticamente, considerate anche le già ricordate circostanze di guerra in cui tutto sta avvenendo, mi accontento di una certa aria che riconosco cambiata rispetto al passato. E che è già costata parecchio alla ministra Cartabia, e allo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi, nella recente corsa al Quirinale, nella quale l’una e l’altro non hanno praticamente potuto toccare palla. Anzi, quando Draghi ha cercato di affacciarvisi con quella storia del “nonno a disposizione” dello Stato, ha subìto danni dai quali non  si è del tutto ripreso, neppure dopo essersi salvato in qualche modo in corner convincendo il presidente della Repubblica uscente a farsi confermare.

I sensi o sintomi di una certa aria cambiata li avverto soprattutto nella maggiore partecipazione degli avvocati al sistema giudiziario e nelle cosiddette pagelle dei magistrati, insorti con forza non condivisibile ma comprensibile – considerando i loro interessi e abitudini-  contro la prospettiva, finalmente, che risultino più chiaramente per iscritto, diciamo così, i loro errori condizionandone la carriera. Il resto probabilmente toccherà farlo ad altri, e in un’altra legislatura, meno condizionata -per intenderci chiaramente- dai grillini  e da quella parte del Pd ancora timorosa di scontrarsi fino in fondo con una magistratura onnipotente.

Pubblicato sul Dubbio 

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