Meno male che c’è Draghi a Palazzo Chigi mentre si allunga la guerra di Putin

Non so se inorridire di più all’idea, sfortunatamente realistica per valutazione quasi unanime delle fonti internazionali, a cominciare dalla Nato, di una guerra lunga nell’Ucraina che Putin ha trasformato in un mattatoio, o crematorio, o alla domanda, fortunatamente solo teorica, su cosa ci sarebbe toccato di vivere, oltre che di vedere se a guidare il governo in Italia non ci fosse Mario Draghi ma ancora Giuseppe Conte con la sua terza edizione, tentata poco più di un anno fa e soffocata nella culla, secondo chi lo rimpiange, da quel cattivone di Sergio Mattarella. Che, fra l’altro, con quella decisione si guadagnò senza neppure immaginarlo, anzi suo malgrado, a trasloco già cominciato nella casa appena presa in affitto a Roma  con l’assistenza della figlia, la rielezione alla Presidenza della Repubblica. E non per qualche anno, come era avvenuto con Giorgio Napolitano nel 2013, ma per un altro, intero mandato settennale, se non sarà lo stesso Mattarella a stancarsi o comunque a preferire un anticipo della scadenza per sopraggiunte evenienze o valutazioni politiche. 

Titolo di Repubblica

Non è che Draghi, a dire la verità, se la stia passando granché bene, fra chi lo strattona a destra e a sinistra nella larga maggioranza pur allargatasi di fatto persino a Giorgia Meloni sui temi legati proprio alla guerra in Ucraina, ma l’uomo è tosto.  E, non avendoli frequentati più di tanto, è immunizzato da quella certa tossicità dei palazzi della politica. Se si pone un obiettivo lo persegue con decisione. Se qualcuno esagera in esibizioni muscolari, come ha fatto di recente il predecessore opponendosi all’aumento delle spese militari, non fa finta di niente. Ribatte e va non a lamentarsi  dal capo dello Stato -come gli ha rimproverato il solito Marco Travaglio- ma a riferire inducendo il presidente a richiamare l’interessato con tale efficacia da strappargli la pubblica assicurazione che in ogni caso egli non reciterà la sua parte di scontento sino alla rottura, cioè alla crisi.

Titolo del Fatto Quotidiano

Ora, pur -ripeto- fra le bizze di destra e di sinistra sui vari provvedimenti all’esame del Parlamento con le urgenze poste dal loro collegamento col finanziamento europeo del piano di ripresa, Draghi ha fatto approvare dal Consiglio dei Ministri all’unanimità il cosiddetto documento di economia e finanza, propedeutico al bilancio. E senza per niente scherzare, come gli ha rimproverato invece in un titolo il solito Fatto Quotidiano, ha avvertito che potremmo vivere un’estate torrida, senza i condizionatori d’aria alimentati dall’energia che comperiamo dalla Russia. Alla quale vanno tagliate le unghie, ma anche i soldi destinati al finanziamento delle sue guerre. 

Il fotomontaggio del Fatto Quotidiano

Il Draghi che continua ad ossessionare Travaglio, Conte, Di Battista e simili è quello già “fotomontato” dal Fatto Quotidiano in tuta militare affiancato al presidente americano Biden, o infilato la prossima volta dentro il carro armato oggi offerto all’indignazione dei lettori con tutti quei soldi  “insanguinati” e buttati al vento, come solo “i pazzi” saprebbero fare secondo una recente sortita di Papa Francesco. Che tuttavia ha un pò corretto il tiro, diciamo così, anche se il giornale di Travaglio ha finto di non accorgersene nella prima pagina di oggi. 

Titolo del Giornale

“Il Papa in trincea”, ha titolato  un altro  quotidiano pubblicando, come altri, la foto del Pontefice che bacia una bandiera non della Russia ma dell’Ucraina, E poi la espone all’ammirazione e al culto dei suoi fedeli in questa Quaresima ormai agli sgoccioli, in attesa della resurrezione della vittima di turno della violenza e dell’odio altrui.

Ripreso da http://www.policymakermag.it 

Fra i meriti di Zelensky c’ anche lo specchio rotto a Beppe Grillo

Titolo del Dubbio
Il presidente dell’Ucraina

Di fronte a ciò che Putin sta dimostrando di sapere o voler fare in Ucraina, magari in vista di chissà quali altre imprese, ci si può chiedere se sia più assordante il silenzio di Silvio Berlusconi o di Giuseppe Grillo, in ordine rigorosamente alfabetico, accomunati una volta tanto da una certa ammirazione, diciamo così, nutrita e manifestata per il capo del Cremlino dell’era post-sovietica: il primo sino a sperare di poterlo associare prima o poi alla Nato. Dove invece Grillo non si è mai spinto ad immaginarlo non avendo un buon giudizio, diciamo così, dell’alleanza atlantica. 

            L’imbarazzo di entrambi è evidente, ed anche comprensibile, per carità. Ma quello di Grillo è doppio perché abbinato al silenzio non meno imbarazzante su quello che potremmo chiamare l’antagonista di Putin. Che è il presidente dell’Ucraina Zelensky, anche se è convinzione diffusa, specie fra gli anti-atlantisti, che sia invece il presidente americano Biden, sostenitore, maggiore finanziatore, suggeritore, fomentatore e quant’altro dell’uomo di Kiev, chiamiamolo così. 

               Per dirla con franchezza, Zelensky ha creato a Grillo più problemi di Putin costringendolo a guardarsi nello specchio e a valutarsi come comico -pure lui- prestato o approdato alla politica. Il casino -scusate la parolaccia, pur diventata  corrente e quasi innocua- creato da Grillo alla e nella politica italiana con quel bizzarro tentativo compiuto nel 2007 di infilarsi nel Pd e poi con la decisione di mettersi  in proprio col Movimento 5 Stelle, portandolo solo 11 anni dopo in testa alla classifica delle forze rappresentate in Parlamento, è stato ed è niente, o quasi, di fronte a ciò che ha saputo provocare e produrre Zelensky non solo nel suo Paese, ma anche o forse ancor più nel mondo.

Putin

            Per raggiungere un simile risultato, facendo saltare i nervi persino ad uno come Putin, che sembrava la quintessenza del ghiaccio, refrattario ad ogni emozione, l’attore comico ucraino non ha dovuto nascondersi dietro nessuna cortina fumogena. Non ha dovuto inventarsi garante di niente e di nessuno. Non ha dovuto cercare controfigure o simili, a meno che non si voglia sostenere che ne abbia trovata una persino in Biden. Non ha dovuto corteggiare, scaricare e ricaricare nessun avvocato e nessun conte, con la maiuscola o la minuscola del caso. Ha fatto tutto e direttamente da solo, smascherando un bel pò di gente, scoperchiando un bel pò di sepolcri imbiancati, gridando in faccia al Consiglio di Sicurezza dell’Onu quello che è, o che è diventato specie dopo il superamento degli equilibri e delle spartizioni politiche concordate a Yalta dopo quella carneficina che era stata la seconda guerra mondiale, non essendo stata evidentemente sufficiente la prima. 

            Ciò che è diventato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite  e tutto intero l’Onu è semplicemente un monumento alle buone intenzioni, o -peggio- all’ipocrisia, in cui uno Stato come la Russia e pochi altri possono bloccare qualsiasi intervento provocato dalle più sconsiderate iniziative loro o dei loro amici. 

            Anche Zelensky, come l’improvvisatore Grillo, ha compiuto i suoi errori, a cominciare da quello di avere irrealisticamente puntato, nelle condizioni geopolitiche in cui si trova il suo Paese, all’adesione alla Nato, fornendo pretesti a Putin, ma non vi ha insistito più di tanto. E si è tolto dall’angolo rapidamente ficcandovi il nemico con la disponibilità gridata a trattare su una neutralità garantita. 

Ciò che resta della comicità di Grillo sul suo blog personale

            A questo nemico, in maniche di camicia come un Alessandro Di Battista qualunque, Conte di fatto offre, volente o nolente, sponde protette, sempre volente o nolente, da Grillo. Che ha impiegato due settimane per rimuovere dal suo blog personale una vignetta sfottente contro i sostenitori dell’Ucraina e sostituirla con un’altra non meno sfottente, e più triviale, contro chi, puntando all’autonomia energetica dalla Russia, accumula gas scoreggiando sotto le coperte di casa. Comicità di bassa lega, direi, anche a proposito della posizione dell’altra Lega, quella di Matteo Salvini, sui problemi aperti dalla guerra di Putin.

Pubblicato sul Dubbio

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