Uno schiaffo di Putin alla civiltà la premiazione della brigata dei fucilieri di Bucha

Titolo del manifesto

Le immagini e notizie provenienti dall’Ucraina aggredita dalle armate russe sono sempre peggiori. Ma oggi, più ancora delle immagini di fuoco, distruzione e desolazione dei superstiti, come quella desolante di un bambino fra i rottami della guerra, per capire con chi ha a che fare l’Occidente, e non solo l’Ucraina, vale la notizia delle onorificenze -giustamente tradotte dal manifesto in “orrorificenze”- conferite da Putin personalmente ai fucilieri motorizzati della sessantaquattresima brigata che ha lasciato a Bucha i segni terribili del suo passaggio. 

Titolo del quotidiano Domani

Così il capo del Cremlino ha voluto essere coerente a modo suo, cioè per niente, con l’impegno preso qualche giorno fa di partecipare all’accertamento delle responsabilità dei “crimini di guerra” compiuti in quella terra da “denazificare”, secondo lui. L’uomo è semplicemente un provocatore, come lo ha liquidato il quotidiano Domani nel titolo di prima pagina proprio a proposito della premiazione della brigata di Bucha, con’è ormai destinata a passare nella storia. 

Titolo del Fatto Quotidiano
Fotomontaggio del Fatto Quotidiano

Finalmente, annunciandone “l’attacco finale” in questa guerra insensata ad una terra che ha la sola colpa di essere confinante con la Russia ma attratta più dall’Occidente, il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio si è deciso, in uno dei suoi fotomontaggi di prima pagina, a fare indossare a Putin l’elmetto, la tuta militare e tutto il resto in precedenza messi addosso a tutti quelli che non si piegano alle sue minacce arrendendosi, compreso il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi. Del quale si spera che non sia stata festeggiata da quelle parti la positività asintomatica al Covid che lo costringerà all’isolamento per qualche giorno. 

Dalla prima pagina del Foglio
Dalla prima pagina di Libero

Un esempio di resa a Putin è quello che ha scritto su Libero Vittorio Feltri, che meglio non poteva sintetizzarsi col titolo in prima pagina che credo si sia dato da solo: “Non ci conviene sfidar lo Zar”, con la maiuscola. Che è l’opposto di quel che in rosso ha gridato, sempre  in prima pagina, Il Foglio: “Oltre la resistenza. Passare all’offensiva contro Putin si può”. E non solo si deve, come dice ogni giorno da Kiev o da dov’altro è costretto a nascondersi sulla sua terra il presidente dell’Ucraina Zelensky. 

L’affondamento della nave ammiraglia Moskva

Quella tenuta militare che il giornale di Travaglio si è deciso a mettergli addosso, oltre ad esprimere il ruolo che sta esercitando il capo del Cremlino, restituisce Putin al suo album di famiglia, diciamo così, cioè alla carriera cominciata nei servizi segreti dell’Unione Sovietica. La segretezza mista alla falsità è la stessa che Putin sta applicando -fra le proteste che cominciano ad arrivare dai familiari degli interessati, superando tutte le cortine informative allestite dal Cremlino- all’affondamento, direi anche emblematico, della nave ammiraglia della flotta russa nel mare della guerra in corso. Del cui equipaggio di oltre 500 militari si sa poco o niente, a parte quel poveretto di cui il Ministero moscovita della Difesa, si fa per dire, ha ritenuto di dovere informare telefonicamente la famiglia. 

Si sa solo che una cinquantina, non di più, sono stati salvati da una nave turca, peraltro in acque sconvolte anche da una tempesta. Di tutto il resto sanno solo al Cremlino. Dove per esorcizzare lo smacco, la tragedia e quant’altro hanno diffuso solo una vecchia foto dell’equipaggio passato in rassegna dal comandante dell’epoca. Dell’ultimo non è stata neppure confermata la notizia che sia morto nell’esplosione dell’arsenale colpito da due o tre missili lanciati dagli ucraini.

Ripreso da http://www.policymakermag.it e http://www.startmag.it

Draghi archivia l’immagine del nonno a disposizione ed esclude un futuro politico

Pier Ferdinando Casini all’Espresso
Titolo del Dubbio

Sentite ciò che ha detto del presidente del Consiglio all’Espresso uscito domenica il senatore Pier Ferdinando Casini, Che a dispetto dei suoi “soli” 66 anni, compiuti a dicembre scorso, è fra i più veterani del Parlamento, essendo approdato nell’ormai lontano 1983 alla Camera per diventarne peraltro presidente nel 2001. “La mitologia di Draghi di questi mesi -ha testualmente dichiarato- rischia di essere direttamente proporzionale alla demolizione nel prossimo futuro”, precisando che ciò “non è un bene”. 

“Non valuto la persona. Prevedo i percorsi, che purtroppo sono questi. Monti è stato mitizzato e poi ingiustamente demonizzato. La stessa cosa è successa a Renzi: dagli altari alla polvere. Tipico”, ha aggiunto Casini.

Pier Ferdinando Casini

Poiché lo conosco da una vita -avendolo amichevolmente frequentato prima ancora che diventasse deputato, quando da giovane consigliere nazionale della Dc si divertiva a raccontarmi delle riunioni di corrente alle quali partecipava, mimando formidabilmente l’allora segretario del partito Flaminio Piccoli che si innervosiva alle sue osservazioni critiche – vi assicuro che la previsione negativa del senatore di Bologna sul futuro politico di Draghi non nasce dal contributo che il presidente del Consiglio può avere dato, volente o  nolente, al fallimento in extremis della candidatura dello stesso Casini al Quirinale. 

Ve lo assicuro anche se Pier Ferdinando -Pierfrdy per gli amici e Pierfurby per i meno amici- può essersi prestato a qualche sospetto del genere definendo  nella stessa intervista all’Espresso “una distrazione” quella avuta da Draghi nella recente corsa al Quirinale, prenotandovisi in qualche modo con quella immagine del “nonno a disposizione” della collettività assegnatasi nella conferenza stampa di fine anno, 2021. Quella “disponibilità” finì per configgere con le candidature pur così diverse nello stile, oltre che in senso politico, di Silvio Berlusconi e di Casini appunto: tanto invasivo il primo, fra vertici del centrodestra e telefonate di promozione dell’amico Vittorio Sgarbi a parlamentari di ogni colore e sesso, quanto discreto il secondo. Che si inabissò in un lungo silenzio, pur attivissimo -come sempre, del resto- nei contatti personali. 

Da quella “distrazione” peraltro Casini ha assolto Draghi riconoscendogli di avere ripreso subito in mano la guida e la sorte del governo, riportandolo sulla strada giusta delle emergenze peraltro aumentate nel Paese, essendo sopraggiunta la guerra di Putin all’Ucraina con tutte le implicazioni anche di politica interna. E’  evidente che il chiaro, forte atlantismo del presidente del Consiglio, antiputiniano e filo-ucraino, è vissuto con una certa sofferenza nella maggioranza. Dove, in particolare, si è un pò ricomposta quell’assonanza un pò “sovranista” fra il grillino Giuseppe Conte e il leghista Matteo Salvini, clamorosamente naufragata nell’estate del 2019 nell’aula del Senato. Dove Conte da presidente del Consiglio parlò di Salvini, che gli sedeva accanto da vice presidente e ministro dell’Interno, come un pubblico ministero del suo imputato. Sono i giochi, gli scherzi, le diavolerie, i capricci, come volete chiamarli, della politica. 

Draghi al Corriere della Sera
Draghi al Corriere della Sera

Il bello è -delle cose dette da Casini a proposito del presidente del Consiglio in carica- che Draghi ha mostrato di esserne pienamente consapevole in una intervista contemporaneamente uscita sul Corriere della Sera. Dove egli ha detto -pur in una visione ottimistica dell’azione di governo e della solidità della maggioranza, esortata a non sentirsi in quella “camicia di forza”  che i partiti danno spesso l’impressione di indossare- di non volere e potere neppure “immaginare” il suo futuro quando avrà portato a termine il lavoro affidatogli dal presidente della Repubblica, e confermatogli con la fiducia dalle Camere, cioè sino alla conclusione, ordinaria o anticipata che possa rivelarsi, della legislatura cominciata nel 2018. Un lavoro, peraltro, rivelatosi -ha confessato Draghi- più difficile e pesante di quello svolto alla presidenza della Banca Centrale Europea.

Draghi al Corriere della Sera

“Bisognerebbe che i presidenti del Consiglio fossero tutti eletti”, non nominati fuori dal Parlamento e dai partiti come gli è capitato in condizioni di “emergenza”, ha detto Draghi. Le piacerebbe essere eletto?, gli ha chiesto allora il direttore del Corriere. E lui: “No. E’ estraneo alla mia formazione e alla mia esperienza. Ho molto rispetto per chi si impegna in politica e spero che molti giovani scelgano di farlo alle prossime elezioni, alle quali intendo tuttavia partecipare come ho sempre fatto: da semplice elettore”. 

Draghi insomma non si sente più  nonno della Repubblica, come è stato temuto per qualche settimana nei mesi scorsi immaginandolo già al Quirinale, ma un mezzo Cincinnato per indifferenza al potere. Anche se antipatizzanti ed avversari lo considerano e rappresentano furbescamente in corsa per la guida della Nato. 

Pubblicato sul Dubbio

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