Due italiani su tre contro Putin, più che per la pace incondizionata

Titolo della Stampa
Titolo di Repubblica

Visto che, con la benedizione anche del Patriarca di Mosca in tempo addirittura di Pasqua, la guerra in Ucraina – o il “calvario” , come scrive la Repubblica- continua per la volontà ostinata di Putin di vincerla alle sue condizioni, sia pure ridimensionate rispetto a quelle originarie della rapina totale, non mi sembra giusto questo titolo di prima pagina  della pur prestigiosa Stampa di Torino: “Pace vale più del condizionatore per 2 italiani su 3”. Li ha contati Alessandra Ghisleri in un sondaggio sulla disponibilità auspicata da Mario Draghi a rinunciare al condizionatore d’aria d’estate, o comunque ad un razionamento energetico, piuttosto che darla vinta al Cremlino. E obbligare quindi alla resa gli ucraini, alla cui difesa militare l’Italia contribuisce con gli Stati Uniti e altri paesi occidentali.

La pace, certo, è preferibile alla guerra, ma non senza condizioni, come pretendono i pacifisti -guarda caso- mobilitati in questi giorni contro gli aiuti all’Ucraina e quindi a favore di una vittoria di Putin alle sue condizioni, appunto. Il problema non è di imporre la pace agli ucraini con la resa, auspicata persino da uno come Vittorio Feltri allo scopo di porre fine alle loro perdite, ma di imporla a Putin, che  ha cominciato e condotto la guerra anche a costo di  eccidi, stupri e altre nefandezze, se non vogliamo parlare di genocidio, come hanno fatto il presidente americano Biden e quello ucraino Zelensky fra le protese o le prese di distanza del presidente francese Macron, del cancelliere tedesco Scholtz e ora anche del ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio. Che pure si era esposto all’inizio del conflitto dando a Putin dell’”animale”: in un certo senso peggio del “macellaio” affibbiatogli poi da Biden. 

Luigi Di Maio

Evidentemente sotto le cinque stelle, diciamo così, neppure Di Maio può resistere più di tanto alle “distanze” volute dal presidente del MoVimento grillino, Giuseppe Conte, dagli americani o, più in particolare, dall’atlantismo praticato da Draghi. Il quale non si è dissociato dalle parole di Biden. E quando Putin ha definito “indecenti” le decisioni del governo italiano in materia di sanzioni e di aiuti “anche militari” all’Ucraina, ha risposto che di “indecente” c’è solo quello che la Russia sta facendo contro il Paese sfortunatamente confinante. 

Titolo del Foglio di ieri
Titolo del Foglio d oggi

Quei due italiani su tre disposti a rinunciare al condizionatore, e poi anche al termosifone, per fronteggiare la guerra scatenata da Putin, e finanziata anche con i nostri acquisti di gas, più che in un generico auspicio o obiettivo di pace penso che si riconoscano nei titoli che sta sfornando in questi giorni un quotidiano pur di nicchia come Il Foglio. Che ieri ha scritto in rosso: “Seguire il modello Biden per affondare Putin”. E oggi, sempre in rosso: “E’ ora di mettere Putin all’angolo”. In nero invece ha voluto titolare il suo pezzo ieri Giuliano Ferrara: “Una Pasqua di giusta guerra”. 

Titolo della Verità di Maurizio Belpietro
Titolo del Fatto Quotidiano

Sono titoli di fronte ai quali saranno rimasti inorriditi, in coppia un pò sorprendente ma non troppo, vista la frequenza con la quale ormai si sovrappongono Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano e Maurizio Belpietro sulla Verità, traduzione in italiano della più celebre Pravda sovietica. Entrambi schierati contro quel guerrafondaio opportunista che considerano il presidente del Consiglio italiano, Travaglio oggi ne ha sottolineato con compiacimento, in un titolo di prima pagina, l’abbandono da parte di “pm, sindaci, aziende” e Belpietro aprendo addirittura il giornale a caratteri di scatola così: “L’ex banchiere in fuga da Palazzo Chigi. Draghi pronto alla guerra per conquistare la Nato”. Di cui sta per liberarsi la carica di Segretario Generale.  

La Via Crucis di Draghi durerà più a lungo di quella del Papa al Colosseo

La croce portata al Colosseo da una russa e un’ucraina unite nel dolore per la guerra in corso
La benedizione di Francesco

 Non è quella che il Papa aveva chiesto e si aspettava per l’Ucraina, invasa e stuprata in tutti i sensi dalle truppe russe agli ordini dei vari generali sostituiti da Putin, ma dobbiamo accontentarci nei nostri modesti confini della tregua pasquale sopraggiunta nel governo, ma soprattutto nella sua maggioranza: non so francamente se più per stanchezza dei partiti o per la pazienza di Mario Draghi. Che ogni tanto è sembrato perderla negli ultimi tempi, anch’egli tentato da qualche strappo, eppure riuscito a resistere e a rimanere se stesso, cioè duro abbastanza per non deludere quanti hanno scommesso su di lui, a cominciare naturalmente dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. 

Si deve probabilmente proprio al rapporto fortemente fiduciario col capo dello Stato, oltre che all’intervenuta crisi internazionale esplosa con la guerra della Russia all’Ucraina, se Draghi ha fatto buon viso a cattivo gioco, come si dice usualmente. E si è accontentato di una tregua che sa debolissima, perdurando tutte le tensioni, domestiche e non, che  hanno messo a dura prova per un pò anche i suoi nervi.

Una panoramica della Via Crucis al Colosseo

Più di un amico o collaboratore del presidente del Consiglio ha raccontato di averlo visto sbigottito davanti a certi sviluppi del cosiddetto dibattito o confronto politico, specie in occasione dell’incontro avuto direttamente con Giuseppe Conte. Che gli contestava disinvoltamente la volontà di aumentare le spese militari dopo avere concorso con i suoi due governi a farle salire ottemperando ad accordi presi  nell’alleanza atlantica in un contesto internazionale peraltro migliore di quello  creatosi adesso con l’aggressione di Putin all’Ucraina. 

La partenza del Papa dal Colosseo

Draghi, con l’esperienza maturata già altrove ma rafforzatasi in questo anno e più di permanenza a Palazzo Chigi, sa che dopo Pasqua e Pasquetta i partiti della sua variegata maggioranza saranno ancora più impegnati di prima nelle loro beghe interne ed esterne, peraltro immersi in una campagna elettorale amministrativa solo di nome, essendo evidente la portata politica del voto per le dimensioni del turno e per le circostanze.

Titolo del Dubbio sulla debole tregua politica

Se negli ultimi giorni hanno fatto più notizia i rumori, chiamiamoli così, di un centrodestra confuso e diviso ma unito solo  nel denunciare e temere agguati fiscali alla casa e ai risparmi, in realtà a impensierire  di più Draghi, specie dopo quell’incontro per niente chiarificatore avuto con Conte, sono stati e sono gli umori serpeggianti fra i grillini sul terreno diventato primario della politica estera con la guerra in Ucraina. 

L’editoriale del Fatto Quotidiano indicativo della crisi di governo desiderata sotto le cinque stelle

Draghi sa che una cosa è il suo ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che lo affianca davvero in tutte le iniziative prese per solidarizzare con l’Ucraina, ridurre le dipendenze energetiche dalla Russia e tenere bel saldo il rapporto con gli Stati Uniti, un’altra cosa è Conte, appunto. Che non si lascia scappare occasione per sostenere che gli interessi europei non sono sovrapponibili -dice- a quelli degli americani, e viceversa. E condivide -presumo- ciò che un suo estimatore convinto e dichiarato come Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano scrive ogni giorno di Draghi: come di uno dei tanti “paracarri” che si ostinano a non capire la natura solo “regionale” della guerra condotta da Putin ma  strumentalizzata da Biden per vendere il gas americano agli europei, più caro di quello russo e forse anche peggiore di qualità. Un Biden -ha scritto ancora Travaglio- che dà del macellaio e del genocida a Putin senza che Draghi ne prenda le distanze, diversamente da Macron in corsa per la rielezione all’Eliseo in concorrenza con la sostanzialmente putinofila di destra Marine Le Pen. 

Draghi rispetto a Putin sarebbe “come Fantozzi col Megadirettore galattico”, ha scritto ieri l’estimatore e nostalgico di Conte concludendo: “Anche i suoi lecchini preferiti sono rassegnati a salutarlo dopo il voto del 2023. Ma un anno è un’eternità: sicuri di poterci permettere altri 12 mesi di agonia? Non è meglio congedarlo subito? Chi non vuole farlo per noi  lo lo faccia per lui”. L’interlocutore, naturalmente, è sempre Conte più che Draghi. 

Pubblicato sul Dubbio

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