Putin è forte non tanto di suo quanto delle debolezze degli altri

Titolo del Fatto Quotidiano
Titolo di Repubblica

Non so francamente chi e cosa contribuisca di più alla forza ostentata da Putin nella sua guerra all’Ucraina, che non si fermerà di certo neppure in vista della Pasqua. Alla quale anzi è già stata titolata una “nuova offensiva”, come l’ha chiamata qualche giornale con aria neppure scandalizzata, tanto ordinario è ormai diventato l’orrido spettacolo ordinato dal Cremlino. “Mattatoio Putin”, l’hanno definito sulla prima pagina di Repubblica in stile Biden, diciamo così, avendo fatto ricorso per primo il presidente americano all’immagine del macellaio  parlando di Putin, fra lo sgomento e persino la dissociazione del presidente francese Emmanuel Macron, del cancelliere tedesco Olaf Scholz e ora anche del direttore della Civiltà Cattolica, il gesuita padre Antonio Spadaro, così tradotto -credo non a torto- dal Fatto Quotidiano: “Il Papa lavora alla pace: niente attacchi ai capi”, a cominciare da Putin naturalmente.

L’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa

D’altronde, se veramente Biden e chi la pensa come lui dovessero davvero riuscire a fare spiccare un mandato di cattura da qualche tribunale internazionale per crimini di guerra contro il “capo” appunto del Cremlino, “con chi si potrebbe mai firmare la pace per chiudere la guerra in Ucraina?, si è chiesto ieri sera, collegato con un salotto televisivo in Italia, l’inviato del Giornale Fausto Biloslavo raccogliendo il consenso  persino dell’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa all’insegna del “realismo”. Le guerre sono tutte sporche. Di che cosa dunque ci lamentiamo? Sono sporchi gli eccidi e anche i tentativi di una parte di addebitarli tutti e sempre, o i maggiori, all’altra. Si è appena cercato di farlo anche con la strage di Bucha. E così, cari miei amici, pur di preservarci prima o dopo il sollievo di vedere Putin firmare una pace, qualunque essa sia, anche per resa incondizionata degli ucraini, lasciamogli fare quello che vuole. Diamogli tutto il tempo di cui ha bisogno per arrivare dove e come vuole. 

Ma chi e cosa -mi chiedevo all’inizio- dà tanta forza a Putin? La sua vera solidità, chiamiamola così, o l’altrettanto vera debolezza degli altri? Compresa quella degli europei che inorridiscono alla sola idea di rimanere al freddo nel prossimo inverno, senza il gas vendutoci dal Cremlino, o di vedere chiudere subito qualche fabbrica, non potendoci evidentemente permettere di sperare in quel poco di incoraggiante solidarietà che siamo riusciti a dimostrare e praticare in questi ultimi due anni in Europa alle prese con l’epidemia. E’ già finito lo spirito delle “origini” che avevamo avvertito, inseguiti, aggrediti e quant’altro dal Covid e dalle sue varianti? 

Anche Hitler, anche Stalin, uniti nello spartirsi la Polonia prima di scontrarsi sul resto, sembrarono ai loro tempi invincibili, fino a quando qualcuno non chiese ed altri accettarono di preferire le lacrime e sangue promesse da Churchill pur di venire a capo della guerra, persino soccorrendo uno dei due aggressori per responsabilità dei quali tutto era cominciato. 

Dalla prima pagina di Repubblica

Sì, lo so. Sono discorsi duri da fare e da sentire, peraltro a due settimane scarse dalla Pasqua. Eppure sono discorsi ai quali le persone serie non possono sottrarsi. Possono turarsi le orecchie e chiudere gli occhi  solo i pagliacci o i vigliacchi travestiti, come sempre, da realisti. Che fanno solo rima -nient’altro- con gli statisti. Forse Ignazio La Russa storcerà il muso, ma sono sicuro che, a ben rifletterci, anche lui converrà di essersi fatto prendere troppo la mano in quel salotto televisivo di ieri sera. Può capitare di sbagliare anche ai migliori. Come accade anche in Russia, con la i, dove Putin ha visto crescere, non so bene con quanta attendibilità di sondaggi e simili, il suo consenso all’83 per cento. D’altronde, neppure ad Hitler, come a Mussolini, mancarono i voti per andare al potere e restarvi poi un bel pò. 

La palude in cui Conte in maniche di camicia ha trasformato il “campo largo”

Titolo del Dubbio

Potrebbe tradursi, se non si è già tradotta, nella classica vittoria di Pirro quella conseguita mediaticamente da Giuseppe Conte nella contestazione improvvisata dell’aumento progressivo delle spese militari per portarne il livello al 2 per cento concordato nel 2014 fra i paesi dell’alleanza atlantica. 

Confrontatosi duramente e direttamente col presidente del Consiglio Mario Draghi in persona, sorprendendolo non poco per vivacità e disinvoltura, opposte alle cifre elencategli dall’interlocutore per ricordare gli aumenti effettuati dai due governi da lui presieduti fra il 2018 e il 2020; esibitosi in diretta internettiana come un Alessandro Di Battista qualunque, in  maniche di camicia, contro volontà dei suoi avversari, interni ed esterni al partito, di trattarlo come un subordinato al Pd di Enrico Letta; rassegnatosi ad una spiegazione minimalista strappatagli dal presidente della Repubblica per dissipare le nubi addensatesi sulla maggioranza in un passaggio così difficile anche della situazione internazionale, con una guerra in casa europea scatenata da Putin con l’aggressione all’Ucraina, l’ex presidente del Consiglio ha cercato di passare per vincitore con i sei anni messi nel conto dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini per raggiungere anche in Italia l’obiettivo delle spese militari  pari al 2 per cento del pil, 

Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini

Per quieto vivere, diciamo così, comprensivi anche delle difficoltà derivategli da una conferma non proprio esaltante alla presidenza del Movimento 5 Stelle, con meno votanti e anche meno voti della consultazione digitale di sette mesi prima vanificata dai ricorsi giudiziari, Draghi per primo e gli alleati poi hanno consentito a Conte di farsi un giro metaforico al Circo Massimo come trionfatore sul percorso “graduale” delle maggiori spese militari. Lo stesso Guerini si è lasciato benevolmente esporre come l’autore dell’espediente del successo di Conte, lasciando che il 2018 fosse presentato come una sua concessione, o un suo cedimento, rispetto, e non come il traguardo prevedibile dell’intera operazione in base alla media degli aumenti intervenuti dall’ormai lontano accordo del 2014, senza accelerazioni dunque.

Il post della corrente di Guerini, “Base riformista”, contro Conte

L’unica soddisfazione ritorsiva, chiamiamola così, presasi dal ministro Guerini è consistita nel post della sua corrente nel Pd -“Base riformista”, composta praticamente dai renziani rimasti al Nazareno- in cui, su fondo rosso scuro, è stato  gridato: “Per la credibilità dell’Italia servono lealtà e verità, no bugie da cialtroni”. Ma Conte ha finto di non accorgersene ed ha continuato a vantarsi del successo, rincorso dai suoi sostenitori: a cominciare da Marco Travaglio sul suo Fatto Quotidiano, fra titoli e fotomontaggi contro il presidente del Consiglio agli ordini sostanziali di Joe Biden, per finire alla vice presidente del Senato Paola Taverna, orgogliosa ancora sabato scorso di poter gridare su quel giornale, in prima pagina, che “Draghi sulla Difesa ha fatto retromarcia”. 

Ora, passate le ore e le giornate dell’autoesaltazione -paragonabili alla “sconfitta della povertà” annunciata col cosiddetto reddito di cittadinanza nel 2018- il presidente dei 5 Stelle è chiamato nei fatti a raccogliere i frutti di ciò che ha incautamente seminato con la sua esibizione muscolare. 

Il segretario del Pd Enrico Letta

Nel Pd il clima nei riguardi dell’alleato non si può proprio dire entusiasmante. Lo stesso fatto che il segretario Enrico Letta per chiudere rapidamente una partita imbarazzante abbia dovuto rivolgersi o aggrapparsi anche lui alla presunta “concessione” di Guerini non ha aiutato e non aiuta Conte. La già ricordata corrente di Guerini ha recuperato in un soffio al Nazareno il terreno che aveva dovuto cedere a Letta l’anno scorso col cambio ai vertici dei gruppi parlamentari, soprattutto al Senato. Dove il “deposto” Andrea Marcucci non si è lasciato scappare l’occasione per avvertire, a commento proprio della vicenda delle spese  militari, che i rapporti con le 5 Stelle vanno ridimensionati. Da “largo” il campo dell’alleanza con le 5 Stelle si è fatto “minato”, com’è stato detto a destra e a sinistra.  E’ più un pantano che un campo, ormai.

Gli sviluppi della guerra in Ucraina promettono ben poco di buono per come Conte ha preferito impostare il problema con una visione sostanzialmente pacifista, e un sottinteso -neppure tanto- polemico verso chi attribuisce tutte o le maggiori responsabilità della crisi a Putin. 

Mario Draghi

        Ma soprattutto, guardando ai dannati aspetti concreti della politica, sono curioso di vedere se e come Conte riuscirà a toccare palla -stretto fra un Draghi a dir poco indispettito e un Luigi Di Maio spiazzato anche lui dall’offensiva “domestica” – nella partita appena avviata di oltre 600 nomine nel cosiddetto sottogoverno, fra consiglieri di amministrazione, amministratori delegati e presidenti di enti e società pubbliche.

Pubblicato sul Dubbio

Blog su WordPress.com.

Su ↑