
L’Europa, rappresentata dalla presidente della commissione esecutiva Ursula von der Leyen, ha dunque preceduto il Papa nella visita nell’Ucraina aggredita da Putin. Al cui presidente Zelensky ha personalmente consegnato, in modo peraltro per niente simbolico, il fascicolo di adesione del suo Paese all’Unione, per la quale si è già pronunciato il Parlamento di Strasburgo e che seguirà sicuramente un percorso meno lungo e complicato del solito.
Quello dell’Europa, ancor più di quello militare della Nato, allo stato delle cose diventato impraticabile per riconoscimento dello stesso Zelensky, che su quella strada si era spinto con una una certa avventatezza, è lo scudo che può ancora salvare l’Ucraina dalle grinfie di Putin. Che finge, a mio modesto avviso, al pari di tanti suoi sostenitori dichiarati o di fatto, di vedere dietro la sagoma di Zelensky soprattutto il loquacissimo presidente americano Joe Biden, da cui anche noi occidentali si staremmo facendo abbindolare, ma ha capito benissimo che l’Ucraina è ormai troppo legata all’Europa perché lui gliela possa strappare più di tanto. E se non l’ha capito Putin, penso che prima o poi glielo faranno capire direttamente al Cremlino. O a Pechino.

Nella sottolineatura della precedenza conquistata dalla presidente della commissione europea sul Papa nel viaggio di solidarietà e di sostegno all’Ucraina aggredita non c’è -credetemi- nessuna volontà polemica verso il Pontefice e la Chiesa, più in generale. Era naturale che ciò avvenisse, pur avendo il Papa da tempo messo “sul tavolo” -per usare le sue stesse parole- un viaggio apostolico in quella terra martoriata. Della quale egli ha recentemente baciato la bandiera esponendola poi agli applausi e alla devozione dei fedeli, consapevoli quanto lui che la corsa alle armi è “follia” e “sacrilegio”, ma anche nella natura dell’uomo una volta costretto a difendersi dall’aggressore. Del resto, non mancano nella storia più che millenaria della Chiesa Papi che le armi hanno dovuto impugnarle personalmente, o quasi.


Naturalmente molti continueranno a scambiare per offensivo lo scudo protettivo dell’Europa all’Ucraina. E il solito Marco Travaglio sul suo Fatto Quotidiano continuerà a dileggiare, in particolare, il presidente del Consiglio Mario Draghi per la sua linea di sostegno appunto all’Ucraina e di attacco alla “indecente” guerra di Putin. Oggi sulla prima pagina, affiancandolo al ministro della Difesa Lorenzo Guerini, egli lo ha rimesso in tuta, armi ed elmetto. Che -ha scritto poi nell’editoriale di giornata, continuando a vendicare il Conte detronizzato l’anno scorso- “è l’ultima maschera dello Scemo di Guerra per nascondersi meglio”. Che finezza, diciamo così, di analisi e di linguaggio!