I quirinalisti sono rimasti così spiazzati dalla rinuncia del presidente della Repubblica a parlare dell’ormai solito congedo nel discorso di fine anno pronunciato davanti alle autorità raccoltesi per gli auguri di fine anno, che hanno preferito non scriverne nei loro resoconti. Come se non fosse stata una notizia il fazzoletto metaforicamente rimasto nelle tasche di Sergio Mattarella per non usarlo in un saluto di commiato dopo sette anni trascorsi al Quirinale.
D’altronde, quel fazzoletto -sempre metaforico- era stato riadoperato da Mattarella poche ore prima, in mattinata, alla Farnesina per accomiatarsi dagli ambasciatori convocati dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Dai quali tuttavia il capo dello Stato si era già accomiatato qualche giorno prima, ricevendoli al Quirinale e inserendo nel suo discorso “un inciso di mezzo rigo” di sostanziale congedo registrato con la solita precisione sul Corriere della Sera da Marzio Breda.

Mi risulta, magari a torto, che fra i presenti all’incontro con le autorità a rimarcare di più, e con soddisfazione, l’assenza del congedo, o simili, dal discorso del capo dello Stato sia stato ieri sera al Quirinale il presidente del Consiglio Mario Draghi. Che è rimasto evidentemente ad una cena di qualche settimana fa, pur smentita nei contenuti, in cui praticamente propose a Mattarella di farsi rieleggere per ottenerne a sua volta la conferma a Palazzo Chigi dopo le dimissioni abitualmente presentate dal governo al presidente della Repubblica eletto appena insediato, o reinsediato.
Mi risulta anche, magari a torto pure questa volta, che fra tutti, dietro quella faccia da sfinge che oppone a chi gli accenna il problema, Draghi sia il più imbarazzato per la volontà che gli viene attribuito -per ultimo dall’Economist- di trasferirsi al Quirinale per farsi sostituire a Palazzo Chigi dal fidato ministro attuale dell’Economia Daniele Franco, salvo essere costretto da qualche manovra politica avventata proveniente dall’interno dell’attuale maggioranza per una crisi senza altro sbocco che le elezioni anticipate.

Se l’Economist ha recentemente fornito i chiodi, diciamo così, agli altri possibili concorrenti al Quirinale per crocifiggere Draghi a Palazzo Chigi, e risparmiare al Paese un governo sicuramente mento autorevole ed efficiente di quello da lui oggi guidato, l’ancora più autorevole Financial Times li ha rimossi ieri sostenendo che da presidente della Repubblica egli potrebbe ugualmente -se non addirittura di più- garantire lo stato di grazia, o quasi, in cui ha messo il Paese in questi mesi, nonostante la perdurante pandemia virale e tutto il resto. Curiosamente a schiodare Draghi da Palazzo Chigi, diciamo così, sulle colonne del Financial Times è stato l’ex direttore dell’Economist Bill Elmott, che già sulla Stampa di qualche giorno fa, in verità, aveva provato a correggere il periodico che aveva guidato ai tempi di Berlusconi al governo in Italia, dandogli dell’inadatto e vincendo anche una causa intentatagli dal Cavaliere.


Particolarmente soddisfatti dei chiodi rimossi dal Financial Times, e forse anche dai famosi mercati che lo condizionato o riflettono, sono stati naturalmente al Foglio. Il cui direttore Claudio Cerasa -“il ragioniere” solitamente sfottuto da Marco Travaglio- si è abbandonato ad un sogno alimentato dalle notizie giuntegli di un tifo anche di Beppe Grillo per Draghi al Quirinale. “Un bacio tra Grillo e il Cav”, ha titolato Cerasa, per quanto Grillo in quel momento stesse confezionando il suo blog personale con la mente e il cuore rivolti molto più lontano: in particolare al Cile. Il cui esito delle elezioni a favore del giovane candidato della sinistra alla Presidenza Grillo ha festeggiato nel modo più colorato e natalizio possibile, diavolo di un uomo.
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