Mattarella sospende a sorpresa il rito del congedo al Quirinale

Per una volta, e che volta, nel Palazzo del Quirinale e davanti a tutte le autorità convenute per gli auguri di fine anno, il presidente della Repubblica al termine di un lungo discorso di ringraziamenti e di elogi a tutti, ma proprio tutti, nella lotta alla pandemia virale e nella ricostruzione del Paese su basi nuove, ha evitato di ricordare la conclusione del suo mandato. E tanto meno di ribadire la indisponibilità ad una conferma che non gli è stata chiesta ancora da uno schieramento necessariamente e naturalmente largo di forze politiche ma dalla popolazione sì. Basterà ricordare quel bis accompagnato ripetutamente da sei minuti di applausi la sera del 7 dicembre scorso alla prima della Scala, lo storico teatro dell’opera di Milano: applausi incredibilmente scambiati dal sindaco della città, Beppe Sala, per un indebito, inopportuno strattonamento del presidente della Repubblica. La cui giacca quella sera gli è rimasta comodamente e tranquillamente addosso. 

Non sembra proprio casuale l’omissione o l’interruzione del rito del “congedo” da qualche tempo adottato al Quirinale, e ribadito con comunicati e altro di fronte anche ad iniziative legislative al Senato di modifiche alla Costituzione. In attesa delle quali si era prospettata la possibilità di un temporaneo e sostanziale prolungamento del mandato di Sergio Mattarella, D’altronde, solo qualche giorno fa di congedo si è evitato di parlare anche nei comunicati del Quirinale e della Santa Sede sulla visita del presidente della Repubblica al Papa, preannunciata originariamente come commiato.  

Una rondine non fa primavera, dice un vecchio proverbio. E sarebbe, del resto, davvero fuori stagione. Ma sperare in un’apertura del presidente della Repubblica ad una rielezione, in attesa che a provvedere alla sua successione possa essere un Parlamento più legittimato di quello in scadenza, non è un delitto. Nè un’offesa al capo dello Stato, neppure se quest’ultimo dovesse tornare a congedarsi nel messaggio televisivo di Capodanno a reti unificate. 

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Brutte notizie per Berlusconi dalle cronache della corsa al Quirinale

Maurizio Molinari su Repubblica di ieri

L’ombra del Torrino del Quirinale si allunga sempre di più sulla politica. Non c’è notizia, dichiarazione, retroscena che non si presti an una lettura quirinalizia, appunto, a favore o contro questa o quella ipotesi di candidatura per la successione di fine gennaio a Sergio Mattarella. Già, perché siano sempre nel campo delle ipotesi, non essendosi nessuno ancora azzardato -almeno fra i politici in vista e più quirinabili- a proporsi esplicitamente: neppure Silvio Berlusconi. Che pure sovrasta tutti nella fantasia di chi lo vorrebbe al vertice dello Stato e di chi non vorrebbe neppure sentirne parlare, come ha sbrigativamente proposto di fare ieri su una Repubblica pur ormai descalfarizzata il direttore Maurizio Molinari. Il quale ha scritto, nell’editoriale sovrastante quello solito del “fondatore” ormai preso da argomenti prevalentemente filosofici: “La sola ipotesi dell’elezione al Colle dell’ex premier Silvio Berlusconi -figura altamente divisiva per gli scandali che lo hanno avuto protagonista-  descrive il rischio di un clamoroso passo indietro tanto sulla stabilità interna che sulla credibilità internazionale”. Ne sarà rimasto soddisfatto Marco Travaglio, che sul suo Fatto Quotidiano tratta spesso la Repubblica di carta come un giornale ormai semiberlusconiano. E che ancora è ossessionato di giorno dall’idea che Berlusconi ce la possa fare davvero a scalare il Colle -con una gigantesca “campagna acquisiti” di parlamentari inutilmente segnalata dallo stesso Fatto alle Procure della Repubblica- e di notte dall’idea che al Quirinale vada invece Draghi. 

Titolo del Fatto Quotidiano

Di quest’ultimo al posto di Mattarella sentite quali sono gli effetti più immediati temuti dal giornale di Travaglio con un richiamo di prima pagina sistemato quasi in apertura: “Crisi gestita dai forzisti Brunetta&Casellati”. Brunetta da ministro più anziano diventerebbe presidente del Consiglio, in attesa che il nuovo venga nominato -chissà poi perché- dalla presidente supplente della Repubblica Casellati, appunto.  Evidentemente Travaglio teme anche un prolungamento delle elezioni presidenziali tale che Casellati sostituisca Mattarella scaduto il 2 febbraio e anche il capo dello Stato successivamente eletto per fare  lei le consultazioni e nominare un nuovo presidente del Consiglio, magari confermando l’amico di partito già insediatosi a Palazzo Chigi per ragioni di anzianità. 

Titolo del Corriere della Sera

Proprio a Brunetta il Corriere della Sera ha chiesto in un titolo di prima pagina, con una intervista di Monica Guerzoni, se Draghi potrà andare al Quirinale, dove peraltro non lo vuole Berlusconi. “Devono dirlo i partiti”, ha risposto il ministro forzista aggiungendo come elemento di valutazione o previsione rafforzativo di questa candidatura che non ci sarebbe pericolo alcuno di elezioni anticipate. Che i parlamentari naturalmente temono come i tacchini la vigilia di Natale. 

Titolo del Foglio
Titolo di Repubblica

Immagino la delusione, a dir poco, di Berlusconi nel leggere il “suo” Brunetta che di fatto spalleggia Draghi al Quirinale come i suoi amici del Foglio con due titoli sovrastanti gli articoli del direttore Claudio Cerasa e del fondatore Giuliano Ferrara. Non vi dico poi che cosa avrà procurato a Berlusconi la notizia dell’incontro di Giorgia Meloni con l’attuale vice presidente della regione Lombardia Letizia Moratti, subito proiettato da Repubblica sulla corsa al Quirinale: una  botta per il Cavaliere forse peggiore dell’invito del pur amico  e deputato Vittorio Sgarbi, formulatogli da uno dei suoi canali televisivi, a sponsorizzare Draghi, anzichè inchiodarlo a Palazzo Chigi come su una croce, aspettandosene  poi la gratitudine con una meritatissima nomina a senatore a vita.  Come fece Giuseppe Saragat -ricordo- con Giovani Leone dopo l’elezione a presidente della Repubblica, nel 1964, in una gara dalla quale lo stesso Leone, candidato dalla Dc, si era ritirato volontariamente. Ma Leone, eletto sette anni dopo, nel 1964 aveva 56 anni, contro gli 85 di Berlusconi oggi. 

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