Nonno Draghi a disposizione delle istituzioni, compreso il Quirinale

Nell’attesa conferenza stampa di fine anno, lodevolmente anticipata  almeno di una settimana a beneficio di una lettura e interpretazione appropriate della situazione politica, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha condizionato la sua permanenza a Palazzo Chigi con un altro presidente della Repubblica, scadendo il mandato del “saggio”, “esemplare” e quant’altro Sergio Mattarella, alla permanenza dell’attuale maggioranza.  Che egli ha definito “di unità nazionale”, coerentemente con la convinzione di Mattarella nel nominarlo dopo una lunga e tortuosa crisi di governo non rievocata per ragioni di gusto, o di stile, come preferite: una convinzione comunque condivisa dal Parlamento accordandogli la fiducia mai venuta meno lungo il percorso del nuovo esecutivo. 

Quanto poi alla possibilità, che Draghi praticamente non ha escluso omettendo di parlandone in modo esplicito, di una sua elezione al posto di Mattarella, il presidente del Consiglio ha tenuto a scrollarsi di dosso il semipresidenzialismo immaginato per lui dal ministro leghista ed amico Giancarlo Giorgetti. Non tocca al capo dello Stato -ha detto e spiegato Draghi rispondendo ad una domanda quasi trappola di un giornalista- “accompagnare” con chissà quali iniziative e suggerimenti il presidente del Consiglio. Che, una volta da lui nominato, dipende dal Parlamento, che gli accorda o nega la fiducia all’inizio e lungo il suo percorso di lavoro. Il capo del governo non poteva sminare meglio o di più il campo di una sua pur non cercata candidatura al Quirinale. Così come meglio Draghi, presentandosi come “un nonno al servizio delle istituzioni”, non poteva prendere le distanze dal “capriccio” contestatogli di recente dal Giornale della famiglia Berlusconi come possibile concorrente dello stesso Berlusconi nella corsa al Quirinale.

Ma la domanda forse più insidiosa l’ha  forse rivolta verso la fine della conferenza stampa Claudia Fusani, del Riformista, chiedendogli di pronunciarsi sulla sostanziale delegittimazione di un Parlamento chiamato, a poco più di un anno dalla scadenza, e in un quadro politico radicalmente cambiato rispetto alle elezioni politiche del 2018, a eleggere un nuovo Presidente della Repubblica da lasciare in carica sino al 2030. Ma anche a questo passaggio politicamente scabroso il presidente del Consiglio si è sottratto dicendo praticamente che la circostanza è quella che è. E non c’è verso che qualcuno possa cambiarla di propria iniziativa. A meno che – ma questo Draghi si è guardato dall’aggiungerlo per discrezione e quant’altro- non provvedano le forze politiche a proporre  a larghissima maggioranza al presidente della Repubblica uscente una conferma per il tempo necessario a consentire l’elezione del suo successore da parte delle nuove Camere, ridotte peraltro di un terzo dei seggi e con un ben diverso rapporto di forza tra i gruppi, e relativi partiti, che ne faranno parte. 

E’ stata, quella di Draghi, nel complesso una conferenza stampa di fine anno insolita anche per concisione, naturalmente lodevole. 

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L’handicap di queste Camere alle prese con la scadenza del Quirinale

Finalmente. Era ora che qualcuno sui giornali si accorgesse, o finisse di fingere di non essersi accorto del grave handicap in cui si trova questo Parlamento -nato dalle urne del 2018- nell’elezione del successore di Sergio Mattarella al Quirinale: un handicap in parte involontario, essendo cambiati casualmente, diciamo così, i rapporti di forza iniziali fra i gruppi – con più di 250 trasmigrazioni, fra deputati e senatori-  e in parte voluto con imperdonabile leggerezza, quanto meno, dai grillini. I quali, ottenuta  fortunosamente più di quattro anni fa la maggioranza relativa dei voti, come i democristiani di una volta, vollero subito segare le gambe alle Camere tagliandone i seggi di un terzo, per cui il Parlamento ha subìto un invecchiamento precoce. 

Rispetto alle Camere dimagrite della prossima legislatura, non più tardi della primavera del 2023, queste che stanno per essere convocate per la successione al Quirinale sono vecchie, flaccide, decadenti, se si offendono -con i loro presidenti- ad essere considerate decadute. E in queste condizioni- ripeto- sono chiamate ad eleggere un nuovo presidente della Repubblica destinato a rimanere in carica sino al 2030, trasmettendogli -direi- un vizio di rappresentanza.

Giovanni Diamante sul Messaggero
Titolo del Messaggero

Eppure -ha osservato giustamente il professore Giovanni Diamante oggi sul Messaggero citando una recente rilevazione di Demos- “ben 63 italiani su 100 dichiarano di avere molta o abbastanza fiducia nel Presidente della Repubblica: un dato in crescita di cinque punti sull’anno scorso. Il parlamento -ha continuato con la minuscola il professore a contratto- non supera il 23 per cento, in linea col dato del 2020, mentre i partiti, seppure in crescita, sono sostenuti dal 13 per cento dei cittadini”. Sono  numeri che parlano da soli e portano a condividere il titolo di richiamo in prima pagina che Il Messaggero ha dato all’articolo del suo collaboratore: “Il Quirinale e il voto di un Parlamento distante dal Paese”.

Titolo interno del Messaggero

Ancora più chiaro e impietoso è il titolo interno del quotidiano romano: “Ma la scelta del Presidente sarà fatta da un Parlamento mai così distante dal Paese”. Ripeto: mai così distante dal Paese, che nel frattempo è stato investito da emergenze così gravi -sanitaria, economica e sociale- da avere salutato con un sospiro di sollievo il sostanziale commissariamento della politica avvenuto con la formazione del governo di Mario Draghi. Cui il Parlamento ha accordato la fiducia senza rendersi conto che, in realtà. a giocare di più è stata la fiducia accordatagli da Draghi, come ha scritto qualche costituzionalista disincantato. 

Mattarella ieri al teatro fiorentino del Maggio

In questa situazione, con i partiti o coalizioni divisi fra di loro e al loro interno, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella continua a ricevere richieste e incoraggiamenti dal pubblico -ieri a Firenze, come il 7 dicembre a Milano, nel contesto di un evento musicale- ma anche a lanciare segnali, pur ogni tanto contraddetti da silenzi, di indisponibilità ad una soluzione di onorevole compromesso, o onorevole uscita dall’impasse di natura politica e istituzionale in cui ci troviamo. Mi riferisco ad una rielezione a termine del presidente uscente, per quanto ignorata -e perciò non impedita dalla Costituzione- per consentire alle Camere nuove, e più rappresentative del Paese, la scelta del suo successore. 

Per fortuna -l’unica per ora- il conto alla rovescia verso le votazioni parlamentari previste attorno al 24 gennaio per l’elezione del presidente della Repubblica è lunghetto, diciamo così. Spero che non venga sprecato. 

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