Silvio Berlusconi gratissimo (una volta tanto) all’Economist

La famosa copertina di Economist nel 2001

A Silvio Berlusconi, rimastone vittima con quella bocciatura da copertina do 20 anni fa che contribuì, insieme ai soliti magistrati italiani impegnati contro di lui, a rendergli dura la vita in politica, sarà scappata una risata grande quanto la sua villa di Arcore a godersi l’aiuto stavolta del settimanale inglese  The Economist. Che lo ha ripagato, forse anche con gli interessi, del danno infertogli dandogli dell’inadatto, inaffidabile e quant’altro alla guida del governo italiano.  Ora, facendo gli elogi dell’Italia  come “Paese dell’anno” grazie anche a Mario Draghi a Palazzo Chigi, il settimanale inglese ha  soccorso Berlusconi come meglio non poteva nella battaglia difficilissima in corso per difendere  la sua voglia di Quirinale, chiamiamola così, dalla fortissima concorrenza -nei fatti- proprio di Draghi. Che pure è un carissimo amico, che il Cavaliere si vanta di avere portato a suo tempo alla presidenza della Banca Centrale Europea, con tutto ciò che ne è poi conseguito. 

Titolo di Repubblica

Proprio in difesa della necessaria prosecuzione del governo Draghi almeno sino alle elezioni ordinarie del 2023  Berlusconi è quindi tra i più impegnati contestatori dell’ipotesi del presidente del Consiglio trasferito al Quirinale alla scadenza del mandato di Sergio Mattarella. Tanto è vero che il suo Giornale di famiglia ha recentemente liquidato come “un capriccio” non dico una candidatura ma un’eventuale disponibilità del presidente del Consiglio a farsi candidare  al Quirinale.  E  Matteo Salvini si è accodato ieri ponendo contro questo scenario “un veto”, come l’ha definito la Repubblica di carta.

Ecco, a quel  “capriccio” lamentato dal Giornale si è in qualche modo associato l’Economist concludendo l’articolo di promozione dell’Italia a “Paese dell’anno” con questo passaggio correttamente tradotto da quasi tutti, come vedremo  “Draghi vuole essere presidente della Repubblica e potrebbe essere succeduto da un primo ministro meno competente”. 

L’Economist tradotto dal Foglio

Mentre Berlusconi-ripeto- forse se la rideva pensando al soccorso dei suoi vecchi detrattori, al Foglio fondato da Giuliano Ferrara e diretto da Claudio Cerasa -schierato in prima fila e dal primo momento, se non proprio lanciatore della campagna per l’elezione di Draghi al Quirinale, dove si sta per sette anni contro l’anno o poco più che potrebbe ancora durare questo governo-  debbono esserci rimasti malissimo. E hanno cercato di metterci una pezza trasformando nella traduzione il “vuole” in un più pudico, accettabile, comprensivo, addirittura popolare “vorrebbe”. Ah, la forza magica del condizionale nelle pieghe di una feroce lotta politica in corso o in embrione, come preferite. 

E Draghi?, mi chiederete. Ne posso immaginare, al momento, solo l’imbarazzo per una festa guastatagli un pò dall’Economist con la promozione dell’Italia grazie soprattutto a lui che però vuole, assolutamente vuole, andare al Quirinale pur sapendo che sarebbe sostituito al governo da uno meno competente. Al quale, a sua volta, come presidente della Repubblica egli non potrebbe sostituirsi, neppure di notte, per un inconveniente chiamato Costituzione. Che a maggior ragione con lui al Quirinale i partiti, già in sofferenza avendolo provato a Palazzo Chigi, difficilmente si convincerebbero a modificare in senso presidenzialista, o semi-presidenzialista alla francese. Bel guaio nel Paese -non dimentichiamolo- in cui la politica ha l’abitudine di scambiare per potenziali dittatori tutti gli uomini dotati di una certa personalità. Lo dimostra il trattamento riservato a De Gasperi (che Togliatti voleva cacciare “a calci in culo” dal governo), Pella, Scelba, Tambroni, Craxi, Berlusconi e Renzi, in ordine rigorosamente cronologico nella storia della Repubblica.   

Le elezioni presidenziali in un Parlamento praticamente delegittimato

Titolo del Dubbio

l caso, solo il caso, ha voluto che il mandato presidenziale di Sergio Mattarella finisse quasi con la fine dell’anno, per cui spesso si stenta a capire dove termini lo scambio degli auguri fra lui e i suoi ospiti e cominci davvero il cosiddetto congedo.

Per non scomodare Papa Francesco, e neppure il Cardinale Segretario di Stato Piero Parolin, che si sono accomiatati da Mattarella dando l’impressione, magari sbagliata, di non essersene voluti separare troppo a lungo – tali e tanti sono stati, in particolare, gli argomenti che hanno voluto trattare con l’ospite, facendone un elenco dettagliato- è apparso significativo quanto è accaduto al Quirinale con gli ambasciatori. Che il presidente della Repubblica ha ricevuto dopo la visita in Vaticano.

Un testimone e cronista solitamente preciso e attento come il quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda, tanto di casa ormai nel palazzo presidenziale da poter essere scambiato per un custode, ha riferito che il “commiato” di Mattarella dai diplomatici è stato contenuto in “un inciso solo di mezza riga”. Infatti anche dal testo dell’intervento risulta che il capo dello Stato ha voluto soltanto “cogliere l’occasione” dell’incontro di fine anno per accomiatarsi appunto. 

Si vedrà se Mattarella ricorrerà ad un inciso anche nel messaggio televisivo di Capodanno: spero non registrato accanto al portone del Quirinale per sottolineare la fretta e la decisione, insieme,  dell’inquilino di allontanarsi da quel luogo di tortura che, a sentire certi suoi troppo solerti estimatori, sembra diventato per lui quel palazzo. Ciò almeno da quando gli sono giunti inviti espliciti e impliciti a rimanervi almeno per un pò di tempo ancora: giusto quello che occorre, per esempio, perché a provvedere alla sua successione sia il nuovo Parlamento. Che, ridotto di un terzo dei seggi e sicuramente diverso anche per gli equilibri fra i vari gruppi, senza più la “centralità” grillina della legislatura in corso dal 2018, dovrebbe poter esprimere un presidente della Repubblica più rappresentativo, visto che ad eleggerlo sono appunto le Camere e non gli italiani direttamente. 

Su questa condizione particolarissima in cui sta maturando o si sta solo avvicinando il prossimo turno di elezioni presidenziali, con le urne in vimini e stoffa che i commessi stanno già lucidando a Montecitorio, si dice e si scrive forse un pò troppo poco, o per niente. Eppure essa potrebbe apparire un vulnus a gente di comune buon senso, portata a pensare che un Parlamento in scadenza così complessa e vasta come quello in carica da quasi quattro anni sui cinque della durata ordinaria sia il meno indicato, attendibile e quant’altro al compito assegnatogli dalla Costituzione di eleggere il Capo dello Stato, con tutte le maiuscole usate dall’articolo 87 della Costituzione. 

Di questa incongruenza, che magari non sarà condivisa da sottili costituzionalisti in cattedra,  sarebbe ora che si cominciasse a parlare fuori dai denti. 

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it il 19-12-2021

Blog su WordPress.com.

Su ↑