L’altoforno del movimento 5 Stelle nei racconti di Bari e di Napoli

            Alessandro Di Battista, già da tempo in corsa per la guida formale del Movimento 5 Stelle ma ora supposto candidato di Davide Casaleggio, ha concluso a Bari la campagna elettorale della candidata pentastelllata alla presidenza della regione Puglia ancora più rumorosamente di quanto avesse fatto il giorno prima contestando al governatore uscente, e riproposto dal Pd, Michele Emiliano di avere nelle liste a suo sostegno “impresentabili” certificati dalla commissione parlamentare antimafia, peraltro presieduta dal grillino Nicola Morra.

            Nel suo intervento finale il quasi leggendario “Dibba”, come lo chiamano gli amici, ha contestato a Emiliano anche “l’asfalto elettorale” delle nomine e assunzioni fatte in vista del voto di domani. E, come racconta una stringatissima cronaca del Corriere della Sera, ha praticamente diffidato gli elettori grillini dal seguire i consigli di Marco Travaglio, sul Fatto Quotidiano, per il “voto disgiunto”: a favore di Emiliano per la presidenza della regione e dei candidati pentastellati a consiglieri regionali. Sarebbe “sleale”, ha convenuto anche Luigi Di Maio, più volte accorso pure lui in campagna elettorale in Puglia per sostenere la candidata grillina a “governatrice”, senza tuttavia attaccare Emiliano.

            Indicativa della incandescente situazione interna al movimento 5 Stelle è anche il racconto di una cena di Luigi Di Maio, Paola Taverna, Stefano Patuanelli ed altri big in una pizzeria di Napoli. Dove i cronisti del Foglio Simone Canettieri e Valerio Valentini hanno ascoltato o sentito raccontare da testimoni una certa, diffusa voglia di liberazione, diciamo così, dalla ormai troppo invadente figura di Giuseppe Conte. Cui si vorrebbe far capire che è più lui ad avere bisogno dei grillini che i grillini di lui.

 

 

 

Ripreso da http://www.policymakermag.it

Quella supposta infilata da Giuseppe Conte nella campagna elettorale

            Chiusa la campagna per il voto regionale, comunale e referendario di domani, non sarebbe corretto proseguirla tornando sui suoi temi.  Ma si può lamentare, senza violare il silenzio elettorale, la supposta inseritavi negli ultimi giorni dal presidente del Consiglio con l’annuncio e la diffusione del documento sulle “linee guida”, non sui progetti, di utilizzo dei 209 miliardi di fondi europei per la ricostruzione che sono a disposizione dell’Italia dall’anno prossimo.

            La strumentalizzazione elettorale di questo documento è derivata dall’avvertimento sottinteso che solo il governo in carica è praticamente titolato a gestire questa quantità enorme di danaro, tra credito e fondo perduto, stanziata per l’Italia dall’Unione Europea in un impeto di solidarietà cui non ci aveva certamente abituato da molti anni a questa parte. Pertanto ogni indebolimento di questo governo per effetto dei risultati elettorali e referendari che gli si rovesceranno addosso lunedì sera comprometterebbe gli interessi generali del Paese. Non a caso è stata evocata anche dal presidente del Consiglio una specie di complotto dei poteri più o meno forti e invisibili per farlo cadere e far perdere all’Italia il treno dei fondi europei, o per caricarli su un altro convoglio governativo per destinarli più a chi sta già bene che a chi sta male.

            Dopo un attacco sferrato al documento di Conte dal nuovo giornale – Domani- di Carlo De Benedetti, tornato personalmente ad attaccare Conte oggi in una intervista al Corriere della Sera e obiettivamente esposto per la sua storia imprenditoriale e finanziaria al sospetto di vicinanza, quanto meno, ai cosiddetti poteri forti, sono arrivate tuttavia le critiche di un quotidiano non sospettabile di prevenzione verso il governo in carica: Il Foglio fondato da Giuliano Ferrara e diretto da Claudio Cerasa, solitamente carino col presidente del Consiglio quanto il  Fatto Quotidiano.

            Nelle “linee guida”  di utilizzo dei fondi europei, tra sviluppo digitale, riduzione delle tasse, ripresa del pil e altro ancora, Cerasa ha trovato “molti sogni da condividere ma zero progettualità, zero visione e soprattutto pochi numeri (e pure sbagliati)”. Inoltre, sempre secondo Cerasa, un presidente del Consiglio convinto di avere davanti a sé “la sfida della vita”, pronto a precedere gli avversari mettendosi da parte se fallisse, “non può permettersi di offrire l’impressione”, data invece col suo documento, “di voler privilegiare più la logica della distribuzione del presente, un po’ a me e un po’ a te, che la logica della visione del futuro”. E ancora: “L’Italia, e il governo lo sa bene, ha bisogno di ritrovare la fiducia, ma ritrovare la fiducia senza avere chiare le priorità è, come nel calcio, annunciare una campagna acquisti senza avere idea di quali giocatori acquistare”.

            Ancora più impietoso è stato l’ex ministro Giorgio La Malfa, di buona formazione e competenza economica, a dir poco, a definire sul Dubbio “generico e superficiale” il documento del governo e ad accusare Conte di aver voluto tenere praticamente per sé, dietro la sigla di un comitato interministeriale, un piano d’impiego dei fondi europei che avrebbe dovuto affidare ad un’”agenzia” affidata alla competenza di “una personalità di statura internazionale”. Della quale La Malfa ha evitato di fare il nome essendo naturalissimo il pensiero a un Mario Draghi per niente “stanco”, come Conte ha invece detto di averlo trovato quando gli propose, l’anno scorso, la candidatura a presidente della nuova Commissione europea, impossibile perché la partita si giocava tra francesi e tedeschi. Se Draghi era “stanco”, Conte era distratto.

             

Blog su WordPress.com.

Su ↑