Già passata da solida a liquida, la situazione politica si fa ora gassosa

            Da solida, come era stata prospettata alla nascita del secondo governo di Giuseppe Conte dai partiti che lo compongono, decisi a portare a termine insieme tutto il resto della legislatura, fino al 2023, provvedendo anche all’elezione del successore di Sergio Mattarella al Quirinale, nel 2022, la situazione politica si è fatta via via sempre più liquida, con tensioni e divisioni nella maggioranza giallorossa che non sono state sopite neppure dall’emergenza virale. Ma a leggere i giornali di oggi l’impressione che si ricava è di una situazione neppure più liquida, bensì gassosa.

            Su Libero, per esempio, il direttore Piero Senaldi ha annunciato su tutta la prima pagina, con un articolo dove non si riescono a vedere bene i confini tra notizie, indiscrezioni, intuizioni, fantasie e quant’altro, la gestazione di un partito personale del presidente del Consiglio. Che sarebbe una specie di riedizione “ambientalista” della Democrazia Cristiana, valutabile fra il 10 per il 15 per cento dei voti.

            Già corso l’anno passato in un teatro campano a commemorare il democristiano Fiorentino Sullo su invito e alla presenza di democristiani mai pentiti, orgogliosi anzi di esserlo ancora anche senza più l’esistenza di quel partito, Conte si ritroverà il mese prossimo con gli stessi e altri scudocrociati a Saint Vincent, dove una volta Carlo Donat-Cattin riuniva i suoi amici di corrente, sempre in autunno, e  ospiti importanti di altre formazioni politiche. Sarebbe proprio a Saint Vincent, dove peraltro è stato invitato anche Silvio Berlusconi, augurabilmente uscito nel frattempo dal contagio virale, che Conte -secondo Sinaldi- si propone di dare finalmente qualche indicazione sui suoi progetti partitici, avendo ormai alle spalle i risultati insidiosi delle elezioni regionali e comunali e del referendum del 20 settembre sui tagli dei seggi parlamentari. Staremo a vedere.

            Certo, se veramente  Conte avesse voglia, come già altre volte si è scritto da qualche parte rimediando però smentite, di mettersi in proprio con un partito, lo si potrebbe anche capire per il continuo logoramento che stanno avendo i suoi rapporti col movimento 5 Stelle, che pure lo ha designato due volte a Palazzo Chigi, e con il Pd. Il cui segretario Nicola Zingaretti dopo l’intesa di governo lo aveva promosso, corteggiandolo, come leader di un’area progressista non meglio identificata.

            Ora il presidente del Consiglio non solo deve ancora più frequentemente di prima compattare la maggioranza con ricorsi alla fiducia nominale nelle aule parlamentari, ma è costretto a vedere cambiarne i numeri da un giorno all’altro. Sul decreto-legge di proroga dell’emergenza virale, per esempio, i 276 voti raccolti a Montecitorio per evitare l’emendamento dei dissidenti grillini contro la proroga anche dei vertici dei servizi di sicurezza, sono scesi l’indomani a 219, cioè 57 in meno, nello scrutinio finale sul provvedimento.

            Non è tuttavia soltanto Conte ad essere o sembrare tentato da imprese e calcoli solitari. Il Foglio, per esempio,  riferisce di una “opzione Di Maio”, attribuendo al ministro degli Esteri la convinzione di poter rappresentare da solo un 10 per cento dell’elettorato italiano. Ma c’è sotto le 5 stelle, e sempre sul Foglio, anche una “opzione Dibba”, sigla di Alessandro Di Battista, che vorrebbe fare del movimento, se gli riuscisse di conquistarne la guida, ciò che Matteo Salvini ha fatto della Lega, magari per rimettersi assieme al “capitano”. C’è da rimediare un mal di testa, quanto meno.  

 

 

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Le distanze di Ainis da Repubblica sulle forbici grilline in Parlamento

Michele Ainis è fra i più brillanti costituzionalisti italiani, capace come pochi  di divertire gli studenti all’università e i lettori sui giornali, ora su Repubblica e l’Espresso, anche quando dice e scrive cose che possono non essere condivise sul piano dottrinario o politico: due piani dai confini molto labili quando si discute della Costituzione o perché non se ne condivide l’interpretazione o l’applicazione, o entrambe, o perché si è alle prese con qualche tentativo di riformarla. E’ ciò che sta avvenendo in vista del referendum confermativo sui tagli dei seggi parlamentari disposto da una legge fortemente voluta dai grillini ma approvata nell’ultimo passaggio parlamentare, alla Camera, con soli 14 voti contrari.

Quei pochissimi no a Montecitorio avrebbero dovuto far prevedere in un passaggio referendario una valanga di sì difficilmente riscontrabile invece in questi giorni per l’opposizione fiorita tra costituzionalisti, giuristi, politologi e fette consistenti di partiti battutisi per l’approvazione parlamentare sin dal primo momento o all’ultimo istante. E’ accaduto, in quest’ultimo caso, al Pd per rispettare  l’anno scorso il repentino accordo di governo stipulato col movimento 5 Stelle pur di evitare elezioni anticipate dall’esito allora scontato a favore  del  centrodestra a trazione salviniana. Che peraltro è ancora in testa nella maggioranza dei sondaggi, pur se i leghisti sono in calo rispetto all’exploit delle elezioni europee del 2019.

Combattuto forse fra il no decisamente scelto dalle testate dei giornali su cui scrive e un sì atteso da chi lo ha voluto o accettato all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, e non volendo associarsi al ni, da lui giustamente irriso, dei partiti e rispettivi segretari che lasciano -bontà loro- liberi i proseliti di votare come vogliono, Ainis si è simpaticamente limitato a chiedere ai lettori che il 20 settembre andranno a votare anche per il rinnovo di sette Consigli regionali e di un migliaio di Consigli comunali di non confondere le schede nell’incauto abbinamento elettorale disposto dal governo, almeno in questo meritevole di una censura.

Per il resto il professore Ainis, come dice un corretto titolo applicato dai colleghi di Repubblica al suo intervento nel dibattito referendario, ha raccomandato “un voto per la Costituzione”. Ma “per la Costituzione” in che senso? In quello del annunciato dal professore e presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida, pur inorridito dalle motivazioni anti-casta e anti-parlamentariste date ai tagli dei seggi dai grillini, o in quello del no annunciato dal professore e presidente emerito, anche lui, della Corte Costituzionale, e già ministro della Giustizia, Giovanni Flick? Che si è rifiutato giustamente -secondo me- di separare le cattive motivazioni grilline dagli effetti dei loro tagli, avulsi da altre modifiche della Costituzione necessarie invece a garantire davvero un migliore funzionamento delle Camere. Esse conservando le stesse, ripetitive competenze attuali, difese da Luigi Di Maio in una intervista al Corriere della Sera, continueranno a viaggiare, diciamo così, come una carrozza a cavallo in autostrada. Eppure la compianta ex presidente della Camera Nilde Jotti, recentemente scoperta dallo stesso Di Maio come portabandiera di un Parlamento con meno deputati e senatori, segnalò già nel 1979, dopo essere stata eletta al vertice di Montecitorio, difetti e guasti del bicameralismo paritario, o perfetto, da superare quindi in un intervento riformatore sulla composizione del Parlamento.

Secondo Ainis, di una riforma costituzionale, a prescindere dalla sua ampiezza, deve valere “il testo e non il contesto”, inteso quest’ultimo come il clima politico nel quale matura e i “sentimenti o risentimenti” che può alimentare, i danni o i vantaggi per il governo di turno ed altri accidenti della competizione fra partiti, leader, coalizioni e quant’altro.

Non so se il professore Giovanni Guzzetta, intervenuto ieri sul Dubbio nel dibattito referendario con la competenza accumulata su questo terreno in una trentina d’anni di lavoro, fra gli altri, con Mariotto Segni e Marco Pannella, volesse riferirsi proprio a Michele Ainis e al suo recentissimo articolo su Repubblica, che ha stimolato le riflessioni di questo mio articolo. Ma queste sue parole si prestano benissimo come risposta, forse troppo rude per i gusti o le abitudini dello stesso Guzzetta, al costituzionalista dissidente -credo- del giornale diretto da Maurizio Molinari: “Quando voterete, qualsiasi cosa voterete, sappiate che chi vi dice di limitarvi a considerare il merito, il merito e basta, mente sapendo di mentire. Ognuno degli attori in gioco, sui palchi dei comizi, reali o virtuali, ha la sua agenda e il taglio dei parlamentari è un tassello di questa agenda”.

Concordo pienamente, anche se in passato ho dissentito da Guzzetta per il contributo da lui dato ai cosiddetti referendum “manipolativi”, variante di quelli “abrogativi” previsti dalla Costituzione: per esempio, in tema di legge elettorale, snaturabile e non abrogabile se si interviene su un articolo col bisturi di un chirurgo, togliendo una virgola qua e un aggettivo là.

Pubblicato sul Dubbio

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