In comune hanno il carattere pretestuoso le due rinunce di segno politico opposto che sono calate nelle cronache politiche delle ultime ventiquattro ore: quelle di Giuliano Pisapia a sinistra e di Angelino Alfano, non so se più a destra o al centro. Entrambi erano arrivati ad un palmo dall’apparentamento elettorale col Pd di Matteo Renzi, prima di schiantarsi contro la paura. Vale per l’uno e per l’altro quel che il grande Alessandro Manzoni mise in bocca al suo don Abbondio nei Promessi sposi. Il coraggio uno non se le può dare, se non lo ha.
Nè Pisapia né Alfano hanno avuto il coraggio di resistere sino in fondo a chi li accusava da sinistra e da destra di fare da “stampella” a Matteo Renzi affrontando insieme a lui la campagna elettorale del 2018, ma in realtà in corso già da un annetto, per il rinnovo delle Camere.
Dei due, tuttavia, Alfano il coraggio lo ha un po’ ritrovato nell’ammettere la paura provata sulla strada dell’intesa: quando ha accompagnato l’annuncio della rinuncia a ricandidarsi sia al Parlamento sia al governo attribuendone la ragione “anche” agli “attacchi ingiusti” ricevuti. Come quello appena ripetutogli sul giornale della famiglia Berlusconi dal direttore Alessandro Sallusti di avere fatto del suo originario e conclamato “Nuovo Centro Destra il più vecchio e sinistrorso partito della legislatura” arrivata agli sgoccioli. Che è stato ed è in effetti un giudizio infondato, sfacciatamente di parte, utile forse solo a far dire poi a Sallusti, di fronte alla resa di Alfano, che ora Berlusconi può pure riaprire le porte di casa agli amici e seguaci del ministro uscente degli Esteri, divisi tra la fedeltà allo stesso Alfano e l’attrazione di una Forza Italia in ripresa elettorale: si vedrà in che misura.
In realtà, Alfano quattro anni fa, rimanendo nel governo di Enrico Letta dopo che Berlusconi ne aveva praticamente ordinato l’abbandono, aveva avuto solo il torto di prendere sul serio lo stesso Berlusconi. Che sino al giorno prima aveva teorizzato o riconosciuto la necessità di non confondere i suoi problemi giudiziari, diventati nel frattempo anche istituzionali con la pur controversa decadenza da senatore, e quelli del governo delle cosiddette larghe intese da lui stesso voluto e negoziato qualche mese prima.
Il carattere pretestuoso della rinuncia di Pisapia, a sinistra, è di una evidenza persino disarmante con quella sua protesta contro la presunta rinuncia, a sua volta, di Renzi all’approvazione della legge del cosiddetto “ius soli” nei pochi giorni ormai che restano della legislatura al Senato, a vantaggio della legge sul cosiddetto “fine vita” dignitoso per i malati terminali.
Pisapia, che pure è un avvocato di lunghissimo corso, e non un marziano sbarcato da poco sulla terra, ha curiosamente deciso di classificare il fine vita a destra, che pure lo contrasta in Parlamento, e a sinistra lo ius soli. Che consentirebbe ai figli nati in Italia da immigrati di accedere a un diritto che già hanno di loro: la possibilità di ottenere a 18 anni la cittadinanza tricolore.
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