L’impagabile fortuna di Giuseppe Vegas di essere italiano….

Giuseppe Vegas, il presidente uscente della Consob, è un uomo decisamente fortunato, oltre che  bravo, per carità. Una bravura certificata dal concorso che lo portò alle dipendenze del Senato come funzionario. A 66 anni compiuti sei mesi fa, egli è già stato tre volte senatore e una volta deputato, eletto in Piemonte per quanto nato a Milano. Si è anche fatto le ossa al governo prima come sottosegretario e poi come vice ministro dell’Economia, nell’ultimo governo guidato da Silvio Berlusconi, che se ne privò solo per mandarlo appunto alla presidenza della Consob.

Tra le fortune di Vegas ha assunto particolare importanza negli ultimi giorni, o ore, quella di essere italiano. Se fosse nato, cresciuto e fatto carriera amministrativa e politica negli Stati Uniti d’America, sarebbe finito nel tritacarne del sessismo, accusato o sospettato di molestie con improvvida fretta, per quel messaggino mandato la sera del 29 maggio 2014 all’avvenente Maria Elena Boschi, 33 anni compiuti cinque mesi prima e influente ministra delle Riforme e dei rapporti col Parlamento nel primo e sinora unico governo del segretario del Pd Matteo Renzi.

Certo, un messaggino telefonico non può essere scambiato per un reato e neppure per una indecenza, per carità. Neppure se era, come fu, un messaggino d’invito a passare la mattina dopo, alle ore 8, dalla casa dell’invitante. Poteva al massimo essere scambiato, come accadde all’invitata, per un messaggino “inusuale”: tanto da essere rifiutato ma conservato nella memoria del telefonino. Da dove l’allora ministra, ora sottosegretaria alla presidenza del Consiglio nel governo di Paolo Gentiloni, l’ha tirato fuori per documentare col massimo di trasparenza possibile, e perciò apprezzabile, i rapporti avuti col presidente della Consob. E lo ha fatto solo dopo un’audizione di Vegas nella commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche da cui le opposizioni hanno  ricavato la convinzione, pur smentita dallo stesso Vegas, che la signorina avesse fatto pressioni  su di lui per salvare la Banca Etruria in difficoltà, operante nel suo collegio elettorale. E con la banca anche il padre che ne era vice presidente, e risulta sottoposto ad una indagine giudiziaria dopo essere uscito indenne da un’altra sui crediti troppo facilmente concessi dall’istituto di credito aretino.

Quel messaggino “inusuale” è scivolato sui giornali italiani con una certa levità, neppure tanto compromessa da una vignetta vagamente, ma molto vagamente allusiva di Giannelli sulla prima pagina del Corriere della Sera. Per una volta la stampa tricolore si è rivelata giustamente migliore di quella a stelle e strisce, che avrebbe trattato il Vegas americano come vi lascio immaginare, visto quello che è accaduto e sta accadendo oltre Oceano nel campo delle relazioni umane, diciamo così. O no ?

Renzi chiede agli amici di lasciare Grasso alle cure di Crozza

Si sono diffuse nei corridoi parlamentari voci su un Matteo Renzi davvero di buon umore, a dispetto della rappresentazione mediatica che se ne fa per via delle polemiche riscatenatesi sull’affare Etruria-Boschi con l’audizione del presidente della Consob alla commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche.

            A ringalluzzire il segretario del Pd non sono sarebbero state tanto le notizie provenienti dal fronte giudiziario romano della Consip, dove sta emergendo sempre più chiaro il depistaggio delle indagini tentato contro di lui, quanto gli infortuni di Pietro Grasso. Il cui approdo alla guida dei Liberi e uguali era stato speso dagli scissionisti del Pd come un mezzo scacco matto sullo scacchiere elettorale proprio contro l’ex presidente del Consiglio.

            Insorti con dichiarazioni e quant’altro per la mancata rinuncia di Grasso alla presidenza del Senato dopo l’uscita assai polemica dal Pd e l’assunzione di un ruolo molto di parte, gli amici hanno avuto da Renzi l’invito a calmarsi per lasciare cuocere l’antagonista nel proprio brodo.

            Non hanno certamente giovato a Grasso quelle pur poche ore in cui sul sito internet del Senato la figura del presidente è rimasta affiancata al logo delle liste che lo hanno adottato come capo: un logo amaranto come la vecchia Topolino della Fiat entrata nelle canzoni e nella letteratura.

            Né hanno giovato a Grasso le indiscrezioni, comparse sui giornali, di un presidente della Repubblica imbarazzato, e persino tentato da un maggiore monitoraggio della propria salute, nel timore di doversi avvalere della supplenza del presidente del Senato nella campagna elettorale.

           Ma soprattutto a Grasso è capitato di finire tra le parrucche e i trucchi di Maurizio Crozza, che ne sta facendo impietose imitazioni televisive. Delle quali fecero le spese nella campagna elettorale del 2013 Antonio Ingroia e Pier Luigi Bersani.

            Ingroia, un altro ex magistrato approdato in politica come Grasso, non riuscì neppure ad affacciarsi al Parlamento con i suoi progetti di rivoluzione civile. Bersani uscì dalla campagna elettorale, in cui era entrato col vento che soffiava forte sulle sue vele, perdendosi per strada le spazzole messegli nelle mani da Crozza per pettinare le bambole grilline e smacchiare il giaguaro Silvio Berlusconi. Che per poco, ma assai poco, non riuscì addirittura a sorpassare col centrodestra la coalizione guidata dal segretario del Pd con la stessa allegria o spensieratezza di Achille Occhetto 19 anni prima, nel 1994.

 

 

Pubblicato da Il Dubbio

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