Morto a 96 anni di età, Ciro Cirillo ha involontariamente riproposto ai giornali che hanno avuto la voglia di ricordarla la vicenda del suo sequestro, il 27 aprile del 1981, ad opera delle brigate rosse di Giovanni Senzani.
Il sequestro dell’allora assessore regionale della Democrazia Cristiana ai lavori pubblici, già presidente della provincia di Napoli e della stessa Regione, amico personale e politico del potente Antonio Gava, durò la bellezza di 89 giorni: ben più dei 55 del sequestro del presidente della Dc Aldo Moro, avvenuto tre anni prima a Roma e conclusosi purtroppo con l’assassinio dell’ostaggio. Cirillo invece, rapito nel garage della sua abitazione a Torre del Greco, venne liberato all’alba del 24 luglio dopo il pagamento di quasi un miliardo e mezzo di lire. Ma soprattutto dopo una trattativa gestita dalla camorra di Raffaele Cutolo e dai servizi segreti con le inevitabili coperture politiche. Che furono quelle della Dc, dove Antonio Gava era decisivo per la sopravvivenza di qualsiasi segretario in carica. Fu naturalmente scandalo, non chiarito del tutto, quanto alle responsabilità, nelle indagini e nei processi. In verità, il capo dell’operazione terroristica, Giovanni Senzani, rimediò uno dei suoi ergastoli, tutti però conclusi -curiosamente- con la scarcerazione in vita, nonostante lui non si sia mai pentito dei suoi delitti e non abbia mai collaborato con la giustizia.
La vicenda Cirillo fu scandalosa sotto due punti di vista: l’una peggiore dell’altra. Innanzitutto, naturalmente, per la diversità di trattamento riservato dalle istituzioni per Moro, sacrificato sull’altare della cosiddetta linea della fermezza imposta dal Pci, subìta dalla Dc e inutilmente contestata all’interno dell’allora maggioranza di solidarietà nazionale dal partito socialista di Bettino Craxi. Cambiata la maggioranza, e tornato il Pci all’opposizione, cambiò anche la linea nella lotta al terrorismo, che tuttavia -bisogna ammettere anche questo- si concluse ugualmente con la sconfitta delle brigate rosse.
Il secondo aspetto, non so se più scandaloso o inquietante, del sequestro Cirillo fu la comprovata debolezza dello Stato in parti importanti del territorio nazionale.
Le brigate rosse, che si erano tenute lontane non a caso dalla Sicilia, dove il territorio era controllato dalla mafia, cui non sarebbero sfuggite le iniziative dei terroristi, si affacciarono invece imprudentemente in Campania, sottovalutando la presenza e la forza della camorra. Che, scoperto probabilmente il luogo di detenzione del sequestrato, assunse di fatto la gestione del sequestro e obbligò le brigate rosse e lo Stato, rispettivamente, a trattare e a pagare, ricavando vantaggi anche per se nella spartizione degli appalti nel settore dei lavori pubblici, di competenza proprio di Cirillo sino al sequestro.
Complimenti per l’ulteriore graffio, ascrivibile alla categoria degli interessi di chi segue dalla bella e martoriata Sicilia
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