La memoria corta di Bersani, Gotor ed Enrico Letta

         Miguel Gotor, che non è un torero, ma una senatore della Repubblica italiana, voluto e portato in Parlamento nel 2013 dall’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani, al seguito del quale è uscito nello scorso inverno dal partito non avendo potuto, con i suoi compagni, rovesciarne il segretario Matteo Renzi, è appena tornato a dichiarare che la sinistra deve essere “competitiva” col movimento di Beppe Grillo e “sfidante” nei riguardi del partito renziano.

         Qualche giorno prima Bersani in persona aveva spiegato, dal canto suo, che si fa male, sempre a sinistra, a compiacersi delle difficoltà politiche ed elettorali dei grillini perché quanto più perde voti il comico genovese, tanto più aumenta “la sfiducia” nel Paese. Ma sfiducia verso chi e che cosa? Verso la politica e la democrazia, sembra di capire dalle parole dell’uomo di Bettola, che d’altronde all’inizio di questa diciassettesima legislatura aveva inseguito l’appoggio di Grillo ad un suo governo “di minoranza e di combattimento”: un governo cioè quanto meno velleitario, se non rivoluzionario nel vero senso della parola. Ciò fece drizzare al povero presidente della Repubblica allora in carica, Giorgio Napolitano, anche i capelli che non ha, inducendolo a ritirargli l’incarico conferitogli di presidente del Consiglio. Facendo anzi sapere di non averglielo mai dato, essendosi trattato solo di un “pre-incarico”.

         Seguirono non a caso a quella decisione la rielezione dello stesso Napolitano al Quirinale, le dimissioni di Bersani anche da segretario del Pd e la formazione di un governo presieduto dal suo vice segretario Enrico Letta, della cui maggioranza fu chiamato a far parte anche Silvio Berlusconi. Di cui tuttavia dopo alcuni mesi il nuovo presidente del Consiglio, dichiarandosi neutrale nella controversia esplosa in Parlamento sulla materia, lasciò che si decidesse a scrutinio palese la decadenza del Senato in applicazione retroattiva della cosiddetta legge Severino, per effetto della condanna definitiva per frode fiscale comminata al presidente di Forza Italia dalla sezione feriale, cioè estiva, della Cassazione. Che era stata praticamente diffidata dalla Procura di Milano dal far decadere con l’imminente prescrizione il reato contestato all’allora Cavaliere.

         Tutto questo ricordo per rinfrescare la memoria a chi l’avesse perduta. E per osservare che Bersani e i suoi compagni sono veramente irriducibili. Preferiscono Grillo a Renzi, oltre che a Berlusconi.

         Enrico Letta, dal canto suo, preferisce offendersi per l’11 per cento e qualcosa raccolto nelle primarie di partito negli anni passati e rinfacciatogli da Renzi in questi giorni, piuttosto che difendersi dignitosamente, e autocriticamente, ricordando al segretario del Pd che quell’11 e rotti per cento contribuì poi a portare l’allora sindaco di Firenze alla segreteria del partito. Egli insomma preferì mettersi alla finestra sia per assistere alla decadenza di Berlusconi dal Senato, destinata a indebolire il suo governo, sia per assistere e assecondare la scalata di Renzi al vertice del Pd, destinata a detronizzarlo da Palazzo Chigi. Più sprovveduto, politicamente, non poteva rivelarsi l’ormai ex deputato, oltre che ex presidente del Consiglio.

La memoria corta di Bersani, Gotor ed Enrico Letta

         Miguel Gotor, che non è un torero, ma una senatore della Repubblica italiana, voluto e portato in Parlamento nel 2013 dall’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani, al seguito del quale è uscito nello scorso inverno dal partito non avendo potuto, con i suoi compagni, rovesciarne il segretario Matteo Renzi, è appena tornato a dichiarare che la sinistra deve essere “competitiva” col movimento di Beppe Grillo e “sfidante” nei riguardi del partito renziano.

         Qualche giorno prima Bersani in persona aveva spiegato, dal canto suo, che si fa male, sempre a sinistra, a compiacersi delle difficoltà politiche ed elettorali dei grillini perché quanto più perde voti il comico genovese, tanto più aumenta “la sfiducia” nel Paese. Ma sfiducia verso chi e che cosa? Verso la politica e la democrazia, sembra di capire dalle parole dell’uomo di Bettola, che d’altronde all’inizio di questa diciassettesima legislatura aveva inseguito l’appoggio di Grillo ad un suo governo “di minoranza e di combattimento”: un governo cioè quanto meno velleitario, se non rivoluzionario nel vero senso della parola. Ciò fece drizzare al povero presidente della Repubblica allora in carica, Giorgio Napolitano, anche i capelli che non ha, inducendolo a ritirargli l’incarico conferitogli di presidente del Consiglio. Facendo anzi sapere di non averglielo mai dato, essendosi trattato solo di un “pre-incarico”.

         Seguirono non a caso a quella decisione la rielezione dello stesso Napolitano al Quirinale, le dimissioni di Bersani anche da segretario del Pd e la formazione di un governo presieduto dal suo vice segretario Enrico Letta, della cui maggioranza fu chiamato a far parte anche Silvio Berlusconi. Di cui tuttavia dopo alcuni mesi il nuovo presidente del Consiglio, dichiarandosi neutrale nella controversia esplosa in Parlamento sulla materia, lasciò che si decidesse a scrutinio palese la decadenza del Senato in applicazione retroattiva della cosiddetta legge Severino, per effetto della condanna definitiva per frode fiscale comminata al presidente di Forza Italia dalla sezione feriale, cioè estiva, della Cassazione. Che era stata praticamente diffidata dalla Procura di Milano dal far decadere con l’imminente prescrizione il reato contestato all’allora Cavaliere.

         Tutto questo ricordo per rinfrescare la memoria a chi l’avesse perduta. E per osservare che Bersani e i suoi compagni sono veramente irriducibili. Preferiscono Grillo a Renzi, oltre che a Berlusconi.

         Enrico Letta, dal canto suo, preferisce offendersi per l’11 per cento e qualcosa raccolto nelle primarie di partito negli anni passati e rinfacciatogli da Renzi in questi giorni, piuttosto che difendersi dignitosamente, e autocriticamente, ricordando al segretario del Pd che quell’11 e rotti per cento contribuì poi a portare l’allora sindaco di Firenze alla segreteria del partito. Egli insomma preferì mettersi alla finestra sia per assistere alla decadenza di Berlusconi dal Senato, destinata a indebolire il suo governo, sia per assistere e assecondare la scalata di Renzi al vertice del Pd, destinata a detronizzarlo da Palazzo Chigi. Più sprovveduto, politicamente, non poteva rivelarsi l’ormai ex deputato, oltre che ex presidente del Consiglio.

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