Di solito cortese e dotto, il presidente emerito della Corte Costituzionale non lo è stato per niente bacchettando il Senato per il diniego opposto alla decadenza parlamentare di Augusto Minzolini, dopo che la Cassazione lo aveva condannato nel mese di novembre del 2015 per peculato ai danni della Rai a due anni e mezzo di reclusione, per quanto assolto in sede civile e di Corte dei Conti. Anche questo va detto quando si discute di questa condanna per dare e rendersi conto di come viene amministrata la giustizia nel nostro sfortunatissimo Paese. Che sarà pure la patria del diritto, ma non del buon senso, per cui anche il diritto non ci fa una bella figura.
“Vi è da dubitare -ha scritto il professore Onida su 24 Ore- che i senatori che hanno votato contro la decadenza di Minzolini abbiano letto davvero la lunga e motivata relazione con cui la giunta delle elezioni aveva escluso che si potesse esimersi dal dichiarare la decadenza”.
A parte il fatto che il professore Onida forse non sa che l’autrice di quella relazione era tanto poco convinta, evidentemente, che fosse inattaccabile da avere poi augurato in privato a Minzolini di avere ragione lui e non lei nella votazione, mi chiedo che cosa autorizzi un pur presidente emerito della Corte Costituzionale a dubitare della diligenza dei senatori che si sono trovati a dissentire da lui: la diligenza, appunto, di “avere letto davvero” gli atti parlamentari.
Hanno votato a favore di Minzolini, la sera del 16 marzo, senatori come Pietro Ichino e Massimo Mucchetti, per non parlare di altri, che avrebbero tutto il diritto, per esperienza e professione, di chiedere a Onida, come si fa in queste occasioni: “Ma Lei come si permette?”. E questo per parlare solo dei senatori del Pd che in libertà di coscienza hanno votato a favore del loro collega di altra parte politica, senza tener conto della esperienza giuridica dei parlamentari colleghi di partito, di gruppo o di area dell’ex direttore del Tg 1.
Ma oltre alla relazione della giunta, e relativi atti, il professore Onida ha contestato ai senatori risultati in maggioranza di avere letto bene, e quindi di conoscere, la Costituzione. Per cui ci sarebbe da chiedergli un’altra volta come si permette di spingere a tanto i suoi dubbi.
D’altronde, non ci vuole molta scienza e dottrina per leggere e capire le poche parole di quell’articolo della Costituzione che Onida ha accusato la maggioranza del Senato di ignorare o aver voluto violare. “Ciascuna Camera -dice l’articolo 66- giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”.
Ebbene, con buona pace della dottrina e della cortesia del presidente emerito della Corte Costituzionale, giudicare non significa né ratificare né prendere atto di una sentenza giudiziaria, e dell’applicazione che se ne vorrebbe col richiamo ad una legge -quella Severino- che a sua volta si rifà all’articolo 66 della Costituzione, non avendo mai avuto evidentemente la pretesa di sovrapporvisi.
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