Di male in peggio per il ministro renziano Graziano Delrio dopo l’intervista a Repubblica di protesta contro “l’errore” che sarebbe stato commesso dal capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda, lasciando libertà di voto, per ragioni di coscienza, sulla decadenza del forzista Augusto Minzolini da parlamentare, essendo stato condannato 17 mesi fa in via definitiva a più di due anni -due anni e mezzo- per peculato ai danni della Rai.
Zanda, pur risparmiandosi una risposta in prima persona per non aggravare la questione, specie in piena campagna congressuale, e dopo avere garantito l’appoggio a Renzi rimasto per un po’ incerto, ha affidato agli amici della stessa Repubblica i propri argomenti di difesa.
Innanzitutto si è appreso che quella di lasciare liberi i senatori del Pd di votare su Minzolini come volevano non è stata una decisione personale di Zanda, ma una valutazione espressa dal comitato direttivo del gruppo. Ed espressa all’unanimità, con l’assenso anche dell’esponente della corrente o area renziana. Area alla quale peraltro appartengono ben 15 dei senatori piddini che poi in aula hanno consentito a Minzolini di sottrarsi all’applicazione retroattiva della legge Severino, scattata invece nell’autunno del 2013 contro Silvio Berlusconi, quando il gruppo non fu liberato dalla disciplina. E non lo fu -aggiungo io- per la indisponibilità espressa, fuori dal Parlamento ma nel Pd, da Matteo Renzi, impegnato allora nella scalata alla segreteria del partito.
Resta da capire, dopo le reazioni sia pure indirette di Zanda, se Delrio abbia davvero protestato contro l’aiuto a Minzolini a nome e per conto anche di Renzi. E per quale motivo, in questo caso, l’ex presidente del Consiglio abbia voluto assumere una simile posizione complicando il già difficile e teso dibattito interno al partito per le primarie congressuali di fine aprile.
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