Angelino Alfano cambia insegna, più che identità

E’ dunque fatta. Dopo circa tre anni e mezzo dalla fondazione, nel 2013,  Angelino Alfano, che nel frattempo da vice presidente del Consiglio è rimasto ministro dell’Interno e poi ministro degli Esteri passando per tre capi di governo, da Enrico Letta a Matteo Renzi e da Matteo Renzi a Paolo Gentiloni, ha sciolto il suo Nuovo Centro Destra per sostituirlo con Alternativa Popolare.

         Con questo nuovo nome l’ex delfino di Silvio Berlusconi, che dalla mattina alla sera gli tolse il famoso quid necessario per succedergli davvero, mira a guadagnare alla sua causa centrista personalità e gruppi che mai avrebbe potuto attirare continuando a tenere la destra nel nome del suo partito.

Si è tempestivamente prenotato, a questo proposito, Marco Follini, già segretario dell’Udc creata da Pier Fernando Casini, già senatore del Pd, ora dichiaratamente convinto che si torni finalmente a respirare davvero aria democristiana. Lo ha detto in una intervista al Corriere della Sera parlando proprio dell’interesse suscitatogli dall’iniziativa di Alfano e assicurando di voler fare “l’allenatore”, piuttosto che “illudersi di calciare un rigore”.

L’adesione annunciata da Follini aiuta a capire che le distanze di Alfano da Berlusconi sono destinate ad aumentare, anziché ridursi, essendo stato proprio Follini l’alleato più recalcitrante di Berlusconi negli anni del centrodestra al governo. Ne fu persino per un po’ vice presidente del Consiglio, ma solo per diventarne più diffidente. E alla fine per rompere, lasciando anche Casini perché indugiava a rompere davvero pure lui.

D’altronde, Berlusconi non aveva alcuna voglia di raccordarsi con Alfano quando era in maggiori difficoltà di oggi. Figuriamoci adesso che il presidente di Forza Italia ritiene di avere carte da giocare col ritorno al sistema elettorale proporzionale e con l’allentamento della presa della cosiddetta legge Severino. Che gli ha tolto il seggio al Senato e la candidabilità, ma che è stata appena beffeggiata a Palazzo Madama col caso Minzolini, giudiziariamente analogo a quello del suo amico e presidente di partito.

Con Alternativa Popolare, e il combinato disposto -si potrebbe dire- proprio del ritorno al sistema proporzionale, Alfano ritiene di potersi proporre meglio come alleato del Pd anche dopo le prossime elezioni, quando il partito che sta per tornare sotto la guida di Matteo Renzi dovrà allestire una coalizione di governo. E anche quelli che sono rimasti nel Pd, rifiutando la scissione da sinistra realizzata da Pier Luigi Bersani e da Massimo D’Alema, non vorrebbero estendere a destra nella nuova legislatura, oltre la linea di confine di centro, l’area di governo.

Di centro, e dichiaratamente “non di destra”, si sente e si proclama notoriamente anche Berlusconi. Che tuttavia riesce solo a borbottare, non a rompere con il leghismo lepenista di Matteo Salvini e con “l’appendice” -come la chiama Gianfranco Fini- della destra di Giorgia Meloni. Così egli rischia di avere sì molti più voti di Alfano, ma di non poterli investire politicamente.

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