L’avvocato Antonio Ingroia, già magistrato alla Procura di Palermo, dalle cui indagini è derivato il processo in corso da tempo sulle presunte trattative fra lo Stato e la mafia nella stagione stragista del 1992 e 1993, già collaboratore dell’Onu in Guatemala, già sfortunato candidato alla presidenza del Consiglio nelle elezioni politiche del 2013, ha esposto in un articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano -e da chi sennò?- le ragioni per le quali ritiene infondate le accuse di peculato rivoltegli dagli ex colleghi isolani per rimborsi spese e indennità percepite come amministratore unico dell’ente regionale Sicilia e Servizi.
Spero francamente per lui ch’egli abbia esposto le sue ragioni ai magistrati che lo hanno già interrogato meglio di quanto gli sia riuscito nell’articolo perché a leggerlo, confesso, non ci ho capito molto. E Indro Montanelli mi insegnava che quando c’è un articolo non sufficientemente chiaro al lattaio che lo legge, la colpa non è mai del lattaio ma di chi l’ha scritto. Chissà poi perché Montanelli preferiva il lattaio come lettore cavia.
Ho comunque ricavato l’impressione che si producano troppe leggi e in troppo poco tempo perché possano essere applicate bene, come quelle in forza delle quali Ingroia ha riscosso indennità di rendimento, o simile, che alla Procura palermitana sono apparse indebite.
Ma, a parte l’articolo affidato al Fatto Quotidiano, ho trovato particolarmente sorprendente lo stupore polemicamente espresso in altre sedi dall’avvocato Ingroia per la tempestività e l’intensità con le quali i cronisti giudiziari erano stati informati dell’interrogatorio subìto negli uffici della Procura, senza che lui ne avesse parlato con alcuno.
Insomma, anche Ingroia ha potuto toccare con mano quanto poco si custodiscano i segreti negli uffici per tanti anni da lui frequentati in veste non di indagato ma di inquirente. Meglio tardi che mai, si potrebbe dire.
Eppure non sono riuscito a dimenticare il volto stupìto di Ingroia quando gli vennero lette o riferite alcune dichiarazioni polemiche sulla tenuta degli uffici giudiziari di Palermo rilasciate dall’ex presidente della Camera Luciano Violante. Che proprio Ingroia voleva interrogare a proposito delle presunte trattative fra lo Stato e la mafia, mentre lo stesso Violante presiedeva la commissione parlamentare antimafia. Dalla cui postazione gli inquirenti ritenevano evidentemente che egli avesse potuto sapere o intuire qualcosa, anche perché l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, contattato allora dai servizi segreti nella sua abitazione romana e padre di un teste a lungo ritenuto poi credibile dallo stesso Ingroia, si era offerto a deporre davanti alla commissione bicamerale.
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