Belpietro incalza Feltri per gli Angelucci di Libero

Maurizio Belpietro ha reagito con la prontezza e il piglio abituali al rimprovero fattogli dal collega Vittorio Feltri di essere stato finanziato, sia pure inconsapevolmente, anche da Alfredo Romeo – l’imprenditore arrestato per le indagini sugli appalti della Consip- nell’avventura editoriale della Verità. Che è il quotidiano fondato dallo stesso Belpietro l’anno scorso, dopo essere stato clamorosamente allontanato dalla direzione di Libero per una dose di antirenzismo non condivisa dall’editore Antonio Angelucci, deputato del centrodestra e imprenditore del settore ospedaliero: costretto per mestiere, diciamo così, a dipendere dalle convenzioni e, più in generale, dai rapporti con la pubblica amministrazione.

La prima cosa che Belpietro non ha perdonato a Feltri è di avere adoperato la sigla L per firmare il suo attacco, rigorosamente in prima pagina su Libero, dove lo stesso Feltri è tornato -sempre l’anno scorso- per sostituire proprio l’ormai ex amico Maurizio, sia pure con le funzioni di direttore editoriale, meno rischiose del direttore responsabile.

Costretto pertanto a pendersela con “l’Anonimo”, pur avendo cognizione precisa del suo interlocutore, Belpietro ha avuto gioco sin troppo facile a rimproverare a Feltri di non avere letto con la dovuta attenzione le mille e più pagine -pensate un pò- uscite da tempo, legalmente o illegalmente, dagli uffici giudiziari. Fra le quali egli ha trovato notizia dei soldi arrivati alla Verità da Alfredo Romeo tramite una Fondazione culturale individuata dal suo consulente Italo Bocchino, già deputato fedelissimo di Gianfranco Fini.

Se avesse voluto, gli ha praticamente rinfacciato Belpietro, il direttore editoriale di Libero avrebbe potuto trovare anche notizie utili a farsi un’idea precisa del proprio editore, impegnato in un settore -ripeto- in cui non può fare a meno di fare i conti con i governi nazionali o regionali del momento.

La differenza di cui, sotto sotto, ma neppure tanto, Belpietro si è vantato rispetto a Feltri è che alla Verità egli ha potuto dalla mattina alla sera intimare all’amico della Fondazione usata da Adolfo Romeo di uscire dalla combinazione editoriale senza subire danni, data l’esiguità della partecipazione, valutata attorno ai 50 mila euro. Vittorio Feltri a Libero non potrebbe invece fare a meno degli amici Angelucci per lavorare. E soprattutto -aggiungo io, all’età che ha, con la pensione che percepisce e con i soldi che ha potuto mettere da parte in una lunga e ben remunerata carriera- per divertirsi a scrivere ciò che scrive, a volte sfidando anche il conformismo universale., se non vogliano parlare di buon gusto. Come il direttore editoriale di Libero ha fatto di recente con quella storia della “patata bollente” infilata nel suo articolo, e sparata a caratteri di scatola sulla prima pagina del giornale, a proposito dei problemi non tutti politici e amministrativi della sindaca grillina di Roma Virginia Raggi.

Quello sollevato da Belpietro, al netto dei rapporti personali fra lui e il suo peraltro ex direttore, alla cui scuola si è formato, è un problema reale, di cui il nostro Paese è forse tra i ricettacoli maggiori. E’ il problema dei cosiddetti editori impuri. Che fondano o acquistano giornali, ma spesso li chiudono anche, non per guadagnare o campare solo di questi ma per usarli come veicoli sui quali percorrere altre strade, fare altri affari, scalare altre vette.

Ho lavorato anch’io in alcuni di questi giornali. E’ assai difficile trovarne di diversi. Potrei raccontarvi un’infinità di episodi, oltre a quello già riferitovi sul Dubbio della volta in cui Silvio Berlusconi mi telefonò terrorizzato per un attacco di bile e di minacce che Indro Montanelli aveva appena procurato all’allora segretario della Dc con uno dei suoi controcorrente. Non credo tuttavia che noi giornalisti possiamo cercare o sognare l’editore “puro” solo attaccandoci o addirittura insultandoci.

 

Pubblicato su Il Dubbio

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