Tutti ad occuparsi, o preoccuparsi, secondo gusti e convenienze, dell’imbarazzo procurato da Beppe Grillo al suo MoVimento -vecchio o nuovo che sia, restaurato o rifondato da Giuseppe Conte- col video-shok sulla vicenda giudiziaria del figlio Ciro e dei tre amici sotto indagini giudiziarie per un presunto stupro di gruppo nell’estate di due anni fa in Sardegna.

Pochi, fra i quali Davide Varì, ad occuparsi del processo mediatico attribuito dal comico genovese ad una stampa una volta tanto però contenuta nelle sue perverse abitudini, perché la quantità degli articoli pubblicati sulla vicenda è stata modesta, e per niente traducibile nella rappresentazione denunciata da Grillo del figlio stupratore “seriale”. Se si intendono per serie più fatti presunti contro più persone in più occasioni e non più fatti, sempre presunti, contro la stessa persona in una sola circostanza.
Nessuno, dico proprio nessuno, neppure fra quanti hanno solidarizzato, fra i suoi, con Grillo “uomo” e “padre”, si è occupato e preoccupato dei danni che con la sua disinibita prestazione di genitore e difensore egli ha potuto procurare al figlio buttando praticamente tutta la vicenda in politica, pur senza mai nominarla. L’ha buttata in politica, a sua stessa insaputa, dimenticando di essere un leader, per giunta più leader di un capo partito o movimento in quanto sopra di lui come “garante”, “elevato” e quant’altro, quando si è messo a giudicare tempi e modi delle indagini: per esempio, interpretando come legittima aspirazione all’archiviazione la rinuncia degli inquirenti e dei giudici all’arresto, magari solo domiciliare, dei giovani sotto indagine. Addirittura, se lo avessero disposto, Grillo avrebbe collaborato all’esecuzione dell’ordine spingendo a “calci in culo” suo figlio verso il carcere o la stanzetta destinatagli nell’abitazione.

Se fossi stato il figlio, sarei stato quanto meno tentato di irrompere nella sua postazione video e gli avrei tolto microfono, telecamera e quant’altro per evitare o contenere i danni di una simile prestazione para-forense. Avrei pensato, per esempio, alla situazione incresciosa in cui mio padre stava mettendo il pubblico ministero e il giudice delle indagini preliminari a Tempio Pausania, esponendoli ai rischi, non solo quale più spiacevole dell’altro, di dover decidere a dispetto o su intimidazione.
Nella sua intemerata neppure garantista, con quella invocazione alle manette, Grillo ha buttato in caciara politica tutta la vicenda come uno qualsiasi dei personaggi che lui personalmente e i suoi sono soliti prendere di mira nelle loro esibizioni da giustizialisti. Ha fatto come un Formigoni qualsiasi, un Cosentino qualsiasi, un Pomicino qualsiasi, un Berlusconi qualsiasi, mi spingerei a dire senza spingermi a dargli anche dello “psiconano”.
Di una cosa comunque do atto volentieri a Grillo nella sua improvvida iniziativa: di averci risparmiato, come ciliegina sulla torta, dopo la colpa rimproverata alla presunta vittima di avere denunciato con otto giorni di ritardo sospetto l’accaduto, la contestazione dell’avvocato che la giovane ha assunto a sua difesa. Che è l’ex ministra leghista, quindi avversaria politica Giulia Bongiorno, per quanto leghisti e pentastellati si siano appena ritrovati insieme nello stesso governo e nella stessa maggioranza, come ai tempi del Conte numero uno. Consentitemi, a conclusione di queste riflessioni, di esprimere i brividi che, senza volerlo, hanno percorso la mia schiena a pensare che per un bel pò di tempo, per quasi metà di questa specialissima legislatura, ad un movimento politico della cultura, delle abitudini, della sensibilità e non so cos’altro di quello fondato da Grillo, e tuttora da lui “garantito”, sia capitata la sorte di dirigere il Ministero della Giustizia. Col cui titolare, Alfonso Bonafede, ebbi l’occasione di scontarmi, quando era semplice deputato o portavoce, come amano chiamarsi gli eletti nelle liste delle 5 Stelle, per avere individuato durante una trasmissione televisiva nei giornalisti parlamentari, particolarmente quelli pensionati, la “lobby” più attiva nelle Camere in difesa dei vari interessi all’assalto di ogni legge di bilancio. Quando, presentandomi con la dovuta cortesia, glielo contestai mi sentii rispondere che non si sarebbe lasciata scappare occasione per ribadirlo. Spero, per quanto labilmente, ch’egli abbia cambiato idea, visto anche che nel frattempo, per la sopraggiunta pandemia, sbarcati dal famoso “Transatlantico” di Montecitorio, siamo un po’ diventati animali da cortile del palazzo, o corridoi.
Pubblicato sul Dubbio
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