Il movimento grillino affondato prima che Conte potesse rifondarlo

            Per una volta mi sento di spendere una parola in difesa di Giuseppe Conte da quel “ruggito del coniglio” col quale il Riformista ha voluto liquidare il dissenso espresso dall’ex presidente del Consiglio di fronte all’incredibile uscita di Beppe Grillo contro magistrati e giornali. Che avrebbero trasformato il figlio Ciro da indagato a “stupratore seriale” per una notte, diciamo così, sfortunata di quasi due anni fa in Sardegna con tre amici.

            Che cosa poteva fare di più l’ex presidente del Consiglio dopo avere praticamente solidarizzato con la presunta vittima dello stupro, allo stato delle indagini, pur nel contesto di una comprensione espressa per un padre che dà in escandescenze contro un figlio “coglione”?  Che lo stesso Grillo ha ammesso di aver voluto e potuto spingere “a calci in culo” in galera o chiudere a chiave in casa se gli inquirenti  ne avessero disposto l’arresto a suo tempo, anziché prendersela con comodo e alimentare la convinzione, o speranza, del padre che il figliolo e gli amici non l’avessero fatta così grossa come raccontato e denunciato dalla presunta vittima dello stupro.

            Certo, Conte avrebbe potuto sin da ieri trarre le conseguenze da quel dissenso rinunciando all’incarico affidatogli da Grillo in persona di rifondare e capeggiare il MoVimento 5 Stelle in crisi dichiarata d’identità. Che equivale ad uno stato confusionale nel quale si inserisce coerentemente anche la sortita di Grillo, del quale è quanto mai esagerato scrivere, come si fa ancora da qualche parte, come del “leader spirituale” di una forza politica che dal 2018, per quanto abbia perduto un bel po’ di deputati e senatori per strada, è ancora la più rappresentata in Parlamento. Dove non a caso in meno di tre anni si sono succedute maggioranze non diverse ma opposte: con i grillini prima alleati con la Lega, poi col Pd contro la Lega e infine rimasti al governo con Lega e Pd insieme, più Forza Italia di Silvio Berlusconi e cespugli vari di sinistra e di centro.

            Ma la rinuncia all’incarico ricevuto da Grillo, o concessogli da Grillo per disperazione politica, prima che diventasse disperazione anche d’altro tipo per vicende familiari all’esame della magistratura, probabilmente destinate a sfociare in un processo che avrà il suo percorso, con tutte le deviazioni e sovrapposizione mediatiche consentite dai grillini nella loro azione di governo; la rinuncia di Conte, dicevo, all’incarico di rifondatore e capo di un MoVimento intanto già affondato dal suo fondatore è nelle cose. Prima o dopo verrà anch’essa, la rinuncia cioè, avendo peraltro già provveduto l’ex presidente del Consiglio a mantenersi ben stretta la cattedra universitaria di Firenze ripresa dopo la fine della sua esperienza di governo.

            Se non succederà, se cioè Conte dovesse continuare nel suo tentativo rifondatore di una cosa affondata dal fondatore -scusate il bisticcio continuo delle parole- sarà peggio per lui. La sua posizione in questo caso sarà come quella penosa dei comunisti e loro amici che all’arrivo della perestroika, glashnot e quant’altro di Michail Gorbaciov si illusero che il comunismo potesse essere riformabile o rifondabile. Si è visto come è finito: come aveva previsto a Mosca l’allora ambasciatore Sergio Romano rimettendoci il posto per non essere riuscito a convincere della sua opinione l’allora presidente del Consiglio italiano Ciriaco De Mita, giuntovi in visita ufficiale con la speranza che si potesse aprire per il comunismo una nuova stagione.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Beppe Grillo l’ha fatta grossa e non vuole neppure cercare di coprirla

Tutti ad occuparsi, o preoccuparsi, secondo gusti e convenienze, dell’imbarazzo procurato da Beppe Grillo al suo MoVimento -vecchio o nuovo che sia, restaurato o rifondato da Giuseppe Conte- col video-shok sulla vicenda giudiziaria del figlio Ciro e dei tre amici sotto indagini giudiziarie per un presunto stupro di gruppo nell’estate di due anni fa in Sardegna.

Pochi, fra i quali Davide Varì, ad occuparsi del processo mediatico attribuito dal comico genovese ad una stampa una volta tanto però contenuta nelle sue perverse abitudini, perché la quantità degli articoli pubblicati sulla vicenda è stata modesta, e per niente traducibile nella rappresentazione denunciata da Grillo del figlio stupratore “seriale”. Se si intendono per serie più fatti presunti contro più persone in più occasioni e non più fatti, sempre presunti, contro la stessa persona  in una sola circostanza.

Nessuno, dico proprio nessuno, neppure fra quanti hanno solidarizzato, fra i suoi, con Grillo “uomo” e “padre”, si è occupato e preoccupato dei danni che con la sua disinibita prestazione di genitore e difensore egli ha potuto procurare al figlio buttando praticamente tutta la vicenda in politica, pur senza  mai nominarla. L’ha buttata in politica, a sua stessa insaputa, dimenticando di essere un leader, per giunta più leader di un capo partito o movimento in quanto sopra di lui come “garante”, “elevato” e quant’altro, quando si è messo a giudicare tempi e modi delle indagini: per esempio, interpretando come legittima aspirazione all’archiviazione la rinuncia degli inquirenti e dei giudici all’arresto, magari solo domiciliare, dei giovani sotto indagine. Addirittura, se lo avessero disposto, Grillo avrebbe collaborato all’esecuzione dell’ordine spingendo a “calci in culo” suo figlio verso il carcere o la stanzetta destinatagli nell’abitazione.

Se fossi stato il figlio, sarei stato quanto meno tentato di irrompere nella sua postazione video e gli avrei tolto microfono, telecamera e quant’altro per evitare o contenere i danni di una simile prestazione para-forense. Avrei pensato, per esempio, alla situazione incresciosa in cui mio padre stava mettendo il pubblico ministero e il giudice delle indagini preliminari a Tempio Pausania, esponendoli ai rischi, non solo quale più spiacevole dell’altro, di dover decidere a dispetto o su intimidazione.

Nella sua intemerata neppure garantista, con quella invocazione alle manette, Grillo ha buttato in caciara politica tutta la vicenda come uno qualsiasi dei personaggi che lui personalmente e i suoi sono soliti prendere di mira nelle loro esibizioni da giustizialisti. Ha fatto come un Formigoni qualsiasi, un Cosentino qualsiasi, un Pomicino qualsiasi, un Berlusconi qualsiasi, mi spingerei a dire senza spingermi a dargli anche dello “psiconano”.

Di una cosa comunque do atto volentieri a Grillo nella sua improvvida iniziativa: di averci risparmiato, come ciliegina sulla torta, dopo la colpa rimproverata alla presunta vittima di avere denunciato con otto giorni di ritardo sospetto l’accaduto, la contestazione dell’avvocato che la giovane ha assunto a sua difesa. Che è l’ex ministra leghista, quindi avversaria politica Giulia Bongiorno, per quanto leghisti e pentastellati si siano appena ritrovati insieme nello stesso governo e nella stessa maggioranza, come ai tempi del Conte numero uno.   Consentitemi, a conclusione di queste riflessioni, di esprimere i brividi che, senza volerlo, hanno percorso la mia schiena a pensare che per un bel pò di tempo, per quasi metà di questa specialissima legislatura, ad un movimento politico della cultura, delle abitudini, della sensibilità e non so cos’altro di quello fondato da Grillo, e tuttora da lui “garantito”, sia capitata la sorte di dirigere il Ministero della Giustizia. Col cui titolare, Alfonso Bonafede, ebbi l’occasione di scontarmi, quando era semplice deputato o portavoce, come amano chiamarsi gli eletti nelle liste delle 5 Stelle, per avere individuato durante una trasmissione televisiva nei giornalisti parlamentari, particolarmente quelli pensionati, la “lobby” più attiva nelle Camere in difesa dei vari interessi all’assalto di ogni legge di bilancio. Quando, presentandomi con la dovuta cortesia, glielo contestai mi sentii rispondere che non si sarebbe lasciata scappare occasione per ribadirlo. Spero, per quanto labilmente, ch’egli abbia cambiato idea, visto anche che nel frattempo, per la sopraggiunta pandemia, sbarcati dal famoso “Transatlantico” di Montecitorio, siamo un po’ diventati animali da cortile del palazzo, o corridoi.

Pubblicato sul Dubbio

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