Neppure lo spionaggio riesce più ad essere una cosa seria…

            Scusatemi, ma non riesco né a indignarmi né a preoccuparmi per questa storia di spionaggio che per qualche ora -non di più, per fortuna- ha sovrastato quella più seria della pandemia o -come ha titolato un giornale- dell’”Europa in ginocchio da Putin” per ottenere un po’ del vaccino dal nome sovietico dello Sputnik. E’ lo stesso Putin al quale, con la forza dei “bicipiti gonfi” del giovane ministro degli Esteri Luigi Di Maio ironicamente rivelatici da Mattia Feltri sulla Stampa,  abbiamo rimandato indietro due spie russe. Che a Spinaceto, senza travestirsi da preti come sarebbe avvenuto  all’ombra del Cupolone, pagavano 5000 euro l’uno i documenti digitali contenenti chissà quali e quanti segreti della Nato e  consegnati  da un capitano italiano di fregata. Da cui si spera, per il grado della sua uniforme, siano state passate solo fregature ai suoi clienti.

            Ma più dei gradi, scusatemi anche questa ironia, mi fa sorridere il cognome del capitano arrestato: Biot, Walter Biot. Che non è uno pseudonimo del celebre James Bond, d’altronde ormai fuori tempo. Delle due l’una: o è un discendente alla larga di un omonimo scienziato francese vissuto fra il 1774 e il 1862, morto quindi alla straordinaria età, per quei tempi, di 88 anni, che sono tanti anche per noi di questo 2021, o è un simulatore elettrico, essendo il BIOT, tutto maiuscolo, l’unità di misura dell’intensità di corrente elettrica pari a 10 ampere.

            Tutta questa storia che mi sembra, più che di spie vere, da vignetta del tipo di quella di Sergio Staino sulla prima pagina della Stampa, già citata per i bicipiti di Di Maio, rischia di tradursi in una boutade diplomatica e militare se fosse vera la poca rilevanza, o addirittura la inconsistenza, dei segreti venduti del resto non a caso a così buon mercato in quel di Spinaceto: poca rilevanza o inconsistenza anticipata da “ambienti” della Nato anche per le postazioni modeste di accesso dell’ufficiale italiano in difficoltà economiche, piuttosto che in crisi di coscienza politica. Se davvero le pen drive passate dal capitano di fregatura, più che di fregata, sono state un po’ farlocche, più da banchetti di Porta Portese che da spacci di spie, c’è da preoccuparsi solo per la figuraccia che rischiamo al Dipartimento di Stato, Pentagono, Casa Bianca e dintorni. Dove, secondo gli immancabili retroscenisti di casa nostra, il ministro italiano dai gonfi bicipiti avrebbe voluto mandare un segnale rasserenante di vigilanza e insieme di lealtà atlantica per dissipare i dubbi che possono procurare oltre Oceano le perduranti simpatie per i cinesi da parte di Beppe Grillo. Il cui movimento è notoriamente a pezzi, tanto da essere stato affidato a Giuseppe Conte come ad un meccanico, ma rimane ancora -ahimè- il più rappresentato, e quindi centrale, del Parlamento italiano.

            Gira e rigira, ripeto, questa storia non mi sembra seria. Non quanto, comunque, quella di non ho capito quanti milioni di mascherine fallate, e quindi fasulle, siamo riusciti ad acquistare dalla Cina, o la Cina è riuscita a rifilarci, per proteggerci dalla guerra dichiarataci e condotta spietatamente dal Covid 19  quando non c’erano ancora i vaccini. E spero che non sia un affare vero di spionaggio, cioè di sabotaggio, essendo partito il Covid da quelle parti.  

Ripreso da http://www.starttmag.it e http://www.policymakermag.it

In attesa di un rimorso improbabile di Caselli su Andreotti

Se fosse vero, come mi auguro, che la direttiva europea appena approvata alla Camera sulla presunzione d’innocenza, già stabilita del resto nella nostra Costituzione almeno a parole, dovrà tradursi, come ha detto il deputato Enrico Costa contestando la versione minimalistica datane dai grillini, segnerà la fine dei processi mediatici, delle conferenze stampa dei pubblici ministeri e dei nomi dati enfaticamente a certe indagini, come le famose “mani pulite” di una trentina d’anni fa contro tutte le mani presuntivamente sporche dei politici che capitavano sotto tiro; se fosse vero tutto questo, ripeto, dovrei tirare finalmente un sospiro di sollievo. E non unirmi allo scetticismo di chi ha già dubitato che la direttiva, per quanti sforzi si possano attendere da una ministra della Giustizia garantista come Marta Cartabia, non si tradurrà mai, o si tradurrà chissà quando, in qualche disposizione concreta che punisca i recidivi. I quali vanno intesi naturalmente come magistrati votati, destinati e quan’altro a proseguire in certe abitudini. Ma temo di non farcela a coltivare l’ottimismo della volontà piuttosto che il pessimismo della ragione, come pure esortava a fare lo sfortunato Antonio Gramsci.

            Nel mio pessimismo della ragione fatico anche a immaginare, di fronte al voto della Camera e ciò che ne potrà seguire, il rimorso di qualcuno dei magistrati appena glorificati sulle prime pagine di molti giornali nella pregustazione della condanna degli imputati a carico dei quali si è appena aperto un processo santificato anche dalle telecamere della televisione di Stato. Non faccio nomi perché anche in questo caso, come in altri qui lamentati, non è problema di nomi ma di metodo, essendosi già viste e sentite storie del genere di quelle denunciate e ottimisticamente date per finite dal deputato Costa.

            Un nome però permettetemi di farlo per lamentarmi di certe pratiche non proprio compatibili con la direttiva europea, in particolare con quella parte in cui si vieta di considerare colpevole una persona sulla quale sono state espresse nelle competenti sedi “decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza”. Ne faccio il nome- che è quello di Gian Carlo Caselli- per la grande stima che ne ho, a parte il dissenso su ciò che tornerò fra poco a contestargli, e per il coraggio col quale egli ha trattato nell’esercizio delle sue funzioni fenomeni terribili come il terrorismo prima e la mafia poi.

            Ebbene, da Caselli mi aspetto prima o poi, proprio per la stima che gli confermo, un po’ di rimorso per l’insistenza con la quale -polemizzando con chiunque parlasse o scrivesse dell’assoluzione definitiva, in Cassazione, di Giulio Andreotti dai reati di mafia contestatigli, a dispetto anche di quel decreto legge a rischio di illegittimità costituzionale con cui aveva rimandato in galera mafiosi che ne erano usciti per cosiddetta decorrenza dei termini della loro custodia “cautelare”- ha tante volte sostenuto la colpevolezza, invece, dell’ex presidente del Consiglio. Il quale sarebbe stato assolto solo per i fatti successivi -se non ricordo male- al 1980, risultando provati, secondo lui, ma prescritti i fatti o i rapporti precedenti con esponenti della mafia.

            Mi è dispiaciuto, ripeto, per la stima che ho di Caselli e non solo per essere stato fra i giornalisti con i quali lui ha polemizzato, ch’egli abbia continuato a sostenere la tesi dell’assoluzione praticamente a metà anche dopo che gli avvocati difensori dell’ancor vivo ex imputato gli risposero educatamente una volta riportando un virgolettato della voluminosa sentenza della Cassazione. In esso si riconosceva pari credibilità, cioè nulla ai fini di un giudizio finale, sia a una lettura colpevolista dei fatti e rapporti antecedenti il 1980 sia a quella innocentista.

            Ricordo con rammarico, a dir poco, il rifiuto oppostomi dal direttore del giornale sul quale si era svolta la polemica con l’ex capo della Procura di Palermo alla richiesta di replicare ai suoi ragionamenti con quel richiamo degli avvocati di Andreotti, che erano notoriamente Franco Coppi e Giulia Buongiorno. Quel rifiuto mi fu motivato pressappoco così: non voglio chiudere questa polemica senza lasciare l’ultima parola a Caselli, cui però, negando la mia risposta, egli curiosamente non concedeva neppure la replica. Alla quale certamente io non mi sarei opposto sia per ragioni di stile sia per il rispetto dovuto alle competenze contrattuali e morali del direttore.

            Ora, a distanza di anni dall’accaduto, grazie alla correttezza, e al nome stesso della testata del Dubbio,  e del suo direttore, e infine all’attualità della questione riproposta dalla direttiva europea sulla presunzione di innocenza, voglio sperare di vedere finalmente Caselli smetterla di sostenere l’assoluzione solo a metà della buonanima di Andreotti. Che peraltro, proprio da buonanima non può proprio fisicamente difendersi, temo neppure in una seduta spiritica. Di  cui, del resto, non sono un esperto o solo casuale partecipe, come capitò invece a Romano Prodi durante il sequestro di Aldo Moro.

Pubblicato sul Dubbio

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