La sottosegretaria che sorpassa Grillo richiamata dalla ministra Cartabia

            Non credo, o almeno mi auguro che non sia stata solo la mancanza del dovuto “riserbo su un caso giudiziario aperto” ad essere stata rimproverata dalla guardasigilli Marta Cartabia alla sottosegretaria grillina alla Giustizia Anna Macina. Che è intervenuta sulla vicenda, appunto, giudiziariamente aperta del figlio di Beppe Grillo con una intervista al Corriere della Sera per spingersi dove neppure il padre si era avventurato nel suo clamoroso video di attacco a “giornalisti o giudici” che avrebbero fatto del suo Ciro e dei tre amici indagati a Tempio Pausania degli “stupratori seriali”. E non solo dei “coglioni” divertitisi quasi due anni fa in Sardegna “col pisello” in libertà su due coetanee “consenzienti”. Una delle quali ci avrebbe poi ripensato presentando una denuncia col ritardo sospetto di otto giorni, pensate un po’, pur avendo peraltro a disposizione un anno, concessole da una legge del 2019 voluta anche dai grillini contro lo stupro e altre violenze sulle donne.

            Ciò che Grillo si era  risparmiato di gridare nel suo video lo ha aggiunto, sorpassandolo, la sottosegretaria nell’intervista di solidarietà umana e politica in cui ha attaccato l’avvocato difensore della giovane denunciante per il suo doppio, anzi triplo ruolo di legale della presunta vittima, di senatrice della Lega e di avvocato di Matteo Salvini nei processi evitati o in corso per sequestro di persone e altro come ministro dell’Interno nell’azione di contrasto all’immigrazione clandestina. Sarebbe stata lei -ha insinuato la sottosegretaria rimediando dall’interessata, Giulia Bongiorno, l’annuncia di una querela e da altri la richiesta di dimissioni o rimozione dalla carica di governo- a riferire a Salvini delle informazioni ancora riservate sulle indagini dei magistrati sardi per consentirgli di partecipare alle polemiche scatenate da Grillo col suo intervento in difesa del figlio.

            Per fare valutare dai lettori il comportamento, oltre che di Grillo padre, della moglie e del figlio fiero della difesa dei familiari, anche della sottosegretaria -ahimè- alla Giustizia e della Guardasigilli limitatasi sinora ad un richiamo, che è sempre meglio di niente, per carità, ma anche meno -a mio avviso- della opportunità o necessità, credo che bastino e avanzino i fatti nei termini appena adoperati. Che non mi sembrano francamente arbitrari, esagerati e quant’altro. Sono i fatti nella loro semplicità e durezza.  

           La motivazione ufficiale dell’intervento della Guardasigilli si è peraltro prestata ad una campagna subito aperta dal Fatto Quotidiano, e condivisa dal debenedettiano Domani, contro il doppio mandato di parlamentare e di avvocato. E’ una materia incandescente, a dir poco, che complica ulteriormente la vicenda Grillo nella doppia dimensione, a sua volta, familiare e politica. Se era questo, in previsione di un rinvio a giudizio del figlio, l’obbiettivo perverso perseguito con la sua sfuriata telematica dal “garante”, “responsabile” e quant’altro del Movimento 5 Stelle in corso di rifondazione, bisogna ammettere che con l’aiuto della fedele sottosegretaria Macina, di nome e di fatto, esso è stato raggiunto. Chapeau.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Tutti attaccano Salvini gonfiandogli la campagna elettorale continua

E’ davvero curiosa la gara in corso fra magistratura e stampa -o, se preferite, fra certa magistratura e certa stampa- su chi assalta di più Matteo Salvini per procurargli non danni, come magari si propongono pure con convinzione, ma vantaggi facilitandone la perenne campagna elettorale nella quale il leader leghista si trova all’esterno e all’interno della maggioranza di governo in cui è appena rientrato. All’esterno, per esempio, dovendosi difendere dalla concorrenza che su certi temi, chiamiamoli così di destra, gli fanno i fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, astutamente rimasti all’opposizione del governo di Mario Draghi proprio per contendere a Salvini , come leader del partito più votato, la guida della coalizione di centrodestra operante nella maggior parte delle regioni e di sicura riedizione nelle prossime elezioni politiche. All’interno della maggioranza per strappare consensi, sugli stessi temi, ai grillini, al Pd e ai forzisti di Silvio Berlusconi.

Questi ultimi, peraltro, diversamente dai pentastellati e dai piddini, che gliene fanno e gliene dicono di tutti i colori per difendersi, e magari anche per provocarne reazioni inconsulte, sino alla crisi, debbono fare buon viso a cattivo gioco perché a tutto sono disposti fuorché a ripudiare il centrodestra inventato dal Cavaliere al tramonto della cosiddetta prima Repubblica, o all’alba della seconda. E’ una formula che senza la Lega semplicemente non esisterebbe, come Berlusconi provò sulla sua pelle perdendo le elezioni anticipate del 1996 e ricucendo perciò pazientemente con Umberto Bossi, che lo aveva fatto governare la prima volta per meno tempo di una gravidanza: dal 10 maggio al 22 dicembre 1994.

I magistrati, in particolare quelli di Palermo, hanno appena rinviato a giudizio Salvini addirittura per sequestro di persona offrendogli, per l’obiettiva esagerazione dell’accusa, la copertura di un lungo processo, con i soliti tre gradi di giudizio, lungo tutto il percorso elettorale che va dalle amministrative del prossimo autunno al rinnovo delle Camere, anticipato o ordinario che potrà rivelarsi. Sequestrare più di cento persone, con rifornimenti e assistenza assicurati su una nave il cui comandante, armatore e non so cos’altro ha deliberatamente rifiutato altri approdi o rotte col proposito neppure nascosto di sfidare le autorità preposte ai porti italiani, è una cosa che nessun tribunale riuscirà mai a fare apparire agli occhi della gente comune, cioè degli elettori, diversa dalla bizzarria, a dir poco.

I giornali dichiaratamente ostili alla Lega e, più in particolare, al suo “capitano”, strizzando ogni tanto l’occhio ai subordinati, si sono appena inventati, rappresentandola con cronache, retroscena e quant’altro, una guerra, una sfida, un boicottaggio su un’ora in più o in meno del coprifuoco pandemico che semplicemente non c’è stato.

A parte la sproporzione fra una guerra, e simili, e un’ora di coprifuoco su sette, i tre ministri della Lega non solo non hanno votato contro il provvedimento in gioco a Palazzo Chigi, come pure qualcuno era stato portato a credere con la rappresentazione del “rifiuto” opposto da Salvini fuori dal Consiglio dei Ministri, ma non si sono neppure astenuti, come è stato invece gridato nei titoli, sottotitoli e cronache di praticamente tutti i giornali fuorché la Stampa. Di cui due cronisti si sono presi la briga di consultare le fonti, diciamo così, scoprendo che i tre minstri della Lega erano risultati semplicemente assenti, sapendo bene naturalmente che “in politica la forma è sostanza”.

Ciò è sacrosantamente vero, anche se hanno fatto finta di ignorarlo sia Salvini continuando a parlare come se i suoi ministri avessero fatto chissà che cosa contro il troppo rigore pandemico degli altri partiti della coalizione, sia il buon Mario Draghi facendo trapelare il suo malumore per la “gravità” di quanto sarebbe accaduto. E lasciandosi interpretare da qualche improvvisato sostenitore ad ore -ancora in gramaglie per la fine dell’esperienza di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi- come uno sprovveduto che si è finalmente accorto di chi è davvero Salvini, l’uomo irrimediabilmente del Papete e del mohito.E’ inutile che vi faccia il none di un così raffinato e stellare analista perché ve lo siete già immaginato da soli, con la dimestichezza che vi attribuisco alle prese con le cronache politiche, ben immunizzati peraltro col vaccino nella nostra testata: Il Dubbio.

Ciò che più inquieta comunque di quell’analisi politica stellare, ripeto, è la scommessa su quanto potrà ancora durare questo “giochino” del doppio gioco di Salvini uomo di lotta e di governo. Il termine è stato indicato nel “semestre bianco”, quando si potrà giocare alla crisi di governo senza correre il rischio delle elezioni anticipate per la impraticabilità dello scioglimento prematuro delle Camere negli ultimi sei mesi, appunto, del mandato dell’attuale presidente della Repubblica: da agosto e febbraio.

Pubblicato sul Dubbio

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